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La birichinata

(il naso e le orecchie mi hanno tradito)

Ero vestito impeccabilmente, giacca e cravatta con un paio di scarpe lucidissime che mi stavano anche un po’ strette, il battere dei tacchi sul marciapiede di corso Venezia a Milano, mi facevano sentire a disagio, ma il ruolo del tecnico commerciale che ricoprivo in quegli anni in cui mi occupavo di strumenti scientifici, me lo imponeva. Eravamo agli inizi di una di quelle primavere lombarde, quando ancora si avvertiva che l’aria stava cambiando e recepivo una carica elettrica eccitante in quel cielo profondamente azzurro e imponente che mi sovrastava. Erano le nove del mattino, mi fermai un istante di fronte ad una vetrina non ancora illuminata e lì, oltre a vedere la mia immagine riflessa, l’effetto specchio ritornato dal vetro mi mostrava uno sfondo di cui non mi ero accorto. In fondo alla panoramica del corso si stagliava verso nord, netta ed imponente, la sagoma della Grigna e del Resegone, le familiari palestre di roccia degli alpinisti lombardi. La Grigna, quando le condizioni meteo sono favorevoli, è notoriamente generosa, a regalare potenti termiche sognate ed amate dai piloti di aliante. Un blocco allo stomaco misto ad un senso di rabbia mi pervase al pensiero di sprecare una giornata di tali caratteristiche per dedicarmi ad estenuanti attese in corridoi angusti e bui per ottenere udienza dal funzionario di turno preposto ad ascoltare le mie proposte professionali. Combattuto tra istinto e raziocinio analizzai rapidamente tutte le opzioni. Un giro di telefonate, un elenco di menzogne, attribuzione di mille motivi e difficoltà insormontabili come … traffico in blocco, influenza … mancanza del software, etc … mi ritrovai a invertire la direzione dell’auto e muovermi a razzo con prua N–NE.

Alle nove e trentacinque varcai il cancello dell’aeroporto volovelistico Prealpi Orobiche di Valbrembo. Erano da poco stati aperti gli hangar ed il pilota trainatore vedendomi esclamò: “Potta, cosa ci fai conciato così ?” riferendosi all’abito.

Un quarto d’ora dopo chiusi la cappottina del mio fedele Hornet, stupendo aliante monoposto in vetroresina con 15 metri di apertura alare e mi accinsi al decollo con il paracadute addosso e la cravatta in tasca. Quel giorno non era ancora venuto nessuno in campo, trattandosi di un giorno lavorativo, a Milano si lavorava ancora e non c’erano tutti i “pensionati quarantacinquenni” di oggi, perciò nessuno poteva tenermi l’ala livellata per il decollo. Il trainatore mi chiese … Te la senti di decollare da solo? Un’occhiata alla manica a vento che mi indicava una bavetta d’aria da cinque nodi proprio sul naso e perfettamente in asse pista mi fece rispondere alla radio: “Potta … dò un po’ di piede e lo tiro sù!”

Traino allineato per pista 02, chiamata radio “cavo – teso” e “flaps – tutto motore” … si va!!

L’ala ruggiva strisciando sull’asfalto della pista macadam e faticava a sollevarsi poi il mio contrasto sul direzionale ed il vento relativo riuscirono a farla pigramente scollare da terra. L’aliante si scompose per qualche metro assumendo una prua ed un assetto scorretti ma poi sotto l’effetto dei comandi coordinati si allineò ed iniziò a correre sul suo unico ruotino centrale fino al distacco dalla pista. Il rumore della ruota si smorzò ed io …volavo!!!!! Il filare di alberi della soglia pista 20 mi passò come per magia sotto la pancia del mio candido aliante.

Comunicazione radio sulla 122.60 MHz dal pilota dello Stinson da 180 HP… “Il tuo decollo ai ’ 55” … rispondo … “Ricevuto … passati i 60 metri QFE !”

