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Il volo

Nasce con te e non ti abbandona mai, in ogni momento della vita.

Un’esigenza, un’emozione che non può essere negata, repressa da nulla.

Come una bella donna che, costosa nella sua eleganza, ti eccita e ti lega a sè, senza via di fuga.

E’ un’angolazione, un filtro opacizzante delle brutture umane, che lascia trasparire solo il bello del colore e che eccita la nostra visione.

Così, nella malgama di cielo che ti accerchia, nel turbinio dell’aria che scivola attorno a noi, purifichiamo il nostro animo dall’incoscienza generale intorpidito.


  #proprietà letteraria riservata# §§  in esclusiva per “Voci di hangar”  §§


Lupo Bond

Il volo di Uco

In un ampio alveare naturale nell’alta e verde valle del Sol, viveva una numerosa famiglia di api e tra di esse: Uco il più giovane e piccolo fuco. Trascorreva il tempo imitando gli altri maschi, bighellonando nell’alveare, disturbando le api indaffarate e commentando e sparlando su di loro. Ma i discorsi più frequenti ed interessanti riguardavano il mitico incontro con Ozia, la regina; lui, come molti altri, non l’avevano mai vista eppure s’infervoravano nel descriverla facendo leva sulle proprie fantasie giurando agli altri di averla incontrata veramente. Il più loquace del gruppo era Ioluco, il più anziano, più grosso ed arrogante, vantava incontri si prodigava in descrizioni lasciando gli altri stupiti ed invidiosi; fra i tanti, per l’eccessiva manifestazione di ammirazione, spiccava Soluco che non perdeva occasione per imitarlo ed incoraggiarlo. Il piccolo Uco invece era da lui e da tutti gli altri bersagliato, deriso umiliato e, non potendo competere nei racconti, emarginato e, se chiedeva spiegazioni, gli altri per confonderlo gli indicavano le più goffe fra le api comuni giurandogli: “Quella lì è Ozia!”. I fuchi avevano anche individuato un’area da usare come pista di simulazione dove allenarsi a correre, organizzando fra loro gare informali a cui tutti partecipavano ma che terminavano sempre col medesimo risultato: correttamente o scorrettamente il vincitore era sempre l’ irruente Ioluco tallonato da Soluco. Proprio durante lo svolgimento dell’ennesima gara, la stessa zona fu pervasa da un grande fermento per il passaggio del corteo reale; allora tutto il gruppo abbandonò la corsa e s’accalcò per vedere Ozia, ma la calca rese difficile la visione. Uco giunse per ultimo, trafelato e dovette arrampicarsi sugli altri. “Eccola Ozia” gli disse qualcuno e lui seguendo l’indicazione finalmente la vide. “Questa volta l’ho vista veramente, anzi sono sicuro che lei ha guardato nella mia direzione. E’ proprio bella non come le api noiose che ci ronzano intorno cariche di cibarie!” urlò felice e da quel momento non pensò ad altro, si isolò, sopportò indifferente scherzi ed angherie, non s’impegnò più nemmeno nelle gare preferendo rimanere disteso ad immaginare Ozia. Passò del tempo e venne al momento del volo nuziale: