Archivi tag: Racconto

Ali d’angelo

Circa due anni fa mi trovai il giorno prima dell’inizio della scuola, seduto al bar con degli amici. Mentre chiacchieravamo felicemente pensando all’estate passata, un uomo ci avvicinò chiedendoci di farci qualche domanda, dicendo di essere stato incaricato di fare una statistica fra i giovani. Per nulla imbarazzati rispondemmo di sì. Ad un paio di domande molto semplici ne segui una …  “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?” I miei amici, poco seriamente risposero dicendo tutte quelle stupidate che si dicono a 16 … Un motorino nuovo, una modella … Io però non riuscii a rispondergli e dissi che non ne avevo idea. Poi, durante un pomeriggio piovoso, in mente mi tornò quella domanda, “Cosa desidereresti avere nel corso della tua vita?”… Ci ripensai fortemente e alla fine senza sapere perché dissi un paio di ali d’angelo candide come la neve … Il campanello alla porta suonò, ed io solo in casa andai ad aprire … Avvolto da una luce bianca l’uomo dell’intervista mi comparve davanti e mi disse: “Ecco le tue ali provale per una settimana poi verrò io a prendermi qualcosa …”, “quando le vorrai usare basterà che le desideri intensamente ed esse usciranno dalla tua schiena, e per quanto alto volerai non avrai bisogno di ossigeno per respirare le sole ali basteranno …” detto questo scomparve davanti ai miei occhi in un lampo bianco … Credendomi pazzo, corsi preoccupato nel bagno a sciacquarmi la faccia e a guardarmi allo specchio … Poi ad un certo punto pensai  alle ali, e in quel preciso istante qualcosa, dolorosamente inizio a premere contro la maglietta fino a strapparla … un paio di lunghe ali bianche erano uscite dalla mia schiena e da esse una lunga serie di piume cadeva copiosa, svanendo toccando il terreno Pensai di non volere le ali ed esse si richiusero … Passò un giorno e un po’ preoccupato di essere preso per pazzo non dissi a nessuno di questo. Poi una notte tardi … decisi di provarle, le feci aprire, e in mezzo alla strada deserta spiccai un salto verso i cielo … Come fosse stato un movimento naturale le ali cominciarono a sbattere e a planare, a me bastava senza fatica pensare dove dirigermi, e quanto velocemente volevo farlo. Scoprii che in un attimo (Bastava pensarlo!!) potevo arrivare da Taranto a Roma … Lo pensai e così mi trovai a sorvolare la capitale. Mi diressi in una zona conosciuta vicino la stazione, sbirciai in ogni finestra del palazzo che avevo scelto, tutte aperte per il gran caldo di quell’estate. Quando stavo per perdere la speranza, la trovai finalmente, che dormiva profondamente nel suo letto … Era proprio bella … ed era cresciuta nonostante non la vedessi da un anno. Ad un tratto di colpo si alzò, ancora assonnata vide il mio viso dalla finestra … Non credendo ai suoi occhi corse verso la finestra, e vide le grandi e candide ali che sbattendo lentamente mi sostenevano … mentre stava per aprire bocca e dire qualcosa, le feci cenno di non parlare e sorridendo le diedi un bacio sulla guancia e volai via …Tornai a casa e mi misi a letto … Pensai alla mia piccola avventura. Il giorno dopo lei mi chiamò e mi chiese se per caso non ero stato a Roma in quei giorni. Le dissi di no, mentendo. Con un po’ di vergogna mi raccontò tutto e io  le risposi che forse aveva sognato tutto. Mi disse che probabilmente era stato così. Chiudemmo la telefonata con la promessa di sentirci presto. Quella notte stessa tornai da lei, ma la trovai sveglia ad aspettare alla finestra … invece di farmi sostenere dalle ali mi appoggiai dolcemente sul davanzale della finestra … Non rimasi per molto, giusto il tempo di spiegarle tutto ma in maniera molto vaga … Tornai a casa, ero ormai a metà settimana, fra un po’ lui sarebbe tornato e avrebbe voluto qualcosa di mio … Scacciai quel pensiero, ed ogni sera tornai a quella finestra, ma senza fermarmi mai  per molto tempo. Lei una di quelle sere mi confessò di essersi innamorata di me, ne ero felicissimo, ma subito mi prese il sospetto che fosse solo per via delle mie ali di angelo … Le dissi che se avessi perso le ali non sarei potuto più tornare da lei ogni sera, ma lei disse che non le importava. Le concessi comunque il beneficio del dubbio e continuai fino a domenica … Poi proprio domenica sera, quell’uomo tornò … Mi chiese se volevo tenere le ali … io gli chiesi quale fosse il prezzo da pagare, per avere la cosa che “di più avevo desiderato nella mia vita”. Mi portò con lui in volo, e atterrammo sul davanzale che avevo frequentato in queste notti … Mi disse: “Voglio lei … se accetterai la porterò con me e tu avrai ciò che desideri”… In quel momento stesso gli dissi di riportarmi a casa … e gli dissi avvolto in un turbinio di piume e lacrime di rabbia di riprendersi le ali … Mentre usciva dalla porta mi disse “Sapevo che avresti scelto bene… in fondo non hai già la cosa che più si possa desiderare nella vita?” Detto questo sparì … Ripensai a lei e capii ciò che voleva dire…..