Rispetto volentieri questa mia abitudine di dichiarare il superamento della quota critica per un eventuale aborto del decollo al fine di consentire, vento permettendo, di effettuare un 180 ° e rientrare in campo; molti sono gli incidenti che ancora oggi funestano il nostro mondo per un inadeguato rispetto dei parametri di sicurezza in caso di rottura cavo o piantata motore.

Rapido sguardo all’orizzonte intanto che il traino mi faceva salire di quota e … lo spettacolo era inebriante … l’aria fresca e secca che mi penetrava dalla presa di ventilazione mi rivelava i profumi della primavera incipiente e la potenza della giornata si stava materializzando ai miei sensi con l’apparizione dei primi segnali di condensazione in prossimità delle cime più alte dei monti circostanti; Canto Alto Ubione Albenza Pertus Resegone questi i nomi delle montagne prossime a Valbrembo da dove nei giorni volabili arriva la voce qualificata dei piloti in volo sulla 123.375 MHz.

Raggiunta la quota abituale di 700 mt tirai con decisione il pomello giallo di sgancio e guardai con tenerezza la sagoma dell’aereo da traino che si separava dolcemente a sinistra mentre la voce amica del pilota mi augura buon volo. Contribuii alla separazione accennando una virata a destra, ricambiai il saluto e con energia azionai la leva di rientro del carrello. Ero solo !!!

Ora tutto dipendeva da me, dalle mie scelte, le mie intuizioni e dalla capacità di analisi dei segnali che la natura mi offriva. Lo scenario che mi si proponeva era incantevole, la quota raggiunta mi consentiva di spingere lo sguardo in grande lontananza e con piacere scorsi che in Valtellina le formazioni cumuliformi cominciavano a diventare evidenti.

Già, i “cumuli” sono loro i nostri motori, o meglio ci indicano dove l’atmosfera possiede quell’energia termica che con il cambio di densità lascia gli strati bassi del suolo per salire prepotentemente verso l’alto portando con sé polvere moscerini falchi e perché no, noi piloti di aliante che nella nostra goffa emulazione cerchiamo di imitare i grandi veleggiatori come poiane ed aquile.

La mia decisione di “tradire” il lavoro si stava rivelando un’ ottima scelta poiché via via che il tempo trascorreva io cercavo di galleggiare nella fluida massa d’aria quasi calma, e di tanto in tanto avvertivo distintamente degli scuotimenti alla cellula del velivolo. Era una conferma che l’aria diventava instabile e si muoveva. Infatti ecco che di lì a poco, scivolando a 95 km/h sul fianco di un costone di roccia che aveva già ricevuto il sole del primo mattino, un potente sobbalzo mi indicava la partenza di una buona termica. Impugnai la cloche con decisione e dopo aver fatto scorrere lo sguardo nello spazio circostante detti inizio alla danza. Disegnando degli otto sul fianco della montagna aprendo le virate sempre verso valle per non trovarmi mai con il muso verso la parete, iniziai a salire con un rateo di 1,5 metri al secondo: in cinque minuti avevo già raggiunto una quota di 1.200 mt. Potevo già pensare di osare ad ispezionare pareti più lontane. E così fu… nel breve spazio di 30 minuti ero già aggrappato alle pareti del Resegone sovrastanti Lecco ed il variometro mi indicava una costante salita. La bellezza del lago si spalancava sempre più ai miei occhi che ora alla quota di 2.500 mt QNH mi faceva intravedere il lago di Lugano.

Spiralai con decisione con una inclinazione di 45° la cloche quasi alla pancia, l’assetto dell’aliante era decisamente a cabrare e le ali vibravano spinte da una termica rotonda e potente che con pochi giri mi portò a vedere la cima della Grigna più bassa del mio livello. Sotto il rifugio scorsi degli scalatori che mi salutavano e che probabilmente pensavano: “Guarda quel matto !” non immaginando che pure io esprimevo lo stesso pensiero verso di loro.