Ozia si liberò nell’aria limpida e tutti i fuchi iniziarono ad inseguirla. Caparbio e rapido Ioluco superò gli altri concorrenti ed ingaggiò un vero duello aereo con la regina e riuscì a raggiungerla ma per meglio impressionarla volle superarla e girargli intorno bruciando così importanti energie ed acconsentendo a Soluco, secondo inseguitore, di agganciare Ozia ed accoppiarsi con lei. Il presuntuoso Ioluco non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi ed indignarsi perché venne eliminato e dopo di lui tutti gli altri maschi. Solo Uco continuò a volare indisturbato seguendo una sua propria pista: in tutto il tempo trascorso nell’alveare aveva immaginato l’inseguimento della sua regina e quando la vide ancora più bella rispetto la prima fugace visione, ignorando gli altri, si tuffò all’ inseguimento, per ben due volte la raggiunse ma lei riuscì a sfuggire, al terzo tentativo lui l’anticipò parandosi davanti a lei nei pressi di una cima di ciliegio, si meravigliò e si congratulò con se stesso per aver anticipato tutti (infatti nessun altro maschio era ancora nelle vicinanze). Ma con suo stupore l’ape che stava di fronte a lui l’apostrofò così: “Stai perdendo tempo, devi seguire il corteo degli altri perché io non sono Ozia la regina ma solo Jolia la sua ancella! Quindi lasciami” e tentò di riprendere il volo ma lui non volle sentire ragione e continuò a fiancheggiarla allontanandosi sempre più dalla sfida regale e iniziando a tesserle continui elogi e raffronti: ” La regina non è forse l’ape più bella dell’alveare? Ebbene tu sei la più graziosa e leggiadra delle api! La regina sa eseguire con maestria voli acrobatici? Sono sicuro che tu sia ancora più abile basta che provi!” Lentamente Jolia si lasciò convincere, smise di respingerlo e continuò a volare con lui e quando Uco si fermò stremato ed affamato lei lo preservò e lo nutrì pur di continuare ad ascoltare i suoi incoraggiamenti. Poi lo condusse al riparo in un favo situato vicino all’alveare in modo di poterlo visitare e nutrire tutti i giorni volando con lui per sentirsi Regina. L’accordo fra i due proseguì fino alla successiva primavera con reciproco vantaggio: il fuco ignorato dalle altre api visse indisturbato forte e ben pasciuto; l”ancella rinfrancata dai continui incoraggiamenti iniziò a raffrontarsi veramente con Ozia, durante il passaggio del corteo reale spesso riusciva già ad attirare su di se l’attenzione offuscando la sovrana, riuscì anche a creare attorno a se un clan di api convincendone alcune a lavorare per lei. Quando il tempo fu maturo per un nuovo volo nuziale Jolia si prodigò per interferire col viaggio di Ozia per sostituirsi ad essa e riuscì a trascinare a se molti giovani fuchi, giunta nelle vicinanze della cima del noto ciliegio si ricordò di Uco ( che nei giorni precedenti al volo aveva trascurato) e s’accorse che non era tra gli inseguitori! Infatti Uco sbaragliando tutti aveva raggiunto Ozia e … si era accoppiato con lei.