 


# proprietà letteraria riservata #


KoRn

Nuvole

Esseri fantastici, enti un po’ alati vanno in corsa per l’orizzonte. Prendono corpo e mutano forma, dileguano in nero, grigi, marroni. Spingono dietro i maestrali con grande vigore, in una regia leggera che scherza e scompiglia. Nell’inseguirsi ancora vuoto d’ansia, in coda gonfia un bel cavolfiore con le foglie che si aprono a gran colletto e presto si sfaldano in un lunghissimo naso. Pinocchio annusa la gran signora che corre avanti, la chioma a cupola e due seni pieni, in trionfo, rosa e violetti. Tutti i suoi menti ballano, molli e rotondi, intorno al sorriso, mentre le gonne volano in turbine sopra le cosce. Com’è veloce la gran signora che ha paura del temporale. Le sue scarpine gialle e turchesi lasciano scie futuriste che poi s’arrotolano in lumachine dal ritmo lento. E dopo vengono uccelli, insetti e pesci: nuotano e volano in un prodigio di aria e di acqua. Occhi rotondi, zampini, piume, creste con scaglie, antenne, pinne e ali di bianchi brillanti e neri oscuri si mutano in pioggia. Si scioglie tutto. Restano lampi che zigzagano il cielo e l’eccitazione della tempesta. “Prego, allacciare le cinture”. Lufthansa. Volo 720 Francoforte-Pechino.


# proprietà letteraria riservata #


Kiki Pi

Appunti di volo

Eccomi qui in aereo come tante altre volte. Ma stavolta è uno strano effetto. A me piace volare, viaggiare, vedere, conoscere, capire. E’ nella mia natura. Ma vi volevo parlare di altro. Di un emozione … Perché vedete volare, passare dall’alto su terre, mari, da’ un’altra prospettiva. E’ come se una telecamera fissa su un soggetto a poco a poco allargasse l’inquadratura. E’ cosi. Cioè, tu hai l’inquadratura fissa sulla tua vita, sulla tua normalità … normalità, si, no non mediocrità … vabbé, comunque tu sei li, fisso, e poi ad un certo punto tutto si allarga e si restringe e la tua prospettiva cambia. In volo. E’ bellissimo. Se gli psicoterapeuti fossero gente onesta dovrebbero consigliare questa esperienza a chi ha la vita inchiodata ad un muro. Così come le farfalle. In modo da riprendere il volo. Invece di impazzire. Ed io infatti ora mi libro. Ma vi volevo parlare di un’altra cosa. Vi volevo parlare di morte. No, non è un pezzo triste. Aspettate. E’ che oggi ci ho pensato. Ancora. Forse perché non sto bene? Forse, ma non so. Soprattutto perché ho capito. Ho capito che alla fine non deve essere male morire. E come quando parti in aereo. La sensazione meravigliosa del carrello che stacca è l’anima che sale verso l’alto. E’ certo che anche in quel caso bisogna che il corpo sia ben fermo. Con le cinture allacciate, ma proprio forte. Ed è cosi che poi lei, l’anima, si stacca e finalmente … vola. Libera. Allargando finalmente la prospettiva su tutto il mondo, sulla vita. Finalmente capace di non essere inchiodata in mille piccolezze, particolarità. Si. Che altro dire? … Il tempo è magnifico ed il panorama pure … Ah, ma mi raccomando cercate di volare lato finestrino. Altrimenti correte il rischio di cambiare la prospettiva della vita con quella dello schienale magari reclinato della poltrona davanti a voi. Alitalia docet … si, grazie del buon succo di frutta a farmi compagnia in questo volo. Un altro, di prova generale.


