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Voli in cabina

ELY e l’angelo. (Episodio primo?)

“E’ il 2076. Permettetemi di raccontarvi un mio volo dalle sue emozioni, dai volti osservati, dalle parole dette e da quant’altro ho provato. Sono vecchio, oggi ho 98 anni ma voglio raccontarvi di un fatto eccezionale. Di come una Forza Celeste ha mantenuto, nella nostra inconsapevolezza, il nostro aereo per aria … tutto accadde il giorno in cui …”

2004

… alle ore 4.22, arrivo a LIML con il cappuccino che ancora pizzica la lingua. Ho revisionato il piano di volo con il “mio” primo ufficiale, Stefano. Tra piani d’emergenza e procedure varie siamo rimasti seduti quasi due ore. La sua eccitazione è commovente, la sua passione sbava dagli occhi, evapora dalle orecchie. E’ un bravo ragazzo, oltre che un professionista serio e capace. Gli voglio bene. Più tardi ci rechiamo al nostro B737-400-BluClipper che Gianni ha appena finito il rifornimento: oggi si va a LIEE e si ritorna. Per tre volte. Poi a nanna. Domani volo charter per EGNS, Isola di Man, organizzato per una squadra che correrà il famoso Tourist Trophy. Il blu della nostra macchina volante scintilla e rimbalza il Sole nascente, come a farsi largo tra le nubi per vedere meglio, (si sono fatte le 6.45). E di nubi stamattina ce ne sono fin quante si vuole. La parola dipinta sulle fiancate, vicino le porte anteriori, mi emoziona e una lacrima mi tradisce: “Ely” Come di rito mi bacio la mano e la passo sulla fredda vernice. Stefano se ne accorge, poi sorride e si lucida gli occhi di commozione. Nessuna parola, solo il silenzio di chi sa che non ne servono. Decolla un B737-400 AirOne, puntuale. (E’ quello per Napoli, sono le 6.55. Forse c’è mia sorella a bordo, che invita i passeggeri a non slacciarsi le cinture fino allo spegnimento dell’apposito segnale luminoso. Ma a giudicare dal tipo e dalla quantità di nubi oggi i segnali luminosi stanno belli accesi). Sparisce in fretta nella nebbia, tra lampi ed echi di turbofun strapazzati. Veloce controllo “a vista” della fusoliera, delle ali e le loro superfici, del timone, delle pale dei motori e dei carrelli. “C’è tutto Comandante”, dice Stefano ridendo. “Bene” rispondo serio. Mi asciugo la lacrima che avevo lasciato libera di farsi strada sul gel emolliente dopobarba. E’ un suo diritto. Ma faccio in modo che Gianni non se ne accorga. Saluta e si congeda con il suo camion, lasciando puzzo di carburante, gas di scarico e pessimo caffè in termos. Oggi siamo pieni di passeggeri fin nei vani carrelli, così sono state sistemate le scalette sia alla porta anteriore sinistra che alla posteriore. Mentre arriva l’auto della dolciaria per rifornirci di bibite e stuzzichini vari montiamo in cabina: Rossella ha spruzzato un po’ di profumo alla vaniglia per tutta la lunghezza della cabina passeggeri, come da mia richiesta. Piaceva ad Ely e rilassa i passeggeri nervosi. Almeno così dice mio padre. E lui di ore di volo ne ha abbastanza da arrivarci su Marte. Elena invece è già pronta ad accogliere i passeggeri dalla porta posteriore. Stringe il contapersone, nascondendolo tra le mani congiunte sul ventre. Anche oggi è bellissima. Credo di non averglielo mai detto. Gabriele, che è l’ultimo nostro acquisto, carica la merce della dolciaria dalla porta anteriore destra. Il mezzo è pneumatico e si solleva da solo all’altezza del pavimento. Quando finisce mi porta un bicchiere di succo d’ananas. Di rito anche quello. Il “nuovo” impara in fretta. Faccio un cenno di intesa a tutti e tre, siamo pronti. L’aereo anche. Controlli di rito, programmiamo l’AP, l’FMC. Tutto OK. Attendiamo il codice squawk. Bombole OK. L’APU sbuffa dalla coda e l’avionica sibila. Buon segno. “Cominciamo l’imbarco!” gridacchia Stefano. “OK” (“Se i motori fanno fiuuuuuu, le ali non sono spezzate e la porticina del WC si apre e si chiude bene, sei in una botte di ferro”, diceva mio padre vent’anni fa. Pilotava un Ilyushin. Io ero piccolo, andavo alle elementari, ma il ferrovecchio russo mi rimase nel cuore; si schiantò pochi mesi dopo, in atterraggio a Mosca mentre lo pilotava un nigeriano, sembra si spezzò il timone. Così, dal nulla prese e si spezzò in due!!!). Poco dopo arriva il bus navetta, pieno da far paura. Poi, in ritardo, arrivano le valigie. Infine, arriva la pioggia. Miliardi di lacrime ci accompagneranno fino a Genova, ci dice il meteo. Il parabrezza inizia a rigarsi con decisione mentre i primi passeggeri percorrono i dieci metri che li separano dall’aereo in una frazione di secondo. Sorrido e invito Stefano ad allungare il collo per osservare. “Abbiamo passeggeri in forma oggi, Comandante”. Un ragazzino mi vede e mi saluta. Rispondo con un sorriso. Mi è venuto spontaneo. Poi la madre lo prende in braccio e salgono la scaletta, aiutati da un altro passeggero dalla faccia gentile, la giacca bagnata e quel che resta della carta d’imbarco ancora in mano. L’uomo mi guarda e mi fa un cenno col capo. Mi sento raggelare. Rispondo con un cenno della mano. Poi escono dalla mia visuale e sento la donna ringraziare l’uomo, alle mie spalle, ormai a bordo. Il ragazzino chiede alla madre se ora voleremo. La madre risponde di si, se non si metterà a piovere troppo. Stefano mi guarda e ride, poi alza gli occhi. “La signora l’ha chiamata, arriva