#proprietà letteraria riservata#


Dario Biancotti

Il volo delle pojane

Il livello del carburante è basso e diminuisce a vista d’occhio. Ma non è possibile atterrare su questo suolo terribilmente impervio. Non riesco a trovare neppure una piccola striscia di terreno adatta ad un atterraggio in sicurezza. Ma la notte, per fortuna, è illuminata da un’argentea luna piena. Continuo ad aggirarmi col mio velivolo tra le alture che delimitano questa piccola valle perché le nuvole basse m’impediscono di trovare una via d’uscita verso la pianura. Comincio ad aver paura. E’ stato facile raggiungere la valle, ma poi è calata improvvisamente la notte e le nuvole sono scese ad occultare i passi. E così sono rimasto imprigionato in questa gabbia di monti e di nubi. Ho carburante per un ora, ma se non sarò fuori dalla gola entro quaranta minuti, non riuscirò a raggiungere la pista in pianura, e sarò costretto ad effettuare un atterraggio d’emergenza tra questi dirupi scoscesi. Sono un pilota esperto. Ho volato su aeroplani diversi accumulando un’esperienza di migliaia di ore di volo. Ma rischio di morire qui dentro. In questa meravigliosa trappola della natura, ai comandi del mio piccolo velivolo ultraleggero. Si dice che si snodi un film, con le immagini più significative della propria vita, nella mente di chi sta per morire. Chissà se è giunta la mia ora tra queste cime e resterò vittima del mio errore da allievo pilota! Dal momento in cui ho preso coscienza del pericolo di vita un’immagine persistente e nitida mi torna alla memoria: la quercia sulla collina. Era bella la mia collina. Uscivo poco prima del crepuscolo per raggiungerla. Da lassù potevo dominare tutta la valle. Sapevo che a quell’ora la quiete della campagna invitava al raccoglimento, mentre la campana rintoccava il vespero per rammentare alla gente che il giorno stava per finire nel nome di Maria. Cercavo un posto sulla sommità del colletto per accoccolarmi ai piedi della quercia. E col cuore in pace mi stupivo di quell’incanto. Ogni volta come la prima volta. Restavo a lungo in ascolto di quel silenzio magico e solenne che di lì a poco sarebbe stato interrotto dal fruscio delicato e misterioso delle ali delle pojane. Gli uccelli lasciavano i nidi e i loro piccoli, nei pressi del fiume, per raccogliersi sul cielo della collinetta. E volavano in perfetta formazione, felici di eseguire manovre d’alta acrobazia. Al riparo dalle doppiette fameliche dei cacciatori di campagna. Io li aspettavo in silenzio. In genere avvistavo un grosso esemplare in esplorazione. Poi, un poco alla volta, si formava il grande cuneo che ordinatamente effettuava mille evoluzioni sul cielo dell’altura. Le pojane non amano essere osservate. Sono umili e timide. Non desiderano esibire le loro abilità, perché volano per cacciare. E’ il loro modo di sopravvivere. Perciò me ne stavo rannicchiato sotto la quercia. E imparavo a volare. Mio padre era un pilota da caccia. Fu abbattuto nel cielo delle prealpi carniche nel corso di un combattimento. Nel pieno della guerra. Io non l’ho mai conosciuto. Prima del temporale, in certi pomeriggi d’estate, le pojane si levavano in volo dal greto del fiume per raccogliersi sul mio colle e salutare l’acquazzone con le loro evoluzioni. Da piccolo dicevo sempre che da grande avrei fatto il pilota. Come papà. E quando divenni grande volai. Fui un pilota militare ed ebbi l’aquila d’oro. Mentre il comandante del corso me l’appuntava sul petto mio padre era lì con me. Avevo una sua fotografia in tasca. E la portavo sempre nella tasca