# proprietà letteraria riservata #

space shuttle
Serena Iossa

Un passeggero scomodo


Arrivo all’aeroporto, il mio passeggero non dovrebbe tardare. Infatti, eccolo arrivare; si guarda attorno un po’ spaesato mentre attraversa il piazzale con gli aerei. Ora è nel mio regno, per la prima volta si deve fidare ciecamente di me.

Indossiamo i paracadute e chiamo la torre. Mi danno l’ok ed entriamo in pista.

Mi sento addosso uno strano spirito di rivincita: adesso ti faccio vedere come si fa!

In queste situazioni bisogna essere un po’ melodrammatici.

Controlli: “Comandi: gli alettoni ci sono, i pedali ci sono – strano -, la coda coi timoni l’ho vista prima, il filo di lana c’è, gli strumenti … anche, il traino è li, la manica a vento è abbracciata al suo palo, non ci sono peones sulla pista. Cappottina chiusa?”

“Eeeeh…!” Amorfo. Mi volto, la controllo, controllo anche la mia. “Chiuse. Non toccare i pomelli rossi: il sinistro apre la cappottina, il destro la sgancia.”

“Eeee?” Perfetto, capisce al volo ‘sto ragazzo.

Alzo il pollice. Mi alzano l’ala e il volo comincia. E anche lui: comincia ad urlare.

Ha vent’anni e buoni polmoni, e raglia come un asino incavolato. Urla per l’eccitazione di essere per la prima volta su un aliante, aeromobile così piccolo e maneggevole, nella cabina, con i comandi a portata di mano.

I comandi … “Mi lasci liberi i comandi per favore?”.

“Ah sì, scusa” e riprende a farneticare.

Dopo un po’: “Dove andiamo?”

“Dietro al traino”

“E perché non provi a superarlo?”

“Caz … dici?”

“E dove ci porta?”

“Dove gli ho detto” e di nuovo urla: “Cos’è questo? E quello? Questo qui che si muove? Ooops: mi è rimasto in mano …”

“Stai zitto!!”.

Arrivati in quota, sgancio, viro a destra e voliamo liberi. “Dove ti porto?”.

“Boh …”

“D’accordo: andiamo verso la città”. Trovo una termica dove volano decine di cornacchie. Strano, non mi risulta che siano grandi veleggiatrici … infatti: non si sale. Proviamo coi rondoni.

“Posso ordinare una pizza?”

“No”

“Perché? Ho il telefono”

“Primo perché non prende; secondo, perché dove te la fai portare?!”

“Aaaahheeee” urla.

“Basta!”

Urla ancora. In un attimo picchio, cabro e picchio ancora.

“Aargh, cosa succede?”

“Ti do un motivo per urlare.”

“Ma io ho battuto la testa!”

“Tira le cinture”. Rimbambito! … ecco le mie vendette.

Riprende a urlare. Mette la mano leggera sulla cloche, me ne accorgo. “Se vuoi pilotare dillo, adesso l’aliante è tuo, fai quello che vuoi … ma non stallare e non entrare in vite. Per favore”

“Cosa? Come si fa? No, non voglio!” e picchia.

Tiro leggermente la cloche “E vai dritto … non vedi che il filo non è centrato!?”

“Filo?”

“Quello rosso, davanti a te … e hai finito di strillarmi nelle orecchie?”

“Sì, prendilo tu!”

Prendo i comandi.

“E se stalla?”

“Così?” tiro leggermente e la velocità rallenta, rallenta, r a l l e n t a a a a …

“Fermaaaargh!”

“Sì, più o meno …” Carognata! E continuo: “Vabbé, adesso ti faccio vedere la vite”

“La che? Eeeeeeh …”

“ Ho detto: V I T E. Dopo lo stallo, incroci i comandi, un’ala stalla e … va giù.

“Uuuaaahaa, ancora!”

Lo sapevo. “No, adesso questo!” . Picchio per prendere velocità, poi cabro e viro.