il diluvio, scommetto!” Invece arriva il codice squawk, 1110, e con esso l’autorizzazione alla messa in moto, quando pronti a farlo. Di pushback non c’è n’è bisogno. Intanto il bus torna a prendere altri 34 passeggeri. La pioggia si fa isterica, “piove dentro”, urla il ragazzino. “Porca vacca Comandante, viene giù bella!” dice Stefano. “Chiudi la porta”, sussurro a Rossella. Poi la blocco pigiando un pulsante sull’overhead panel. Un secco tonfo metallico anima la serratura a scorrimento e il vociferare misto di ansia e meraviglia dei passeggeri si zittisce. Torna il bus. Salgono tutti. Fradici. “Imbarco completato”. “Chiudere le porte armare gli scivoli e confermare”. “Porte chiuse cabina OK documenti onboard”. Rossella recita il benvenuto. Elena controlla che tutti siano seduti e allacciati. Noi accendiamo i motori. All’OK di Elena, “passeggeri seduti e allacciati, 144”, ci muoviamo per la R4 verso il punto-attesa della 36R. La pioggia e il vento si sentono. “Flap five-five, extended” e poi il resto della checklist, che vi risparmio. Al takeoff briefing dico a Stefano cosa fare se uno dei turbofan crede siano le 24 del 31 dicembre … lui ascolta attento. Passiamo a Linate Torre. Rossella ha finito di spiegare ai passeggeri cosa fare se in volo l’AP crede di essere un Atari 2600 e io e Stefano abbiamo contemporaneamente un attacco di colite. La bionda ragazza conferma il passengers briefing. Solo dopo rendiamo noto alla Torre che anche oggi il miracolo della BluClipper si compirà: vogliamo volare! Negato: “piove troppo 301, mantenete posizione”. “Manteniamo posizione, 301”. Incrocio le braccia e sbuffo. Un fulmine cade a bordo pista, abbiamo tutti un sussulto quando il bagliore ci accende i lineamenti del volto e stride nelle cuffie. “Accidenti” sussurro, ma Stefano mi sente e ride. Avviso i passeggeri che causa condizioni meteo avverse il decollo è rimandato di pochi minuti. Poi lo ripeto in inglese. “301 autorizzato al decollo”, ci dice la Torre dopo 3 minuti di imbarazzo collettivo. “Autorizzati al decollo, 301”, rimanda Stefano. Veloce ripasso, flap, slat, trim, parametri motore. Andiamo dai che deve atterrare l’Alitalia da Roma, mi dico. Potenza sparata in alto, senza guardare. Piove e voglio decollare subito. Via i freni. Accelerazione brusca, un tantino esagerata. Porca miseria sento il ragazzino urlare. Non si vede niente a 80 nodi. Il ruotino grida e spruzza la fusoliera da sotto, sembra di essere in una immensa doccia. Nebbia fitta, qui non piove. V1. Lascio le leve della potenza. Ci pensa l’automatismo. Ma uno strano rumore sconquassa la coda. Come due esplosioni. Penso ai motori ma i parametri sono normali. Ma no aspetta, i giri dell’elica a bassa press … no, devo aver visto male. E poi devo richiamare. La V1 è acqua passata. VR. Tiro a me il volantino. Il muso si alza pigro. La doccia finisce. Guardo la tacca dei dieci gradi e “vado a prenderla”. “Positive Climb”, mi dice Stefano impietrito sugli strumenti. “Gear Up”, gli faccio io. Lui conferma dopo i dovuti secondi. Chiedo a Stefano se i motori sono a posto. “Certo perché?” “No niente, devo essermi immaginato che … lascia perdere”. Botta di vento da destra, poi una violentissima da sinistra, quasi mi sfugge il volantino dalle mani e sento lo squotibarra entrare per un attimo. Vento micidiale. Poi un’altra legnata da ore dieci. E un’altra ancora da ore sette. Poi un’altra, un’altra e un’altra ancora. Infine una contraria butta su il muso, suona la warning, lo squotibarra impazzisce come a voler scendere. Guardo l’altimetro, inerte, il variometro mi sfotte indicando zero. Ma si muove verso il basso. Non stiamo salendo. “Ma che …” La voce metallica interviene, saggia. TOO LOW TERRAIN-TOO LOW TERRAIN-TOO LOW TERRAIN Leve della potenza quasi fuori dal parabrezza. L’AP sembra in panico. Poi tagliamo le nubi nere e lo sconquasso si fa turbolenza, moderata/forte, ma solo turbolenza. Mi scopro sudato, chiamo l’after TO checklist. Tutto OK, ma penso ai carrelli, alle giunture pneumatiche, a quelle meccaniche e a quelle elettriche. Atterriamo di pancia, mi dico, che vuoi che sia con un 737, pigiamo il tasto per lo sgancio dei motori … rido da solo ma Stefano rilegge i parametri più volte senza fare caso a me. Le turbolenze salvaguardano le bibite e le camicie dei passeggeri, poiché Elena, Rossella e Gabriele stanno seduti, sugli strapuntini in coda. Io però reclamo un’ACE all’arancia. Vai di “Attendant Call”, poco dopo Elena entra. “Che è successo!?” “Una nave aliena ci ha attaccati, Stefano gli ha sputato in faccia il chewing-gum e sono scappati” “Di là sono un po’ spaventati, ci mancavano le turbolenze … ” “Non preoccuparti, a Genova ci lasciano, ehm … forse”. “E comunque chi vuole scendere è libero di farlo”, interviene Stefano. Una sana e grassa risata supera la porta della cabina e arriva tra i sedili bianchi e blu. Gabriele e Rossella ridono di rimando e la situazione si rilassa. Ma chi aveva in mano il giornale era fermo alla stessa pagina che c’era quando Stefano ha chiamato gli ottanta nodi, ci scommetto. Poi prendo il microfono, schiarisco la voce: “Signore e Signori buongiorno sono il Comandante di questo volo BC per Cagliari Elmas. Mi scuso per il decollo poco piacevole dovuto al vento. La situazione era imprevedibile