della tuta di volo quando mi alzavo in missione. Continuai a volare anche quando diventati più grande, come pilota di linea. Poi frequentai l’università e, in occasione della laurea, feci una grande scoperta. Imparai che le pojane avevano ispirato i pionieri dell’aria a costruire le prime macchine volanti della storia! Ma non devo aver imparato la lezione delle pojane né quella di mio padre: la sicurezza innanzitutto! Sono decollato dalla pista in pianura troppo tardi nel pomeriggio. Poi mi sono infilato in questa gola perché mi sembrava la stessa in cui fu abbattuto mio padre. Non mi sono accorto del calar della notte. E delle nubi che si abbassavano sulle cime. Mio padre è morto da eroe. Io morirò da allocco. La benzina scarseggia. Sotto di me vedo sempre e solo montagne. Picchi alti come pinnacoli acuminati e creste affilate come lame taglienti. Nessun praticello per poggiare il fragile carrello del mio aeroplano. Dentro la pancia sento caldo. Sopra la schiena ho un freddo intenso. Sulla testa ho come un peso opprimente. Percepisco rivoli di sudore attraversarmi la fronte. Laggiù, nella mia terra, il campo di girasole è diventato giallo. I semi sono maturi. Il raccolto dovrà essere stivato, altrimenti andrà perduto. Basta sognare… col naso sempre in su, e con gli occhi perennemente rivolti al cielo. Papà è morto da eroe. Me lo dicono tutti. Il campo di girasole è diventato bruno per la grande pioggia che ne ha umiliato le corolle. E le foglie scarne non ricoprono più il terreno né lo proteggono dal sole d’agosto. Ma il sole non c’è più. Quassù fa freddo. E la benzina è agli sgoccioli. Mi sembra di scorgere qualcosa che mi vola accanto! Ispeziono lo spazio circostante. E’ un volatile… A questa quota! Soltanto le pojane raggiungono le vette. Non sono più solo adesso. Andrò a morire in compagnia di una pojana. Mi sembra una magia. Ma ne vedo un’altra… due… quattro… tante… Una formazione di pojane sta volando sul mio fianco sinistro. E punta decisamente verso una nube. La mia mente è attraversata da un conflitto atroce. Ma alla fine decido di affidarmi ai falchi. Ed entro nelle nuvole con loro. Nel buio di questa nube intensa mi sembra d’esser cieco. Procedo mantenendo quota e velocità. Le pojane posseggono un altissimo senso d’orientamento. Volano di notte per cacciare. Non possono fallire. Vanno verso la vita. Con esse posso salvare me stesso e salvaguardare l’incolumità di questo piccolo e prezioso aeroplanino. Ora la luna riappare tra le nuvole frastagliate. E la visibilità si apre a dismisura come una festa. Vedo la salvezza! I piccoli falchi cominciano a scendere lentamente. E io con loro. Ormai docile alle loro indicazioni. Riduco lentamente i giri del motore e seguo la formazione. Mi chiedo se sto sognando. No. Le pojane vanno verso la pianura per procurarsi il cibo. Ecco la spiegazione! E il mio piccolo velivolo è stato inserito nella loro formazione. Il motore continua a girare ma so bene che dovrò appoggiare le ruote al primo tentativo d’atterraggio. Non avrò carburante per una riattaccata e un secondo giro. La “Master Light” è ancora accesa. C’è ancora qualche goccia di benzina dentro l’ala. Sento nella pancia la serenità della planata. La fronte è fresca come l’aria della sera. Il suolo è illuminato dalla luna piena. Sono in avvicinamento finale alla pista zeronove, la visibilità è ampia, il vento è calmo, e sono perfettamente allineato con l’asse. Riposa in pace papà! So che stai vegliando su di me. Sto atterrando con l’aiuto delle pojane che tu mi hai mandato per salvarmi.