Ero ricco!!!! La gioia ed il piacere erano tali che il mio fisico non recepiva che la temperatura esterna era diventata –15 °C . Il mio corpo era tutt’uno con l’aliante. Era una delle prime volte in cui provavo la sensazione che le semiali fossero parte di me in una sorta di prolunga delle mie scapole. Sentivo solo il sibilo dell’aria il segnale acustico del variometro elettronico e le comunicazioni radio di altri amici che nel frattempo si erano accorti della giornata ed avevano iniziato a popolare lo spazio aereo del nord Italia. Sentivo Biella – Calcinate – Caiolo e un amico in Val d’Aosta ! L’unica cosa che non sentivo più erano i miei piedi !!!!

Eh sì! Perché il corpo bene o male, si espone al sole nell’ampio volteggiare tra una termica e l’altra, ma i piedi no loro sono segregati nell’angusto cono di prua della cellula all’ombra, a soli 5 centimetri dal mondo esterno con l’unico ingrato compito di azionare con vigore la pedaliera che governa il timone. Cosa importante questa perché per consentire all’aliante di non sprecare nulla dell’energia acquisita, sia cinetica che potenziale, bisogna volare perfettamente coordinati in massima efficienza, quindi ogni virata deve essere tassativamente controllata con precisa interazione dei comandi.

Orbene, avevo acquisito la quota e se volevo pensare di spostarmi nell’arco prealpino dovevo conservarla: perché la quota è un po’ come i soldi, se è vero che la si guadagna facilmente è altrettanto vero che a mangiarsela ci si mette un attimo. Basta distrarsi o sottovalutare un traversone oppure non aver capito bene il vento, per lasciare la termica sicura e imbattersi in “buchi” paurosi ed allora bisogna “filare” via veloci incassando una perdita di quota andando subito alla ricerca di un punto dell’orografia dove “tira” Quel giorno fui abile ma anche molto fortunato in quanto arrivai a “girare” il Legnone poi il pizzo di Coca poi ad accarezzare il Disgrazia a quota 3500 QNH. Ricordo che per radio mi raggiunse il grande amico Emilio Pastorelli che cito volentieri in quanto grande figura del volo a vela italiano, che mi disse: “Claudio cosa fai lassù ..l’astronauta ?” Lui era verso il Tonale ma essendo partito tardi aveva più difficoltà a guadagnare quota.

In quel momento però anche per me cominciarono i problemi: il freddo iniziava ad impossessarsi di me, le mani erano intirizzite e le sentivo dure sulla cloche, mi accorsi che le dita non rispondevano quando andai per cambiare frequenza radio per portarmi su quella di Caiolo, i commutatori erano diventati durissimi e faticai a ruotarli. Il desiderio e la possibilità di conquistare il Bernina erano a portata di mano e la maestosità della grande montagna era invitante, ma le quattro ore e mezza di volo che avevo addosso cominciavano a farsi sentire. Per fortuna prevalse il buon senso e con dispiacere invertii la rotta.

Prua verso casa !!

Data la posizione assunta a nord della Valtellina pensai che era bene prendere la via più breve attraversando il passo San Marco a 2000 mt e poi dentro in Val Brembana sfruttando il supporto orografico del Cancervo a 1.800 e il Castel Regina con 1.400. E la scelta si rivelò corretta ma avevo sottostimato i limiti fisici… il freddo e l’urina.

Una cosa che non ho detto è che durante il volo in inverno si deve sempre tenere aperta la ventilazione in cabina, per evitare che la traspirazione provochi l’appannamento (come in auto) ma stavo esattamente al centro della Valtellina con Caiolo in vista,quando avvertii un freddo penetrante che mi prendeva il collo e la gola, senza riflettere troppo misi mano al comando di chiusura della ventilazione. Mi trovavo a 3.200 mt con temperatura esterna di -22 °C appena il flusso d’aria cessò: una cortina bianca si parò tra me e il mondo esterno. Non vedevo più niente !!!!! Cercai di tenere l’aliante livellato e alla pendenza giusta per conservare la velocità, sapevo di essere ancora lontano dalle montagne e con una quota considerevole, ma non vedere nulla è terribilmente sgradevole. Passai una mano sul plexiglas della cappottina e mi venne un accidente! Era ghiaccio !!

