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Il primo lancio

Ero il più giovane su quella macchina pazza che andava da Modena a Torino su strade non proprio prive di buche, anzi. Il più giovane di quattro amici disparati: uno di diciotto, due di 30 e un medico di 40. Niente ci legava nella vita, ma una pazzia ci faceva legare più che fratelli. Ci piaceva ubriacarci d’emozione, sentire l’adrenalina scendere in vena, darci il senso del brivido anche stupido ma sentirci gasati, sicuri, superuomini tra rammolliti. Ruggero, il medico, ci raccontava che eravamo drogati. Schiavi di una droga naturale che solo il pericolo o la paura poteva dare. L’avevamo sperimentata il roccia, in moto e, ora, la si sperimentava in cielo, quell’adrenalina. Eravamo al terzo lancio col paracadute, si voleva a tutti i costi il brevetto dei sei lanci e non ci saremmo mai ritirati prima. Una questione d’onore con noi stessi. Giungemmo al raduno già stanchi, occhi arrossati e labbra secche. L’esercito, o meglio, i para’, come ci piaceva chiamarli in ricordo di Massu, il colonnello francese de Para’ d’Algeria che seguivamo nelle imprese. I para’ fornivano paracadute e Direttori di Lancio e l’aviazione vecchie vacche volanti, gli SM.83, se ricordo bene. Il raduno era in piena Torino e il Comune ci dava un pulmino da ragazzi. Quella volta eravamo in tanti, comprese cinque donne più pazze di noi. Erano infagottate il tute militari; chi l’aveva adattata al suo fisico e chi, come la rossa, larga e impacciata; si vedeva che era la prima volta. Io, felice della mia verde oliva americana, trovata a Livorno, al mercatino, l’adocchiai subito e lei adocchiò me. Avrà avuto la mia età o poco più vecchia: legammo subito. Era davvero il suo primo salto. Io, forte dei primi tre mi sentivo un nonno. Lei beveva ogni cosa che dicevo, registrava ogni consiglio che davo, mio Dio, ero proprio gasato. Lasciammo salire tutti, noi fummo gli ultimi e, beninteso ci tocco il posto in piedi, appiccati alla barra centrale. Qualcuno dietro spingeva, altri spingevano contrari e fu giocoforza che i nostri corpi condividessero lo stesso spazio Come profumava di pulito. Il pulmino si stava già riempiendo di quell’odore classico di sudore, paura, e eccitazione, riempivano spazi ristretti, come fusoliere d’aeroplani. Era il mio odore, ma non il suo, Lei profumava di donna e di pulito. I capelli respirati m’entravano in bocca, Lei cercava di scostarsi ma non poteva e, lentamente roteando la nostre bocche sentirono l’una l’inizio dell’altra. Eravamo timidi e in pubblico. Ma si sentiva che eravamo eccitati. Le scosse che ricevevamo portavano i nostri inguini sempre più pressati contro l’inguine dell’altro e confesso che fu estremamente difficile mantenere solo quel principio d’erezione. Ero un Para’, dovevo vincermi. L’andata fu una specie d’inferno gradito. Il mio corpo incastrato nel suo come parte