ma tutto, come potete vedere, è a posto. Troveremo queste turbolenze fino a Genova, poi sereno e calmo fino a Cagliari dove prevediamo di atterrare tra 1 ora e venti minuti circa. Grazie!”, poi in inglese, ma taglio corto. Arriviamo a Genova e sgancio gli indicatori delle cinture. A sentir bene sembra di essere in una griglia di partenza stracolma di moto nel momento in cui lo speaker invita “engage gear”… Stac-stac-stac-stac-stac – … per cento e passa volte … E tutti vogliono andare in bagno. Ely fa un leggero rollio, e vorrebbe abbassare il muso, il trim mette tutto a posto, la gente deve fare pipì, posso capirla, ma mi manda fuori centramento il baracchino volante. Il trim è un gran bravo ragazzo. Lui non rimette le cose a posto agendo sulla causa; lui le rimedia da far suo, senza chiedere niente a nessuno. Ecco, un buon pilota è come il trim, come tutti i trim, anzi. Stanno lì, buoni buoni, e quando servono mettono tutto a posto, senza fare troppe domande. Dice mio padre. La Corsica arriva in un attimo e il Sole a mezza altezza sbianca la fusoliera. I motori prendono fiato, il ragazzino si è addormentato. Ma la madre si mordicchia le unghie nervosa e guarda l’orologio senza dare il tempo alla lancetta dei secondi di aggiornare la sua posizione. Il signore gentile che l’ha aiutata a salire legge un quotidiano milanese. In prima pagina la guerra, lui scuote il capo e sistema gli occhiali. Poi guarda vero la cabina. Un brivido piacevole mi taglia la schiena. Siamo in crociera. Stefano beve un caffè. E io non penso più ai motori. E’ come se qualcuno mi rassicurasse, come se mi avessero tolto la preoccupazione dalla mente. Così mi sembra, raccontandovelo a posteriori. Francia Centro ci avvisa di un MD80 alla nostra destra e ci chiede conferma visiva. Il Cane Pazzo è in vista e anche lui ha visto noi, è l’Alitalia che va ad Alghero, forse. Poi scende e si tuffa in una simpatica nuvoletta bianca. Guardo i documenti per preparare la discesa. Peso, quindi velocità in finale … mmmmmmmmm … flap a trenta. Poi spiego i miei calcoli a Stefano che conferma. 135 con flap a trenta. Atterraggio a vista, pista 14, presumo. Sorvoliamo la costa nord della Sardegna. Splendida. Poco dopo selezioniamo la discesa come ci ricorda l’FMC. I motori si rilassano. Leggero tocco agli aerofreni, le cinture stringono per un attimo. Poi Ely livella a FL100, spuntata ai motori e prendiamo 230K. Vediamo Cagliari. E la pista. Le ragazze invitano i passeggeri a raddrizzare lo schienale e a chiudere il tavolino di fronte. Le cinture le ho richieste personalmente quando sorvolavamo Alghero. Flap 5, 170K, intercettiamo i vettori alla 14 dopo un breve colloquio tra Stefano ed Elmas Torre. L’AP va a prenderli e li mantiene. “Assistenti di volo prepararsi all’atterraggio” Flap 15, 150K, carrelli giù. Il volantino si ribella nelle mie mani ma io ho la meglio, come sempre. Ely procede lento ma deciso, la pista è ora vicina. “Autorizzati all’atterraggio pista 14R” Stefano conferma. Minima. Land. Toccano i centrali che sembra il buffetto di una madre alle chiappette del figlio neonato. Poi tocca l’anteriore. Spoiler su in automatico e reverse. Ely sembra sgranchirsi. Via i reverse a mezza pista e lavoro di pedali. Spenti i sistemi di navigazione, il Pitot Heat, e tutto il superfluo. Ci spiegano dove parcheggiare. Il nostro solito posto nel parcheggio GA. Lascio portare Ely da Stefano. Decolla un MD82 Meridiana, non ho idea per dove. Parcheggiamo. Freni, via ciò che non serve. Spengo i motori e l’APU si risveglia automaticamente dopo una lampeggiata generale di tutti gli strumenti. “Aprire le porte, i passeggeri sbarcheranno dalle porte di sinistra”. La donna ha ormai le unghie massacrate, il figlio si è risvegliato e il signore gentile, con la giacca ormai asciutta è sempre al loro fianco. Apro il finestrino. “Mamma, voliamo ancora?” sento il ragazzino mentre aspetta di salire sul bus. “Si, voleremo ancora”. Il signore gentile sorride, chiude il giornale e si tiene ad una traversa del bus. Nessuno ha mai visto quel signore gentile in aeroporto, ma risponde alla descrizione fatta da un collega. Quella di un signore che sembra volare spesso da Milano a Cagliari, ma che nessuno vede mai tornare indietro, almeno via aria. Ci si fa incontro un tecnico di terra. Hey, avete il motore sinistro a pezzi, avete atterrato solo col destro? Mi guardo con Stefano. “No, tutto OK” Scendo e guardo. Le pale sono spaccate, altre non ci sono più. I cavi sono carbonizzati e la carrozzeria deformata. Osservo inebetito finché una piuma bianca mi si posa sulla scarpa, la sinistra. Il tecnico aspetta che io gli dica qualcosa ma non apro bocca. Corro in aeroporto, chiedo informazioni sul passeggero seduto alla 13E, dei miei 144. “Nessuno alla 13E, Comandante, e poi i passeggeri erano 143”. Sbianco e corro da Elena. “Dammi il contapersone, lo hai resettato?” “No” 144. Sbianco ancora di più. “Ma chi diavolo …” è tutto quello che mi esce. Poi, mentre un lampo di luce riflette la scritta ELY sul parabrezza di un’auto di servizio, Stefano mi viene incontro con la faccia sporca di terrore e le mani nere di fuliggine, lo segue il tecnico con un pezzo di turbina in mano, stranito in volto: “E’ meglio se viene a vedere anche il motore destro, Comandante.”