#proprietà letteraria riservata#

 



Mario Trovarelli

Un volo drammatico

Ali di farfalla la quota di volo indefinita l’ambiente sconosciuto forse sto volando al consueto livello di crociera o forse no non capisco sono sul mare in un paesaggio quasi balneare dal colore azzurrino l’acqua trasparente lascia scorgere le rughe del morbido fondale sembra quasi che le increspature della sabbia riproducano perfettamente le piccole onde che lievemente muovono la superficie del mare memorie antiche del mare adriatico forse il lido di pescara o la spiaggia di francavilla ortona o forse vasto petali di biancospino un’acqua luminosa e turchina poco profonda e perfettamente chiara mi sorprendo per la lentezza del sorvolo a bassa quota la velocità è bassissima tutto è molto placido e strano da quest’altezza dovrei avere la sensazione di uno scorrimento rapidissimo delle immagini del suolo ma non è così un brivido di preoccupazione mi ghiaccia la schiena non ci sono ostacoli e il mare scorre a velocità lenta guardo gli strumenti sul pannello di controllo secondo i parametri di bordo l’aeroplano sta volando correttamente eppure ho l’impressione di veleggiare è come se stessi galleggiando pericolosamente nell’aria ho strane sensazioni di disagio ma il volo è tranquillo liscio e lieve davvero non capisco il mio disagio aumenta all’improvviso avverto un forte scossone accompagnato da un colpo secco come uno schiocco di frusta zolle di terra appena arata un fulmine una gigantesca scarica elettrica a ciel sereno guardo avanti con un presagio di catastrofe il mare blu dal fondo sabbioso il sole e l’azzurro tutto scomparso di fronte al musone del grosso quadrigetto ora vedo con sorpresa il buio nero più pesto ma quando un lampo abbagliante rischiara tutt’intorno è troppo tardi il fianco roccioso di una montagna mi compare minaccioso davanti e si avvicina celermente ho un lunghissimo istante per realizzare il senso di quello che mi sta capitando e comincio a ricordare dream sono decollato da milano otto ore fa con destinazione tokyo il volo verso oriente contrae il tempo perché la velocità del sole che ci viene incontro si somma a quella dell’aeroplano che avanza verso il sole si parte con la luce del giorno ma il buio sopraggiunge rapidamente sono un primo ufficiale di B747 in servizio di linea il comandante si è ritirato in cuccetta per un riposino le sue ultime parole mi hanno suggerito di non spegnere il radar abbiamo cumulinembi di prua ad alta quota poi il rollio dolce di una lieve turbolenza che preannuncia temporali lontani il buio del sole tramontato di fretta dietro uno strato spesso di nuvole nere il pennello verde dello schermo radar che disegna il contorno luminescente di grosse nubi all’orizzonte devo essermi assopito foglie d’ortica eleganti e carnose invitano alla carezza sono l’unico pilota ai comandi e sonnecchio lasciando abbandonato a se stesso l’aeromobile forse ho socchiuso gli occhi per sognare il ricordo mai sopito di una nostalgia struggente dev’essere accaduto così ho cominciato a percepire qualcosa che assomiglia all’umore che un tempo assai lontano annunciava i temporali di casa nella campagna d’abruzzo l’erba che sale fino alle narici il fragore delle nuvole basse che si affrettano all’adunata sul monte corno del gran sasso la valle della pescara che si adombra in vista della grande pioggia tutti dentro ché fra poco pioverà raccomanda la nonna colte di sorpresa le pecore si svegliano dal torpore della giornata al pascolo e indispettite rincasano mentre il nonno chiude la stalla le prime gocce cadono sempre troppo presto come troppo presto svanisce l’infanzia spensierata oggi a casa anzitempo per assaporare tutti insieme il profumo delle patate arrostite sotto il coppo e per parlare per ascoltare le preoccupazioni del nonno sui danni che il temporale farà sulla campagna l’anno passato non era piovuto quasi mai e il raccolto era stato magro quest’anno pioverà troppo se comincia così presto e la pescara strariperà raggiungendo il tratturo e inondando d’acqua e limo tutti i campi della piana il raccolto sarà di nuovo scarso la parete rocciosa di duro granito con quella sorprendente eleganza dei suoi ricami d’un candido rosato viene incontro a questo sogno infantile per infrangerlo trecentocinquanta passeggeri a bordo affidati ai miei sogni di bimbo infelice è la fine ho paura poche centinaia di metri mi separano ormai dalla catastrofe sadicamente illuminata da un lampo temporalesco tra le pieghe della dura roccia riesco a riconoscere alcune chiazze bianche di ghiacci d’alta quota e delle oasi di piante d’alto fusto conifere dai tronchi dritti e affusolati come alberi