mancante per un insieme perfetto. Era caldo il suo corpo, caldo e morbido. Il suo respiro lieve ed eccitato come il mio, il cuore un motore d’aereo. Ci trovammo vicini alla imbracatura, seduti sull’erba, in attesa dell’involo. Salii per primo e Lei dietro. Per lanciarci si doveva fare il percorso inverso. Avrebbe dovuto fare il salto davanti a me e questo non mi piaceva. Se uno dalla paura si ferma o lo butti sotto o lo recuperi staccando in gancio. È sempre una operazione che se anche fatta veloce è lenta alla relatività dell’aereo e, o salti fuori campo o salti al prossimo giro. Non li si buttava di sotto. Incominciarono ad uscire sotto l’ordine del Direttore di lancio: – Fuori, uno, fuori due, fuori … – Lei era la decima, io l’undicesimo. Chiamò, l’ottavo, Lei si voltò a guardarmi sotto quel buffo elmetto, vidi quello che parve un lampo di paura. Dio, non si butta, non si butta … Non ebbe esitazioni e volammo fuori nella scia dell’aereo come due angeli. La fune di vincolo ha uno strappo predeterminato. Ti sembra di precipitare a sasso e senti un gigante trattenerti con uno strappo violento, poi, dondoli, dondoli nel vento. Eravamo a poche decine di metri, mi guardò, rideva. Viso rosso, eccitata, bambina e rideva, io risi con lei. Fu un amplesso a distanza e in aria. Sentii come entrare in lei e lei mi sentì entrare e mi gridò: – Ti voglio ora. – Scendemmo godendo con tutto noi stessi. Ero turgido, ma non emisi nulla. Forse Lei bagnò. Ci trovammo a terra, non c’era che un poco di vento e mi buttai sul suo paracadute sgonfiandolo e, lei, capì e si buttò sul mio, quasi sopra al suo. Ci trovammo quasi l’uno sopra l’altro. Ma le bocche si riuscirono a trovare, le lingue scattare, come eravamo vivi. Ci sentivamo eccitati, contenti d’essere a terra e rotolammo abbracciati. Avevamo vinto la paura, il terrore e ora si godeva la vita pieni d’adrenalina. Mi soffregai poco su di lei, quasi un attimo e la bloccai: quello che non era uscito in aria uscì sulla terra. Chiusi gli occhi, aspirai nelle sue orecchie e godetti da come non avevo mai goduto. Lei sorrise, si fermò, mi spinse il corpo contro e mi lascio godere, forse godendo anche Lei a occhi chiusi, non avevamo intorno nessuno. Ci muovemmo come per una copula. Ci muovemmo selvaggiamente nascosti dalla seta bianca. Un’ora? Un giorno? Una vita? Forse pochi secondi! Raggiungemmo l’orgasmo insieme guardandoci negli occhi. Mai avevo visto viso di donna trasformarsi così: un attimo belva e l’attimo dopo un Angelo sereno e disteso dove appariva tutto il miracolo della vita che scorreva ora placida nelle nostre vene. Ci chiamarono, recuperammo il paracadute e ci separammo, Lei tornò con il camion, il Sergente era un suo amico e rischiò il trasporto di un civile. Forse sarebbe stato lui ad amarla quella notte. Non ho mai saputo il suo nome ma ricordo ancora il suo viso disteso e bello, 30 anni dopo.