Continua?


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Il volo della farfalla

La splendida farfalla non poteva crederci: osservò ancora una volta, attonita, le sue ali colorate riflesse nell’acqua … mamma mia come erano belle, sì, belle, allegre e al tempo stesso delicate! Nel suo nuovo corpo si sentiva proprio attraente … e non riusciva davvero a smettere di guardarsi in quello specchio d’acqua … E pensare che fino a qualche ora prima non era altro che un morbido, sinuoso, vermetto verde peloso … certamente simpatico … ma capace, al massimo, di suscitare tenerezza … niente di più! Eppure da quel piccolo bruco, come per magia, senza neanche rendersene conto … era venuta fuori lei … una splendida, affascinante farfalla adulta! Quando si dice: i miracoli della natura! E adesso? Cosa doveva fare? Non poteva di certo passare il resto dei suoi giorni a rimirarsi! La bella farfalla rimase per qualche istante immobile, pensierosa … “E’ arrivato il momento di spiccare il tuo primo volo, mia cara!” disse improvvisamente una voce facendola sussultare. Lei si guardò intorno cercando di capire chi le avesse rivolto la parola. “A cosa credi che ti servano quelle belle ali che hai adesso?” incalzò la voce. La farfalla capì che quelle parole provenivano dall’alto. “Ah sei tu… Sole, amico mio?” Il Sole le sorrise, un enorme … caldo … sorriso! “Sei molto carina! I miei complimenti …” “Grazie, ma la verità è che io non ho fatto granché! Ieri sera ero verde e pelosa, oggi sono colorata e vellutata … devo ringraziare Madre Natura” “E ora che sei colorata e vellutata, cosa conti di fare?” “Veramente non lo so …” “Non penserai mica di continuare a specchiarti nell’acqua per tutta la vita … o vuoi fare la fine del corvo vanitoso della fiaba di Fedro? Ah Ah!” “Molto spiritoso! Comunque credo che continuerò a fare le stesse cose che facevo quando ero un piccolo bruco …” “E allora perchè pensi che Madre Natura ti abbia fatto dono di quelle splendide ali?” “Non saprei e mi importa poco, me le tengo e me le godo … non mi chiedo troppi perché!” “Devi volare … le ali servono a questo, altrimenti che senso ha possederle?” “Volare???? Ma non ci penso nemmeno! Io non l’ho mai fatto, non lo so fare e né tantomeno voglio imparare …” “Non mi dire che hai paura!!!” “Paura!!! Sono terrorizzata al solo pensiero!! Io volare … tuffarmi nel vuoto … non se ne parla proprio … amico mio!!!” “E invece lo farai …” “E perché dovrei? Sto così bene qui, al sicuro, perché dovrei rischiare di sfracellarmi al suolo quando, invece, rimanendo qui, ho tutto ciò di cui ho bisogno?” “Perché rimanendo qui non saprai mai cosa c’è al di là del tuo piccolo mondo attuale … non saprai mai cosa ti perdi rimanendo arroccata nel tuo rifugio …” “E se ciò che è là fuori non dovesse piacermi?” “Potrai sempre ritornare qui!” “Uhmmm! Non sono molto convinta … a questo punto … al diavolo le ali! Era meglio non averle!” “Questo lo potrai affermare solo dopo che avrai spiccato il volo … e se, per esempio, quelle ali ti permettessero di vivere in modo migliore?” “E se non mi dovessero reggere e non mi permettessero di vivere affatto?” “Ogni cosa ha il suo prezzo! Ah ah!” “Amico mio … la verità è che … ho paura …” sussurrò la farfalla abbassando lo sguardo timidamente. “Certo, lo immagino! E’ normale, non devi vergognarti per questo … Ma se vuoi io posso aiutarti!” “Davvero faresti questo per me?” “Sì, altrimenti a che servono gli amici?” “Ma , come potrò ripagare la tua gentilezza, non saprei proprio cosa darti in cambio …” “Ah piccola mia, hai ancora tanto da imparare! Io non voglio assolutamente nulla in cambio … ti aiuterò perché tu sei mia amica, perché ti voglio bene e perché, in questo momento, hai bisogno di me …” “Grazie … ma spiegami, in cosa consisterebbe il tuo aiuto?” “Io ti porgerò un mio lungo raggio in modo che tu possa aggrapparti, e poi, non appena ti sentirai sicura, potrai mollare la presa e lanciarti in volo!” “Brrr! Dio mio, penso che rimarrò abbracciata al tuo raggio a lungo … Ah ah … ma mi starai vicino anche dopo? … non mi lascerai, vero?” “Non potrei mai lasciarti, stai tranquilla! Sarò con te prima, durante e dopo il tuo volo!” La farfalla guardò il suo amico Sole ancora dubbiosa ma felice di aver scoperto di possedere un vero amico. “Ma che avete da blaterare da un’ora, voi due? ” borbottò, all’improvviso, un’altra voce. “Ah ciao, Vento … è da tanto che non ti fai sentire, come mai?” chiese la farfalla “E’ che ero stufo di essere sopportato … in primavera nessuno mi vuole … dicono che sono la causa dei raffreddori dei bambini … mah! Dicono che i bimbi cominciano a giocare all’aria aperta grazie alla presenza del nostro amico Sole, si sfrenano, sudano e poi … se ci sono io … si ammalano …” “Ma dai, non ti mortificare, non è colpa tua!” lo rincuorò Sole “Ohibò! Ma cosa vedono i miei occhi!!! Ma tu saresti quel vermiciattolo strisciante di