Con le unghie arrivavo a scalfirlo ma la traccia che lasciavo era ben poca cosa per vedere fuori. Non mi rimaneva che una cosa da fare, riaprire la ventilazione! Lentamente il cristallo riprese la sua trasparenza ma il freddo mi stava attanagliando. Mi ricordai della cravatta e così me la misi al collo arrotolata a mo’ di sciarpa. Ripresi il controllo della situazione quando ero ormai sulla verticale del Passo San Marco.

Stimavo circa ancora un’ora di volo perché la giornata “teneva” e scivolando a zig zag tra le montagne della Val Brembana la quota per il rientro era quasi certa.

Ma non avevo fatto i conti con un altro “nemico”: LA PIPI’ Ero giovane e la mia prostata era quasi nuova, però quando pianificavo i voli lunghi prevedevo di portare a bordo la sacca per l’urina assieme alla tuta di volo imbottita. Quel giorno no! Era stato tutto così imprevisto che la tuta e la sacca erano al calduccio nell’armadio di casa.

La vescica era sensibilmente gonfia e avvertivo la necessità di battere e piedi e stringere le gambe nel tentativo di procrastinare lo stimolo di orinare.

Volavo male, il mio pilotaggio stava scadendo, e invece di preoccuparmi a ricercare l’appoggio orografico più adatto a consentirmi di trovare le termiche che mi avrebbero riportato a casa, il mio sguardo si protendeva con impazienza verso sud per identificare la via più breve per raggiungere l’aeroporto. Ormai non avevo scelta, la possibilità di atterrare a Caiolo l’avevo alle spalle e con la quota che avevo perso non era più attuabile, potevo solo proseguire e la Val Brembana è noto che è inatterrabile. Il mio aliante procedeva come se fosse pilotato da un ubriaco. La mia fortuna fu che nel volo precedente avevo guadagnato una notevole quota. Decisi di impostare la rotta ortodromica cioè quella più diretta a Valbrembo, confidando di poter scavalcare l’ultima piccola catena di colline della Val Brembilla e Valle Imagna prima di affacciarmi sulla accogliente pianura con il sottostante aeroporto. Ero percorso da un fremito continuo, quegli ultimi chilometri furono eterni. Avrei desiderato in quel momento avere in mano un caccia per poter dare tutta manetta motore e passare a volo radente l’ultimo crinale. Fu proprio così; lo passai proprio a volo radente, ma non per scelta; di quota ormai non ne avevo più. Ero stato un uomo ricco e mi ero mangiato tutto il capitale!!! Scollinai passando a cinque metri sopra le piante della Roncola a 110 Km all’ora. Avevo la rassicurante visione della pista erbosa di Valbrembo pronta ad accogliermi, dovevo riuscire a rimanere in volo ancora per tre minuti!!!

–         Valbrembo radio da India Alfa Victor Bravo Charlie … –         India Bravo Charlie da Valbrembo…avanti… –         Valbrembo da India Bravo Charlie … in avvicinamento da nord col carrello estratto e bloccato … – India Bravo Charlie da Valbrembo … ricevuto … la pista in uso è la 20 erbosa … nessun traffico .. il vento è calmo … riportate sottovento per 20. – Valbrembo da India Bravo Charlie … NEGATIVO chiedo un diretto perhé mi sta esplodendo la vescica !!!!!!!!!!!!!!!!!

Non ne potevo più, faticavo a tenere sia la velocità che la prua per il tremore che mi percorreva il corpo. Finalmente superavo la tanto attesa soglia pista 20 con solo cinque metri di quota sugli alberi, non dovetti nemmeno estrarre i diruttori, gli aerofreni mi sono serviti solo nell’ultimo tratto prima di toccare il prato.