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Loro: uomini duri dell’aria

Ciro era seduto al tavolo del bar ristorante dell’Aeroclub. Pervaso da quella strana sensazione di essere ormai finalmente parte di quel gruppo di privilegiati, distaccati e poco disponibili aviatori con centinaia o migliaia di ore di volo segnate sul libretto di volo. Si sa, troppo impegnati a mantenere la concentrazione anche a terra e con quell’espressione da “duro-che-io-sì-che” per concedersi frivolezze da uomo comune. Loro volano, mica giocano a briscola al bar!?.

Tagliatelle con ragù alla bolognese presero per alcuni istanti l’attenzione della tavolata.

Finalmente gli era concesso, immeritatamente pensava (ma non l’avrebbe ammesso mai), di pranzare insieme al presidente dell’Aeroclub, i due istruttori anziani ed alcuni dei più promettenti allievi piloti commerciali che da lì a qualche mese avrebbero preso posto presso qualche compagnia aerea. Volle calarsi nella parte. Ciro lasciò posto ai suoi pensieri che in fondo, volare, era poi una competenza acquisita per nulla particolare. In fin dei conti un po’ come quando iniziò a guidare per la prima volta un’automobile: doveva guardare prima i piedi, poi la mano sul cambio, le mani sul volante, pensare, pensare in fretta alla sequenza di azioni, gas, frizione, cambio, volante, freno, freccia … gli specchietti, ho dimenticato gli specchietti … e ricordarsi di tornare a guardare la strada, accorgendosi che stava andando contro al marciapiede. Impossibile da farsi tutte quelle cose insieme. Ma ben presto, poté osservare che, già dopo poche ore, non aveva più bisogno di pensare a tutte queste cose. Erano diventate automatiche e le effettuava mentre volgeva ogni tanto la testa chiacchierando con il suo passeggero, mentre contemporaneamente smanopolava sui comandi dell’autoradio per cercare una stazione migliore. E magari abbassando pure il finestrino. Volare in fondo non è la stessa cosa? Sì, d’accordo, ci sono i controlli, la navigazione, le regole e le comunicazioni e c’è una dimensione in più; ed in caso di guasto, non c’è, in aria, la corsia d’emergenza dove accostare. Istruttori, e soci esperti dell’Aeroclub non ti hanno mai insegnato i trucchetti che solo l’esperienza ti darà per pilotare meglio. In diverse occasioni s’era reso conto che gli insegnamenti erano più protesi a complicare le cose rispetto a quelle che erano nella realtà, ma perché? L’esperienza, quella, te la devi guadagnare, così come se l’erano guadagnata loro … ma anche dopo, ognuno di loro aveva quell’atteggiamento di “tanto-tu-non-sarai-mai-come-me-e-non-proverai-mai-situazioni-avventurose/difficili-da-cui-io-me-la-sono-cavata-mentre-tu-…-tu-non-te-la-saresti-mai-cavata”. E forse avevano anche ragione. Ciro, Ciro c’aveva messo 34 anni per potersi permettere di prendere l’agognata licenza di volo a vista (VFR Visual Flight Rules, n.d.A.) e già aveva in mente di passare a quello strumentale. E non ultimo, aveva nel cassetto centinaia di fax, e-mail e telefonate ad aziende costruttrici d’aerei perché avrebbe acquistato il suo aereo. Se le cose nella sua azienda fossero andate secondo le previsioni. S’informava, su tutto. Non voleva trovarsi davanti ad imprevisti a cose fatte. Non è questa una sana regola dell’aviazione? Prevenire prima, sempre, tutto. Li voleva prevedere ed evitare i problemi. Niente di più, niente di meno di quello che ognuno fa prima di attraversare la strada o, di compiere un azione sul lavoro o nella vita privata.. Ma non era facile. Spesso Ciro sbatteva contro muri spessi di cemento armato. L’omertà che gravitava, gravita nell’ambiente è quella dettata dal non volere scoprire le carte custodendo gelosamente chissà quali segreti. Non rivelare a chicchessia, nemmeno a chi è ormai dell’ambiente trucchi e segreti (ma quali trucchi e segreti??). Nessuno contribuiva a semplificarti la strada. A nessuno passava nemmeno nell’anticamera del cervello che fornirti la strada più breve, quella da loro già sperimentata, avrebbe permesso ad una persona in più di entrare in quel mondo prima, allargandone le dimensioni e trascinandone probabilmente nuove. La cosa strana, pensava Ciro, è che più importante era la persona o l’Ente che interpellava (che avrebbe potuto prima e meglio fornirgli i consigli più giusti per colmare il ritardo di cui si sentiva parte) e più questi, non sembravano, ma erano davvero reticenti, nel fornire le informazioni richieste. Bho …? La cosa strana, pensava Ciro, è che questi Enti, Aeroclub, istruttori e piloti dilettanti o professionisti, passavano tutto il loro tempo a lagnarsi di quanti pochi siamo e di quanto poco peso si ha per potere allargare i confini del volo. E di quanto racchiusi in un ghetto si sentivano, senza opportunità d’uscirne.. Ma facendo così, nulla cambiava. Ciro era sorpreso di queste stupidaggini. Perché perdere tempo a lagnarsi? Sarebbe, è meglio utilizzare quel tempo, quelle energie per fare qualcosa di positivo, poi le cose sarebbero venute da sole.

Intanto erano passati al secondo.