qualche tempo fa? ” disse Vento alla bella farfalla “Ti piaccio?” sorrise lei sbattendo le alette colorate “Uhm! Notevole, direi … complimenti! Ma, allora, qual è il problema?” “E’ che ho paura di volare! E Sole mi stava offrendo, gentilmente, il suo aiuto: mi porgerà un suo raggio e io mi ci aggrapperò fino a che non mi sentirò sicura di volare …” “Buona idea! Ti aiuterò anch’io!” “Grazie! Allora anche tu sei mio amico?” “Certo! Ma in realtà il mio aiuto è un po’ interessato: dopo essere stato mal tollerato in questi ultimi tempi…beh, mi farebbe piacere far qualcosa per cui essere ringraziato! Ah ah!” “In che modo vorresti aiutarmi?” “Facciamo così: prima ti aggrappi al raggio di Sole, poi quando ti stacchi da lui per volare io ti spingerò con il mio soffio, una piccola spinta iniziale di incoraggiamento! In questo modo per te sarà un po’ più facile!” “Siete tutti così buoni con me! Ma cosa ho fatto per meritare tutta questa gentilezza? Come potrò mai sdebitarmi?” “Non è necessario! Ma impara: un amico in difficoltà va sempre aiutato anche se ciò costa sacrificio e sofferenza e … bada bene … questo va fatto sempre senza chiedere nulla in cambio …” “Parole Sante!” si intromise una terza voce “Ciao Arcobaleno, è sempre un piacere vederti, anche se oggi proprio non ti aspettavamo! Oggi la tua amica inseparabile Pioggia non si è vista, anzi, è da tanto tempo che non passa da qui, dove si è cacciata?” chiese Vento ad Arcobaleno. “Lo sai come è fatta! In primavera le viene la pigrizia e se ne sta rintanata in casa per settimane, poi, all’improvviso, decide che è arrivato il momento di sgranchirsi le gambe esce e scatena un putiferio … Ora è tanto che non lo fa ed io mi stavo talmente annoiando … poi, vi ho sentiti parlare e sono venuta a vedere che succede … Ho sentito che devi spiccare il tuo primo volo! Brava! Natura sarà lieta di vedere una farfalla splendida come te svolazzare per il cielo …” “Sì … se riuscirò mai a svolazzare! Ho una tale paura! Per fortuna non sono sola: Vento e Sole mi aiuteranno!” “Sì l’ho sentito, hanno avuto una grande idea! Posso partecipare anch’io al lieto evento?” “Certo! A me non può che fare piacere …” rispose la farfalla commossa. “Facciamo così: quando ti staccherai da Sole, Vento ti darà una piccola spinta ed io ti indicherò la strada! Mentre sarai sospesa in aria, cara amica mia, guarda i miei colori rassicuranti e segui il mio arco … così avrai meno paura, volare sarà più facile e non ti smarrirai” La bella farfalla guardò i suoi tre amici e capì che Sole aveva ragione: doveva volare! O doveva almeno provarci … Aveva ancora paura, è vero, ma adesso si sentiva molto più forte, i suoi amici erano riusciti a infonderle coraggio e sicurezza! Sapeva che nel momento fatidico del volo, le sarebbero stati vicino con il loro grande affetto, avrebbero volato insieme a lei … non sarebbe stata sola in quel momento così difficile! “Allora…vado?” chiese timidamente la farfalla. Sole, Vento e Arcobaleno annuirono dolcemente sorridendo. “Siamo tutti con te!” la rassicurò Vento. “Con te!” ripeterono Sole e Arcobaleno. Sole le porse un suo lungo raggio, lei si aggrappò ad esso con tutte le sue forze, guardò un’ultima volta i suoi amici, osservò un’ultima volta la sua immagine riflessa nell’acqua, sbatté le alette colorate e chiuse gli occhi! Continuò a sbattere le ali con vigore, con tutte le sue energie sempre avvinghiata al raggio di Sole…poi, ad un certo punto … decise che era arrivato il momento: mollò la presa senza mai smettere di agitare le ali con energia … aprì gli occhi e ….non ci poteva credere!!! Volava!!!! Stava proprio volando! Un leggero alito di Vento la spinse dolcemente verso le bande colorate di Arcobaleno e lei si lasciò trasportare dolcemente, sicura che non le sarebbe accaduto niente di male, ce l’aveva fatta ormai! Fece delle piroette allegre nell’aria tersa e profumata … Sole aveva proprio ragione: cosa si sarebbe persa se non avesse deciso di volare … il mondo era meraviglioso visto dall’alto!! E con quelle ali quante altre cose avrebbe potuto scoprire!!! “Grazie amici miei! Grazie davvero!” “Hai imparato presto, eh? Sii prudente, mi raccomando … non ci far pentire di averti aiutato a volare! Ahahah!” scherzò Sole. “No, non potrei mai! Ma ora che fate? Mi abbandonate?” “No, certo che no! Gli amici non si abbandonano mai! Stai tranquilla, continueremo a stare con te finchè lo vorrai!” rispose Vento “Allora non mi lasciate mai, ok? Ora, però, vado a fare un giro, torno presto, non andate via,eh? … grazie ancora” Farfalla fece ancora qualche giravolta in onore dei suoi tre cari amici e poi si allontanò, felice di ciò che aveva appena appreso: in un colpo solo aveva imparato a volare e aveva imparato la sua prima lezione da adulta: l’amore di un amico può aiutarti a superare le prove peggiori, persino l’impossibile può sembrare attuabile se c’è un amico che è lì con te!