“Uuuaauuu!”. Urla ancora. Che strazio! “Guarda l’ala ferma per terra … la vedi?”

“Uauauauau, iiiiiaaaaaha”.

Insopportabile.

“Ehi, ancora!”

”No, siamo bassi”. Balla colossale. E aggiungo: “Andiamo all’atterraggio, ma prima …”

“Uaaaa …”

In prenotazione metto l’aliante in virata bella stretta e tiro: urla meno, finalmente! “Ti piace?”

“B e l l o”, dice a denti stretti, strizzato sul sedile.

In sottovento la prova diruttori.

“Uahh!”.

Sì, ci sono. “Adesso zitto, se no ti porto sugli alberi”, gli ruggisco.

Vedendoli ora così vicini, non osa disturbare. L’atterraggio è silenzioso, ma dopo la toccata ricomincia ad urlare.

Schizzo fuori come una molla e lo lascio dentro.

Tirato fuori l’aliante dalla pista, vedo papà e con enfasi gli dico: “Portami via tuo figlio dalle mani, altrimenti gli tiro il collo: non sapevo che avesse tanto fiato, non l’avrei portato per aria!”

Mio padre sorride. E’ stato un pilota anche lui.

Il mio passeggero, bianco come un panno lavato in candeggina mi sussurra: “Dai, Diana, fammi scendere da ‘sto coso?! … per favore.”

In fin dei conti , è mio fratello … e gli slaccio le cinture di sicurezza.



# proprietà letteraria riservata #

§§    in esclusiva per “Voci di hangar”   §§


India

Quando ero piccolo

Quando ero piccolo volavo basso sul terreno. Sentivo l’odore delle cose, le vedevo e studiavo bene da vicino. Sentivo l’odore della terra planandole a pochi centimetri. Sentivo il profumo della polvere e del vento, col vento mi mescolavo; sentivo i fiori e il muschio, sui fiori mi posavo; gli aghi di pino e le foglie più alte sugli alberi, li potevo raggiungere senza sforzo, e da li guardare il cielo blu sopra; mi potevo infilare nei covoni di fieno tagliato, contare le bestie al pascolo sugli alpeggi, dall’alto.

Calavo dalle colline come un’orda barbarica, ma con il mio fragore dentro; mi alzavo fino alle fronde degli alberi schivandoli e mi sentivo il cuore esplodere di gioia a tre metri dal suolo.

Sorvolavo i campi come una brezza di primavera, l’odore dell’erba era mio: i fiori, la terra, l’acqua, i sassi (oddio l’odore dei sassi!), le foglie d’autunno nei boschi di montagna, tra la nebbia che avvolge i tronchi: con un passaggio basso e veloce le sollevavo e il loro profumo di funghi mi avvolgeva.

Dentro me urlavo di gioia ad ogni volo, ad ogni planata, ad ogni basso passaggio sul mondo profumato.

Ma la gente non vuole volare: molti hanno paura, e si difendono dicendo che bisogna crescere, smettere di giocare. E allora ho deciso: del volare ho fatto la mia vita.

Un giorno me ne stavo a gironzolare per il pendio di una montagna, quando ho deciso di riposare in una radura col muschio. Mi sono steso e ho alzato gli occhi al cielo. Le nuvole correvano instancabili nel blu, formandosi e sfaldandosi di continuo. Lì ho deciso di volare alto, diventare pilota.

Ho scoperto con dolore che per essere pagato dovevo essere utile, dovevo portare gente a spasso, e per questo mi servivano le lunghe ali di metallo.

Ho detto addio alle prodezze e ai virtuosismi, ho detto addio ai cambi repentini di rotta.

Qui siamo monitorati e vettorati , spiati e guidati; qui ci sono strumenti e spie luminose, qui non si cambia rotta: segui la strada che ti dicono, non si sgarra.

Ora sto seduto in poltrona, il mostro alato vola da solo, docile. Ora, a 25000 piedi, la terra non si vede neanche, non sono più basso al suolo. Ora nelle narici ho l’odore di sudicio della cabina, degli strumenti di bordo, del kerosene al rifornimento, il profumo studiato delle hostess. Ora ho con me centocinquanta persone, e a loro non interessa l’odore dell’aria e delle cose, loro vogliono arrivare in fretta a destinazione. Da una città all’altra senza sosta, senza amore.


# proprietà letteraria riservata #


India