Renzo entrò nella sala con la sua andatura goffa ed un po’ impacciata. Ciro fu il primo a salutarlo, parte del resto della tavolata non lo salutò nemmeno, l’altra lo fece con sufficienza e qualche risatina. Renzo era reo di avere conseguito la licenza di volo a sessantaquattro anni. Non senza difficoltà. Faticava ad acquisire le nozioni pratiche di volo, teoriche di navigazione e risultava un po’ duro di comprendonio, aveva difficoltà nella gestione delle comunicazioni in volo e l’età non lo favoriva certo nei movimenti. Insomma, era, è la barzelletta dell’Aeroclub. Renzo è un ingegnere meccanico, ha fondato, dirige una azienda che possiede. Affabile, è la persona con cui si passa volentieri piacevoli momenti. Riesce a spiegarti aspetti complessi del suo lavoro con la straordinaria capacità di renderti semplice ciò che non lo è per nulla, almeno per chi non è ingegnere come me. Sciorina formule e concetti matematici da rabbrividire. E’ riuscito a spiegarci in pochi istanti il “sestante” che utilizzava nelle sue numerose navigazioni a vela effettuate in gioventù intorno al mondo, molto prima dell’avvento dei GPS … ed è ricco di tante altre competenze. E’ inoltre reo anche di divulgarle e farle comprendere … Proprio in antitesi alle leggi delle persone del volo. Per questo Ciro, anziché evitarlo, lo accompagna in volo volentieri; anziché rifiutare, cerca di minimizzare ogni suo intervento sugli strumenti e  comunicazioni dove Renzo risulta impacciato, in un rapporto di sana collaborazione nelle cose da fare. Renzo conosce bene i suoi limiti e non affronta voli che possano superare le sue capacità. Per questo preferisce condividere il volo con chi può dargli una mano. E Ciro lo fa volentieri perché sa che Renzo gli renderà qualcosa d’altro in cambio arricchendolo di cose che non conosce. Ciro ha notato che in fondo, volare, non è difficile e che forse, molte persone invece lo ritengono tale. Molti di coloro che volano, invece, non hanno altro che quello ed intendono preservarlo, senza rendersi conto che proprio quell’atteggiamento limiterà l’espandersi delle opportunità per loro stessi. Ciro, nel frattempo, ha ordinato il suo aereo che arriverà nel 2003. Naturalmente questo non gli ha attirato troppe simpatie da parte delle persone gravitanti nell’Aeroclub. Ma come?!? Loro pensano, non di non avergli dato nessuna informazione utile, sono sempre rimasti nel vago e quelle poche fornite gli erano state date con settimane, mesi di ritardo … e, nonostante tutto è arrivato a realizzare il suo sogno?!?

Caffè …

A Ciro spiace per i limiti di queste persone, vorrebbe potere essere loro utile ma si è reso conto che fare il Don Chisciotte non fa per lui. Rimane disponibile ad ogni interrogazione, risponde con dovizia di particolari dove sa di potere fornire esperienza maturata, ammette apertamente i propri errori affinché qualcuno possa evitarli preventivamente. Riceverà il proprio aereo, farà i controlli pre-volo, vi salirà, girerà la chiave mettendo in moto effettuando i controlli pre-decollo e lo utilizzerà nel rispetto delle regole, ben conscio che non esistono corsie di emergenza in aria.

Bene, grazie della compagnia, Ciro torna al lavoro. Una buona giornata a tutti.