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Reija

Volare … arrivare?

Giugno 1999, giorno,ora e luogo imprecisati.

Sua Santità’ (per gli amici Karol) mi chiama sul telefonino: “Mario, devi venire subito a Roma, ho bisogno urgente di un consiglio” E io: “Oh bella, se del consiglio hai bisogno tu, perché non scendi tu?”. Karol: “E che non lo sai che con tutti ‘sti preti e ‘ste suore che chiedono favori, raccomandazioni … mi stanno rompendo i …” Io: “Karol, non peccare” Karol: “Stavo dicendo … mi stanno rompendo i colonnati in San Pietro”.

E così mi toccò a me andare a Roma, e siccome per il lavoro che faccio si fa la fame scelsi una compagnia aerea siciliana, non meglio identificata, che ha tariffe notevolmente più basse dell’Alitalia. Arrivò l’ora della partenza. E, fino al momento di salire sull’aereo, sembrava tutto normale. Ma appena salito una cosa non mi quadrava: l’hostess era vestita di pelle e aveva in mano una frusta. Appena a bordo si sentì la voce del pilota: “Spiacenti ma la batteria é scarica! Tutti i passeggeri scendere e spingere, marsch!!” Fummo subito convinti a frustate della necessità dell’operazione e l’aereo s’avviò’. Ma appena a bordo il copilota: “Porc … – … abbiamo dimenticato di fare benzina” Egli allora scese dall’aereo con un bidoncino e ,dopo pochi minuti, venne a rifornire l’aereo. Inutile dire che abbiamo dovuto spingere di nuovo. Di nuovo a bordo questa volta l’aereo decollò, non senza fatica. Un passeggero, con timida voce fantozziana disse: “Ehm, FORSE nella seconda spinta dell’aeromobile un anziano di 88 anni ci ha lasciato”. Voce dalla cabina di pilotaggio: “Bene, l’aereo è più leggero. Sale la probabilità di arrivare a destinazione” E a questo punto passò l’hostess a distribuire … il rosario dicendo: “Mi raccomando!!!! Pregate intensamente!!!” Un passeggero ha osato muovere una gamba, ma subito l’hostess l’ha frustato nelle gengive apostrofandolo: “Ma è pazzo? Non sa che influisce sull’assetto dell’aereo?” E intanto dalla cabina di pilotaggio si sentiva un discorso tra i piloti: “Dunque, qui c’e’ scritto: la cloche serve a dirigere l’aeromobile in tutte le direzioni. Piuttosto, vedi se nel manuale c’è scritto questo quadrante rosso a cosa serve, poi qui c’è una luce bianca … quella è la torcia tascabile che ho posato là, intelligente” E non si sa come, arrivammo a Roma. Inutile dire che tutti appena scesi baciammo a terra. Tutti, tranne uno, che baciò non solo a terra, ma tutte le persone che lavoravano in aerostazione, sia uomini che donne, nonché gli animali (cani,gatti,pulci) che in quel momento erano in aerostazione. Egli e’ stato denunciato per “atti scemi in luogo pubblico”  .