Non fu un bell’atterraggio … arrivai troppo veloce e rimbalzai sulla ruota che mi scagliò nell’aria ancora per tre secondi poi finalmente l’aliante perse energia e rullò fino a due terzi di pista sobbalzando. Saltai giù tremante e senza nemmeno raggiungere gli alberi attivai la procedura di “svuotamento dei ballast” , avevo le surrenali sature !! Erano passate quasi sei ore.

Altri piloti quel giorno avevano fatto degli splendidi voli alcuni Domodossola altri il Tonale e uno addirittura Merano con una Val di Sole tutta portante, ma nessuno in giacca e cravatta !!

Il futuro mi avrebbe donato altre “grandi giornate” gratificate da meravigliosi voli, ma tutti debitamente preparati.

Davanti ad un bicchiere di latte caldo ritrovai la mia lucidità e potei narrare del mio particolare volo prima di rientrare a casa.

Al mio ritorno mia moglie che non sapeva nulla, mi chiese: “Come è andata oggi ?

E io: ” Normale … come al solito … una barba … un traffico …! “…ma non mi ero ancora guardato allo specchio: Ero paonazzo! Il naso la fronte e gli zigomi viola bruciati dal sole … le orecchie bianche con riflessi blu prossime alla cancrena, la giacca e la cravatta stropicciate …un disastro!!!!!

Non l’ha bevuta … ho dovuto confessare !!!!!!!!!