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Maurizio

La farfalla e il cervo volante

La farfalla uscì dal suo bozzolo in cui credeva di rimanere racchiusa per sempre, destinata ad osservare quello che la circondava attraverso le pareti semitrasparenti che la tenevano prigioniera. Aguzzava la vista, l’udito e la propria sensibilità, provava sempre nuovi bramosi desideri per quel mondo che non sembrava poterle essere concesso. Ah, se solo potesse… I suoi sensi si esaltavano… Ma un giorno forse aiutata da qualcosa che lei stessa non è in grado di identificare, il bozzolo che la teneva prigioniera si schiude. Vola libera verso quello che aveva sempre agognato e sembrava non poterle essere accordato. Può finalmente attingere in prima persona attraverso la sua nuova vita… E’ bella, colorata e dispensa felicità tutt’attorno; è felice. Ma non è preparata a riconoscere quello che la circonda per quello che è in realtà. Si trova adulta con la corazza di una bambina in un mondo adulto che ha costruito con il tempo le proprie difese spesse come una corazza di acciaio. E’ una preda facile. Le sembra che il mondo intorno la accolga ansioso, perché sembra abbattere le stesse difese che hanno poi inaridito tutto quanto, grazie alla sua ingenuità. Basta una carezza uno sguardo per farla sentire così importante e accettata, lei che pensava non “essere nulla”… E vola, vive, vuole assaporare tutto e si dona senza riserve, fino a dimenticarsi che la sua vita è fragile e breve, del tutto. Un cervo volante, che non godeva dagli altri della bellezza e leggerezza della farfalla, abituato dietro la sua spessa corazza a ritagliarsi una vita lottando per la sopravvivenza con le sue robuste corna che lo rendevano ancora più brutto di quanto il suo corpo monocolore già non bastasse, aveva, attraverso un percorso diverso sviluppato anch’esso una grande sensibilità. Osservava da lontano la farfalla volteggiare leggera… Lui per cui volare significava dolore ed era necessario tuttalpiù per mettersi al riparo da qualche insidia che lo minacciava, sapeva sì apprezzare il volo di quei colori nell’aria. Grazie all’ingenuità della farfalla che riusciva a trovare qualcosa di interessante in ogni cosa gratificando se stessa e alleviando così il grande dolore di un tempo presente in qualche angolo ancora dentro di lei, il cervo volante ebbe il coraggio di rivolgerle la parola. Era già l’estasi per lui. La farfalla amava ascoltarlo, acquisiva esperienza e sicurezza da lui che, a sua volta sentiva la sua vita per questo meno inutile. Il cervo s’innamorò profondamente della farfalla, ma aveva molti dubbi per quando lei si allontanava per volteggiare nell’aria attratta da un profumo o perché non si sentiva abbastanza all’altezza di sostenere la sua bellezza. Fece del suo meglio per dispensarle consigli, conferme e coraggio e proteggendola da alcuni attacchi ricevuti. C’era però ancora tanto mondo da scoprire che attirava la farfalla, sì il cervo le era stato d’aiuto e avrebbe dato la vita per lei, ma sentiva che ormai aveva già acquisito la giusta esperienza per volteggiare leggera ed arricchirsi maggiormente, senza dovere “dipendere dagli altri”…così come aveva sempre dipeso dal suo bozzolo… Non riconosceva che a volte era il vento a portarla con se, pensando al contrario di avere lei provveduto a spostarsi di sua iniziativa fino a trovare uno splendido nuovo fiore su cui posarsi. A questo