da vela un bel paesaggio davvero che sciocchezza sto per morire uccidendo trecentocinquanta passeggeri paganti e ignari e io mi godo il panorama olmi e ulivi salici e querce sono altrove la mia terra d’abruzzo è assai lontana il tempo sembra dilatarsi all’infinito come per darmi l’occasione di soffrire fino in fondo l’orrore d’una morte colpevole cerco nella mente il ricordo dei miei cari ma il pensiero s’inceppa e non riesco a rammentare i loro volti né i loro nomi mi ritrovo da solo con me stesso in un istante che sembra congelato flash di luce accecante e inutile per un attimo preferisco pensare di essere impegnato al simulatore di volo o di essere annebbiato dal sonno della stanchezza o dall’alcool ma io sono astemio e il pensiero consolatorio non funziona ritornano insistenti le parole del comandante sta’ attento ai temporali e tieni gli occhi aperti e il radar acceso sta’ attento ai pericoli del mondo riecheggia la voce dolce e premurosa della mia nonna contadina mentre mi stringe per l’addio e mi mette nella tasca un pugno di terra preziosa per non doverti separare mai da noi mi disse mi ero messo ad osservare quella catena interminabile di clusters che si muovevano come materia viva ad ogni passaggio del pennello elettronico intanto la fantasia si era abbandonata alle leggende che i piloti anziani raccontavano sui cumulinembi le fucine del cielo fabbricano blocchi di ghiaccio del peso di un grosso meteorite per poi sollevarli verso l’alto come foglie al vento i fulmini schioccano a ritmo incalzante rischiarando a giorno quello scenario infernale non succede niente dice la mamma al bambino spaventato e mentre le bombe esplodono incessanti io mi nascondo nel petto caldo della nonna buona che sa di latte i tuoni irrompono in cabina provocando terribili boati la pioggia diventa orizzontale a causa dell’enorme velocità dell’aereo e impatta i finestrini anteriori con rumore assordante il ghiaccio cattivo della pioggia sopraffusa rischia di bloccare le superfici di comando non voglio morire invoco dio mi ascolta scoppia il pianto dentro di me ma il mio volto resta immobile tutto nel breve volgere di un attimo addio mia terra lontana è l’inferno una ripetizione eterna dell’errore fatale senza avere la possibilità di cambiare niente mi affido all’onnipotente e inaspettatamente l’aeroplano s’impenna in una cabrata quasi verticale la vertigine mi prende lo stomaco è come se la pancia del grosso velivolo ormai prossima all’impatto si rifiutasse di scontrarsi con la roccia viva e all’ultimo momento trovasse una via di fuga in un baleno l’aria si rischiara in cielo terso sono riuscito non so come a svettare ora posso vedere la sommità del monte disseminata di macchie sempre più frequenti di verde erba di pascoli d’alta quota è la majella o il gran sasso con in cima il monte amaro o forse il monte corno ma cosa importa dove sono se il sereno d’improvviso torna a splendere dal finestrino di destra scorgo una chiesetta con il suo chiostro che ha tutta l’aria d’un piccolo convento di nuovo immagini familiari di vita antica ricordi struggenti dell’abbazia di santo spirito a majella o del santuario del volto santo in manoppello dio mi ha ascoltato e sono salvo ora posso finalmente svegliarmi dal mio ricorrente incubo notturno fiori amari e senza colori dentro la tomba sono terrorizzato dalla morte e felice della vita il mio pensiero corre al santuario di montagna e ringrazio dio per avermi consentito ancora una volta di ridestarmi dal mio brutto sogno ho scoperto che dio non vola soltanto per i cieli dell’abruzzo forte e gentile egli è dappertutto e veglia su tutti i piloti credevo di aver fermato il volo abbandonando l’aeroplano invece ho perso le ali lasciando manoppello troppo presto ho smarrito le mie colline ma è sempre troppo presto quando si parte dall’abruzzo adesso lo so e forse un giorno potrò continuare a vivere senza più scontare sulla terra le angosce di un pilota che troppo presto ha smesso di volare

Alla Cavalleria dell’aria. Con riconoscenza!


# proprietà letteraria riservata #


Mario Trovarelli

Un volo drammatico

jumbojet tunnoeL’uomo della strada può camminare con il naso all’insù e perdere la testa fra nuvole ma un pilota … ai comandi di un quadrigetto con trecentocinquanta persone a bordo, può permettersi di guardare all’ingiù e sognare la sua terra e le sue montagne? La sincera testimonianza che anche i piloti sono uomini, forse anche più sensibili e più vulnerabili di tutti gli altri “uomini”. Un racconto senza inizio né fine, senza punteggiatura né pause: originale anche nell’estetica grafica.


Racconto / Medio-Breve Pubblicato nel sito: Narrare e E-writers