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Mario Pisciotta

Verso il prossimo lancio

Il cuore mi batteva, come Ufficiale, ero l’ultimo del lancio, il primo era il Sergente. Il rombo dei motori del C-119 penetrava nella stiva di lancio come l’urlo di un mostro aereo, frastornandoti. Il cielo scuro appariva dalla valva di coda asportata, un mare di nero che ingoiava uomini con una velocità spaventosa, mostro, dalla fame immensa. Eravamo veloci, quasi una corsa verso quella bocca spalancata ma il tempo è davvero relativo. Pensavo a mio padre, a mia madre, alla mia ragazza, a me. Tutto in un attimo, accavallato d’immagini mentali, paura, terrore della morte: ma chi me lo fa fare? Il mio orgoglio, il mio fesso, orgoglio, di sempre. Ero io a volerlo di non restare, nessuno m’obbligava, potevo restare a bordo, il Direttore di lancio, un Maresciallone con le palle, avrebbe capito. Arrivai sulla porta, non avevo nemmeno controllato la fune di vincolo, sistemata bene più per esperienza che per il pensiero. Lo sguardo del Maresciallo, il lieve spostarsi a far posto e il salto nel buio, anche questa volta c’ero riuscito. Lo schiaffo dell’aria, il rombo lontano, una terra al chiaro di luna che ti precipitava contro. Le gambe della mia ragazza aperte, la pagnottella scura, il paradiso sotto di me. Poi lo strappo del gigante. Il guardare in alto se si era aperta la calotta o se avevo fatto candela. Un lancio notturno di guerra, anche solo virtuale, si fa bassi, molto bassi, speri in Dio e nel ripiegatore di paracadute umani. Vedi calotte a terra, intorno, sopra di te ma laterali, un lancio di battaglione è uno spettacolo. Quasi eccitato sessualmente, l’adrenalina a fiotti che scorre nelle vene e ti fa sentire un Dio che scende da una nube, Pegaso alato, che porta sulle spalle se stesso e le ali. L’ora mentale che passa veloce e dura meno di un minuto. Ricordi lontani, da bambino s’accavallano a promesse future: come l’amo, Tiziana. Il suo bel corpo nudo, sudato, sereno. Papà, se tu fossi qui. Ti voglio bene, mamma. Poi l’urto quasi improvviso, la terra. Il rotolare su te stesso, la voce del Sergente: – Tutto bene, Tenente?.- Sorridi e, non sai, se ti vede, che dire a quel simpatico pugliese, che, lo amo, perché son vivo? Di radunare il plotone, grugnisco. E’ quasi una risata. Il Colonnello Mautino, la sabbia d’El Alamein ancora nelle orecchie: – Forza testone, controlla i tuoi uomini, si va veloci fuori, da qui. – La vita ritorna come sempre, si corre dopo aver recuperato il paracadute alla meglio, le squadre di recupero sono già all’opera. Faccio parte d’un insieme efficace, collaudato, son fiero. Raduno gli uomini e corro, verso dove? Verso il prossimo lancio.