contribuiva altresì il fatto che a volte riconoscesse effettivamente un pericolo in tempo e non le occorresse poi molto per tornare ad accucciarsi sotto le grandi corna del cervo volante al sicuro. Smise poi di ringraziarlo per questo, perché in fondo lei le concedeva già le sua presenza così acclamata da tutto il resto. Il bosco e i prati osservavano sorpresi ma lieti quella strana ma altrettanto naturale e così completa coppia volargli intorno. Non era usuale, ma sembrava fossero stati creati l’una per l’altro. Dalla sua spessa, a volte dura esperienza il cervo volante non avrebbe mai potuto, e in nessun modo intenzionalmente, farle del male. Amava dispensarle consigli, ma anche riceverne, attraverso la sensibilità che la farfalla possedeva capace di decifrargli sentimenti che anch’esso aveva provato ma senza riconoscerli così profondamente, che lo miglioravano per se e per gli altri. Sapeva che il dolore da lei provato nel bozzolo era stato grande ma non immaginava fosse così profondo come era stato in realtà, potendolo solamente paragonare al suo, di quando nascosto sotto una foglia su un ramo, rimaneva ad osservare la bellezza del mondo che lo circondava, che in sua presenza sembrava chiudersi a riccio. Il cervo, abituato a soddisfare i bisogni primari alla sopravvivenza, cresceva ogni giorno grazie alla farfalla, comprendendo da lei sempre nuovi e migliorativi comportamenti; le sue precedenti esperienze rendevano però più difficile questo percorso, seppure a più riprese egli avesse riscontrato benefici oggettivi da questi. Le concedeva volentieri di potersi recare ogni volta lo avesse voluto in una stanzetta segreta e ben nascosta da lui ricavata nel tronco di una grossa quercia, in cui teneva gelosamente custodito alcuni per lui cimeli della sua faticosa battaglia con la vita. L’aveva pregata solamente di fare attenzione a maneggiare alcuni di questi, come tre uova disidratate di un grosso ragno da cui era sfuggito alla morte, o, come un pezzo di corna che il tempo aveva ormai reso fragilissimo, conquistato in un attacco subito da un forte e prepotente cervo volante per strappargli il territorio, da cui era uscito vincitore con astuzia e coraggio. La farfalla pure senza esternarlo, gli era grata di questa concessione. Insieme, col tempo, la cupa corazza del cervo sembrava essersi assottigliata, le sue corna sembravano addolcite, meno pungenti e minacciose, anche volare non gli provocava più quel dolore fisico che aveva dovuto ogni volta per necessità sopportare. Una volta la farfalla entrata nella stanza segreta, dove si sentiva partecipe alla vita del cervo, mentre sognava, si fece scivolare dalle mani quel pezzo di corna che finì sulle uova del ragno. Tutto andò in mille pezzi. Non ebbe il coraggio di confessarlo al cervo, non avrebbe dovuto temere la sua reazione per tutto quello che le aveva fino ad allora dimostrato; piuttosto, volle cancellare l’accaduto per evitare, come in altre occasioni, non di sentirsi inferiore al cervo volante, ma di riconoscere a se stessa il proprio errore, che l’avrebbe ricacciata nella lotta eterna che spesso ancora infuocava dentro di lei e che lei stessa cercava di sedare con le sue stesse forze, senza rendersi conto che il grande valore che lei credeva di assegnare alle cose che la circondavano, era a volte superficiale; la sua estrema sensibilità, la sua lotta interiore, le impediva di riconoscere il valore reale di queste, così contemporaneamente a volte preferiva ritenere, credendo di comprendere sempre tutto perché era quello che perseguiva maggiormente, di essere sempre nel giusto, permettendole di giustificare ogni sua azione, pure di non ricadere nelle sensazioni provate nel bozzolo. Fu così che partecipò con stupore insieme al cervo a quella scoperta. Fu sorpresa della sua reazione; sapeva quanto lui tenesse a quelle cose: “sono sconfortato, ma non è dipeso da me e non posso in alcun modo porvi rimedio”, disse, solo un velo di tristezza avvolse il suo viso mentre raccoglieva i cocci per poi buttarli. Quel comportamento ebbe l’effetto di farla sentire ancora peggio. Ella avrebbe voluto essere come il cervo, stava già combattendo per migliorarsi, ma le sembrava di essere costantemente in ritardo o inferiore al proposito, benché il cervo cercasse in cuor suo di confermarle ogni suo nuovo traguardo raggiunto o di dimostrarle quanto fosse stata in realtà capace in diverse occasioni; lui cercava di farglielo notare, ma nonostante avesse già compiuto passi importanti che avrebbero dovuto rassicurarla, il suo stesso impegno al proposito la faceva sprofondare in un conflitto interiore sempre più grande. Ella avrebbe minimizzato tutto ad una veloce alzata di spalle, o, pianto per tre giorni. Si sentì ancora peggio, per non essere neppure riuscita a confessarlo, ma mentre lottava fra questi sentimenti, altri le impedivano di riconoscerli razionalmente per la sua stessa sopravvivenza. Ben presto il cervo volante, contrariamente al suo volere, divenne il nemico principale della stabilità della farfalla. Il suo senno, la sua esperienza, erano le stesse cose che avrebbe voluto vedere riflesse di se stessa in uno specchio, le stesse per cui lei faticosamente lottava ogni giorno con se stessa e ciò la rendeva ancora più fragile; i suoi sentimenti contrastanti sviluppati durante la permanenza nel bozzolo, iniziarono ad individuare ognuno di questi aspetti del cervo, che avrebbero potuto al contrario essere da lei usati per se stessa positivamente, come attacchi personali che il cervo le muoveva ogni giorno. Avrebbe potuto scegliere di approfittarne al meglio, ma accettarlo la avrebbe rimessa in conflitto con se stessa provocandole dolore, quel dolore di cui disperatamente cercava di sbarazzarsi; si limitò a constatare che stare insieme al cervo volante la faceva stare male come un tempo ed iniziò ad allontanarsene. La farfalla volava, pensando, se pure fra qualche dubbio,  di avere ora finalmente in pugno la propria vita, senza più il malessere che il cervo le provocava. Il vento, repentinamente rinforzatosi, continuava a trasportarla con sé, furbescamente fiero di riuscire a farle credere di esserle invece d’aiuto. La stagione delle piogge stava per prendere il posto della primavera e dell’estate fino ad ora vissute dalla farfalla. Il cervo volante tornato ad osservare i movimenti del bosco da un ramo nascosto sotto una foglia, mentre continuava a pensare alla “sua” farfalla così diversa e speciale da altre conosciute nel frattempo, ne uscì per qualche istante. Scelse una foglia più grande e più vicina al ramo sotto cui si rannicchiò. Malinconicamente riconobbe come, ancora una volta, il primo pensiero prima che a se stesso , fosse andato a lei. Stava per arrivare un temporale. Con rimpianto ricordò di non avere avuto il tempo di metterla in guardia da quell’insidia.