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Mayo de May@

Viaggio in aereo

Il primo giorno di autunno aveva fatto capolino quella mattina con una temperatura troppo fresca dopo un’estate incerta e tempestata da piogge torrenziali. Quella mattina Marta aveva un incontro importante con il direttore dell’azienda di software che da anni prestava la sua opera nel circuito informatico. Se in quell’occasione fosse riuscita a portare a casa un buon risultato, sicuramente questo per lei avrebbe potuto significare una promozione e quanto meno un riconoscimento di immagine a livelli piuttosto alti all’interno dell’azienda. Sentiva la tensione scorrere nelle vene, ma la sua sicurezza e la sua risolutezza nel portare avanti questo progetto riuscivano a infonderle fiducia e serenità necessari per raggiungere il suo obiettivo. Doveva andare a Parigi. L’aereo sarebbe decollato da Caselle alle 10,40 e lei doveva passare dall’ufficio a ritirare le ultime pratiche che la segretaria le avrebbe fatto trovare pronte sulla sua scrivania. La notte era trascorsa in modo inquieto e la sveglia aveva squillato quando Marta ormai aveva letto quasi tutto il tredicesimo capitolo del libro che qualche giorno prima aveva acquistato da Petrini, in via Pietro Micca. La trama non le era risultata per nulla convincente, ma la speranza che si potesse riscattare nel corso della lettura ancora non l’aveva abbandonata. In ogni caso leggere l’aiutava a tenere la mente lontana dal lavoro e dal pensiero per l’incontro della mattina successiva. Spenta la sveglia e riposto il libro sul comodino, si era alzata per preparare la colazione. Una tazza di caffelatte caldo, due fette biscottate e qualche biscotto, le sarebbero bastati per affrontare la giornata con sufficiente energia in attesa di un pranzo frugale. Aveva deciso di non essere eccessiva nel vestirsi e nemmeno di sembrare troppo rigorosa nel taglio dell’abito. Forse un abbigliamento molto casual e giovanile avrebbe aiutato il direttore dell’azienda di software a prestarle maggior fiducia riguardo alle nuove idee che lei gli avrebbe proposto. Apparire frizzante e sbarazzina in dose giusta poteva rappresentare la nota di colore e di inventiva ideale perché l’accordo andasse in porto. Così scelse un jeans chiaro da indossare con una maglietta a manica lunga di colore nero. Gli stivaletti scuri con i tacchi,per dare un tocco sufficientemente elegante; la temperatura già molto bassa per fine settembre poteva permetterle di indossare un giacchino di pelle nera; borsa a tracolla e valigetta del computer. I capelli corvini sciolti sulle spalle contornavano un viso reso luminoso da un trucco leggero e ben curato. Gli orecchini e il girocollo d’argento davano un tocco di lucentezza. Ad ornare le mani affusolate un semplice anello al dito anulare sinistro, un rubino incastonato sull’intreccio di due fedine d’oro, un regalo della zia a cui Marta era molto affezionata. Pronta ad uscire, Marta aveva controllato che le finestre fossero chiuse e oltrepassato l’uscio aveva infilato la chiave nella toppa e dato le quattro mandate. Non aveva avuto pazienza di aspettare l’ascensore che risultava occupato. Così aveva sceso i tre piani di scale con agilità e flessuosità, come un gatto che corre sicuro verso l’uscita. Avrebbe preso la sua auto per arrivare all’ufficio e da lì avrebbe detto alla segretaria di chiamare un taxi. A quell’ora il traffico non era molto, sarebbe sicuramente aumentato di lì a poco. Arrivata in ufficio, ritirate le carte e avuta una breve conversazione con la segretaria per gli appuntamenti del giorno seguente, Marta salì sul taxi che l’attendeva in strada. Destinazione: aeroporto. Il check-in era già stato annunciato quando Marta arrivò all’aeroporto. Velocemente caricò sul rullo il bagaglio a mano mentre si apprestava a spegnere il cellulare. Si avviò con passo veloce e sicuro verso la postazione per l’imbarco. Una ventina di persone erano davanti a lei: chi in piedi vicino alle vetrate, chi a chiacchierare seduto sulle poltroncine, chi a leggere distrattamente le pubblicità vicino alle vetrine che esponevano borsette e portafogli in vera pelle. Una sola persona leggeva il giornale seduta su di una poltroncina tra una donna che pensierosa si scrutava le mani ed un uomo di mezza età che era intento a giocherellare con la pipa spenta che teneva in bocca. Un uomo dall’aspetto curato, vestito con un abito scuro, di ottima fattura, distinto e casual al tempo stesso, con occhiali fumè, le mani prive di anelli, appena distratto dalla nuova presenza, guardò Marta mentre si avvicinava.Una scorsa veloce quasi disinteressata alla figura di Marta e aveva ripreso a leggere. Marta fu una dei primi passeggeri ad incamminarsi nel tunnel per arrivare al bus che li avrebbe portati fino all’aereo. L’uomo che leggeva il giornale era dietro di lei, in mezzo alle altre persone. Non lo aveva più visto sul bus e nemmeno lo aveva cercato con lo sguardo. Arrivata alla scaletta dell’aereo l’aveva salita con tranquillità e si era avviata verso il posto a lei riservato: fila g, posto 3 lato corridoio. Aveva sistemato il bagaglio a mano nell’apposito scomparto sopra al suo seggiolino e si era seduta nella speranza che nessuno si fosse accomodato accanto a lei. Gradiva rimanere da sola, assorta nei pensieri, ripassando mentalmente tutti i punti della proposta che si accingeva a presentare al suo interlocutore di Parigi. Tutti i passeggeri si erano accomodati e lei era rimasta la sola della sua fila. Dall’altra parte del corridoio un’altra persona era seduta nel seggiolino più vicino al suo. Era l’uomo che all’aeroporto leggeva il giornale. Lo guardò per un istante e lui sembrò non accorgersene. Presto il comandante annunciò il decollo e i passeggeri allacciarono le cinture pronti a sentire rollare le ruote sulla pista. Quando il decollo fu terminato e le cinture slacciate, Marta prese a sfogliare le sue scartoffie. Si senti sfiorare il braccio e sentì una voce calda e avvolgente chiederle cortesemente se potesse dare qualche spiegazione sul prodotto che aveva utilizzato per compilare le tabelle che aveva in mano. Si voltò e incontrò lo sguardo profondo di un uomo dai lineamenti fini, dalla dolcezza disarmante e dalle labbra magnetiche. Presa da un fremito improvviso si scosse subitamente cercando di far mente locale. Cercò di spiegare in modo semplice, stringato ma dettagliato di cosa si trattasse e di quale metodo fosse stato applicato. La conversazione proseguì poi su toni meno professionali ma senza dubbio non meno discinti. Marta sentiva dentro di sé un fremito sempre più forte e quell’uomo stava usando tutto il suo fascino per riuscire a destare il suo interesse. Fu dopo circa un’ora che Marta ormai sopraffatta dall’emozione, chiese alla hostess di utilizzare la toilette. Si guardò allo specchio e si scoprì rossa in volto, con gli occhi palesemente lucidi e limpidi e con una sensazione inconfondibile lungo tutto il corpo. Provava un senso di eccitazione fisica pazzesco che mai aveva provato prima di allora. Quell’uomo l’aveva coinvolta a tal punto da farle provare il desiderio di fare del sesso con lui, immediatamente. Si vergognò di ciò che sentiva, ma il calore che sentiva tra le cosce, i capezzoli turgidi dal desiderio, il fremito lungo il corpo e il senso si morsa allo stomaco non cessavano e lei non riusciva a darsi pace. Sobbalzò nel sentire bussare alla porta della toilette. Fu quasi spaventata nel sentire la voce di quell’uomo chiederle se si sentisse bene e se avesse bisogno di aiuto. Lei aprì la porta e lo fece entrare. Lui disse che aveva spiegato alla hostess che la sua fidanzata, e quindi Marta, non si sentiva molto bene e che credeva fosse necessario chiederle se tutto fosse a posto. Quando furono uno di fronte all’altra, il desiderio si fece insopportabile. Lui le infilò le mani sotto la maglia a cercare i suoi seni che palpò e strinse con forza mentre con le labbra cercava la bocca di lei. Marta completamente sopraffatta si abbandonò ai sensi. Lasciò che lui la baciasse profondamente, e che le alzasse la maglia per baciarle i seni, mordicchiarne i capezzoli, leccandone la forma tonda e soda. Le slacciò i jeans insinuando le mani nella parti più intime alla ricerca del suo piacere e del suo calore. Percorse lentamente ogni lembo della pelle di Marta, dai seni fino al pube, per affondare la sua lingua tra le grandi labbra del sesso ormai rigonfio per assaporarne il succo. E poi la sollevò delicatamente sulla piccola sporgenza del lavabo e fece scendere i jeans fino a che potesse penetrarla con il suo sesso grosso e duro. Si amarono con violenta passione, godendone fino all’ultima goccia in un’estasi fantastica. Raggiunto l’orgasmo lui la rivestì dolcemente, la baciò sulle labbra e presa per mano l’accompagnò fino al seggiolino dove passò a contemplarla per tutto il viaggio con un accentuato rigonfiamento dei calzoni.

25 settembre 2002


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