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Maurizio

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Quando ancora non c’erano gli aerei i piloti facevano le acrobazie per terra. Dopo, la pattuglia, ha fatto acrobazie prendendo assetto definitivo. Adesso è formata da:

Toz, con al suo attivo 9 ore di volo. Non molto bello piace ai velivoli, che si lasciano guidare da lui. Difetti: il suo successo fa ingelosire le torri di controllo; è sposato con un DC 9. Il suo codice è Picchio, si getta in picchiata a capoficco.

Gru: di lui si sa solo che è entrato in aviazione per sbaglio. Nessuno ha avuto il coraggio di mandarlo via.

Zig: aitante, di buona famiglia. Cerca aereo longilineo per voli notturni. Misure ideali: apertura alare 14 metri, vita 20, fianchi 2. Possibilità di grandi acrobazie.


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Francesco Massinelli

A passeggio fra le nuvole

Tira un vento forte e tiepido, un vento di primavera precoce, poiché non é ancora metà Marzo, uno di quei venti che creano mulinelli d’aria portando con sé cartacce e polvere, facendole turbinare un poco, come per gioco, e poi lasciandole ricadere al suolo, per levarsi verso l’alto quasi a riprender nuovo vigore. L’aria s’infila sotto le giacche ancora invernali, fa volare i cappelli come se un qualche monello si divertisse a prendere a scappellotti le nuche degli uomini, s’infila nelle case dalle finestre socchiuse e depone polvere grigia sui pavimenti, sotto le tende, scarmiglia il prato dove l’erba sta rinascendo, s’alza e scompiglia le chiome dei cedri, s’insinua fra gli aghi dei pini, decapita un fiore – oh, come mi dispiace -, accarezza le prime margherite e le viole nell’aiuola proprio davanti alla casa, mentre in alto nel cielo chiaro trasvolano leggeri fiocchi di nuvole come fatte di garza o forse di tulle bianche e azzurrine e rosate: sembra che il mondo si faccia il make-up per rimettersi a nuovo. La gente se ne va per le solite strade e s’accalca alla fermata dell’autobus – é in ritardo, mai una volta che sia in orario – e laggiù, alla rotonda uno non ha rispettato lo stop ed é andato a sbattere contro l’auto che aveva la precedenza e, no, non ci sono feriti, ma i due stanno litigando e forte, anche. Passano ragazzi in motorino, approfittano già del bel tempo per tirar fuori le moto e passa un vecchio in bicicletta, pedala adagio e ad ogni pedalata sembra di sentire scricchiolare l’articolazione del ginocchio. Arriva l’ autobus – era ora – e la gente sale e si fa spazio alla fermata, sotto la pensilina che il sole scalda non rimane nessuno. Il merlo dalle piume nere e lucenti il becco giallo guizzante fra gli occhi tondi e scintillanti come schegge di giaietto é finalmente solo, apre le ali e su nel vento, con il vento se ne vola via a fare una passeggiata fra le nuvole piene di luce. Man mano che s’alza le auto le case le persone rimpiccioliscono e non sembrano avere nessuna importanza: non hanno importanza, non sono niente e il merlo lo sa. Eppure passa gran parte della sua vita laggiù, fra lo strepito che non comprende, con la paura che spesso lo allontana di corsa dalla briciola caduta a terra, perché laggiù ha fatto la sua casa di fili d’erba secca e profumata dai gas di scarico, fra i rami dell’ albero sul limitare del prato, laggiù. Ma tutto il suo mondo é in alto, nello spazio dove volteggia e fa acrobazie e chiacchiera allegro con colombi paffuti, passeri ancor gonfi d’inverno, fringuelli ciarlieri: “Come va?” e “Buon giorno, visto che bella giornata?” Vola fra le nuvole chiare e gode dei volteggi eleganti e delle ali tese a seguir le correnti dell’aria. Dalla mia nuvola bionda lo posso vedere e lo seguo con lo sguardo fin che riesco. Mi sono seduta un momento per riposarmi e godermi il panorama, ma adesso riprendo la mia passeggiata. Non rinuncerei mai alla mia passeggiata fra le nuvole, il primo giorno bello dopo l’inverno, anche se so, lo so, lo so, che dovrò anche questa volta, ridiscendere giù, alla fermata dell’autobus. Ma intanto, mi rimangono ancora sette minuti e li voglio passare camminando leggera, piano piano, per una volta senza affanno, fra le nuvole e tendere la mano e riempirla di fiocchi luminosi e rilucenti, colmare gli occhi di forme strane ma perfette, e poi, lontanissimo, ecco l’alone del sole a intiepidirmi le ossa di vecchia rimbambita, lasciarmi avvolgere da una nuvoletta capricciosa, come nel nido di un bozzolo di seta e uscirne e accarezzare il ricciolo che si fa innanzi e che mi sfiora l’orecchio sussurrando: “ Ciao”. Ci si sente meravigliosamente così, a passeggio, fra le nuvole con null’altro da fare se non camminare e ammirare e lasciarsi penetrare da silenzi immacolati. Ma devo affrettarmi a scendere, lo so, ancora un momento … No? Va bene, grazie lo stesso, é stato bello, come sempre. Adesso mi tolgo. Sì lo so sono sul sentiero d’avvicinamento del Concorde. Vado. Dai, merlo, vieni giù con me. Dammi retta. Almeno tu te ne puoi rivolare quassù quando vuoi. Io? No. Me lo concedo solo una volta ogni dodici mesi. Perché? Che cosa vuoi mai che ti dica, é già molto così. In ultima analisi io sono solo una in libera uscita. Ci vediamo giù, allora? Sono quella che esce la mattina con la faccia stravolta dalla notte e si fionda in auto come se avesse il diavolo alle calcagna, e se ne va di corsa. Ah, lo sai? Bene, ci vediamo presto allora … Vicino al tuo albero? Quello? D’accordo. Certo che no. Non mi dimentico gli appuntamenti. Né le promesse. Ancora due passi, ecco, uno … due …

“Sempre in ritardo quest’ autobus! E’ un’indecenza, non trova?” Annuisco, ma non me ne frega assolutamente niente. Non adesso. Non ancora.

Lasciatemi dove sono: a mezz’ aria.


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