Polpenazze del Garda 18/12/2003


#proprietà letteraria riservata# §§§ in esclusiva per “Voci di hangar” §§§


Claudio Cavolla

Volare in bellezza con Air Champagne

JACK: …allora senti Charlie, ti racconto ‘sta storia… CHARLIE:…che storia? … …guarda che è quasi incredibile… …ma una storia di che Jack? … …’sta storia, ‘sta storia è appena successa a Frank, Charlie, Frank me l’ha appena raccontata… …ma che è, una barzelletta??… …no, no, è una storia vera, vera vera ti dico…. …sarà la solita stronzata, une delle tue… …no, non è una stronzata, è successa veramente, ti fa bene ascoltarla sai Charlie? c’impari un sacco di cose sai? è una storia di quelle che ti vengono utili, di quelle che servono a te Charlie… …ah… …magari la smetti di metterti le scarpe gialle per far colpo sulle ragazze Charlie, magari c’impari davvero qualcosa eh?… …ok, racconta… …allora senti, Frank, il mio amico, Frank aveva vinto un concorso, un concorso a premi, uno di quelli che compri una cosa, tipo un frigorifero, non so, un ventilatore, un asciugacapelli, compri una cosa con il concorso attaccato, OK? esce il tuo nome, vinci un viaggio e zac! parti… …ma lui ha comprato un frigorifero, un ventilatore o un asciugacapelli Jack?… …lui ha comprato un frigorifero, va bene Charlie? un dannato frigorifero OK?… …e ha vinto un viaggio?… …no, Frank ha vinto il viaggio… …ma dai Jack, li conosco, son sempre delle fregature questi concorsi, prima ti promettono mari e monti, divertimenti qui, avventure là, e poi vien fuori che è sempre una gran noia… …sarà, ma aspetta Charlie, Frank ha vinto un viaggio alle Maldive… …e dove sono le Maldive?… …boh? credo sia un posto sole e mare… …sempre ‘sti posti sole e mare eh Jack?… …eh già, dove vuoi che ti mandino con un viaggio premio Charlie, in campagna? a trovare la nonnetta? a farti una giratina in carretto col ciuco attaccato?… …no, in effetti ci sarebbe poco appeal… …quindi quelli dei concorsi ti mandano in un posto che ti susciti la nostalgia dell’ ignoto no? un posto che ti evochi “seguir virtute e conoscenza”, Charlie… …come Ulisse, Jack?… …come Ulisse Charlie, ora vedi, finisce che Frank, il mio amico, c’ aveva una cugina che l’aveva invitato ad andare in liguria… …in liguria? a “seguir virtute e conoscenza”?… …in liguria OK? lascia perdere la virtute, poi succede che Frank ti vince ‘sto viaggio premio per due alle Maldive… …le Maldive maiuscole e la liguria minuscola… …beh certo, ci sarà una certa differenza no? lo sanno anche quelli del concorso… …OK Jack, se era un viaggio per due c’avrà portato una sua amica… …eh, Frank ce l’ avrebbe anche portata l’ amica, ma non ce l’aveva l’amica a mano, era un periodo nero… …e allora che ha fatto Frank? c’ha portato la cugina?… …esatto, è proprio quel che è successo… …mi sembra una storia del cazzo Jack… …in effetti sembra, ma aspetta, non avere fretta Charlie… …ma com’è sta cugina??… …guarda, lascia perdere, è la figlia della sorella di suo padre… …e allora?… …e allora è una cugina di sangue… …come le bistecche? le bistecche al sangue?… …sì, come le bistecche Charlie… …poco cotta allora, ma com’è ‘sta cugina?… …moretta, bassetta, formosetta… …magari coi baffetti eh??… …no, quelli no… …per ora, Jack, per ora non ce l’ha ma mi sa che poi gli vengono, sai?… …può darsi, ma per ora no Charlie… …magari è pure strabica… …ma no dai, strabica no! che c’ entra… …come si chiama ‘sta cugina?… …si chiama Carmela… …e non c’ ha i baffetti?… …no… …vedrai che prima o poi gli spuntano Jack, OK, lasciamo stare ‘sta cugina… …OK Charlie… …allora partono… …sì Charlie, partono, ora vedi, Frank, il mio amico, lui c’aveva la possibilità di scegliersi la compagnia aerea, per via del concorso, poteva scegliere quella che voleva… …fra le compagnie che vanno alle Maldive… …certo Charlie, mica potevano fare un aereo tutto per lui no? comunque ci vanno quasi tutte, le compagnie aeree, alle Maldive… …e Frank che ha scelto? … …ha scelto di andarci con Air Champagne… …e perchè?… …per via dello champagne Charlie… …per via dello champagne?… …sì Charlie, vedi, Frank c’ha sta teoria, lui dice che quando voli in aereo è come se tu fossi un uccellino piccolo dentro la pancia di un uccello più grande che ti porta in giro… …e allora? … …e quando voli devi sentirti veramente su, devi sentirti high, devi sentirti up – o come cazzo si dice… …boh?… …insomma Charlie, Frank dice che quando sei in aereo tu stai volando davvero, sei dentro la pancia di un altro uccello, di ferro o alluminio, fai tu… …mmhhh, schizzatello, mi sembra, il tuo amico Frank… …alle volte sì Charlie, ora vedi Frank dice che ogni volta è un’occasione unica, lui dice che quando voli non è che devi figurarti di stare nel salotto di casa tua, come fosse semplicemente un trasferimento acefalo verso un altro dove… …che poi è quello che cercano di fare le compagnie aeree… …sì, le compagnie aeree cercano di farti scordare che stai volando… …cercano di farti sentire a tuo agio Jack… …rilassato e rincoglionito… …sì… …OK Charlie, in sostanza Frank dice che, ogni volta che voli, solo il fatto di volare è un gran trip… …OK Jack, non condivido, ma credo di capire… …beh, invece io sono abbastanza d’ accordo con lui, Frank dice che quando voli devi sentirti leggero leggero come un uccelletto, sennò non voli veramente… …aiuta se ti metti a fare cip cip Jack?… …devi sentirti, cito Frank “come se tu fossi un palloncino legato a un filo lungo lungo, ed è come se tu fossi attaccato a un trattore che corre per terra o a un motoscafo che corre per mare che ti tirano, è quella roba lì che ti porta là dove stai andando, devi sentirti il motore sotto anzi, dentro, e tu sei fuori, sei un palloncino attaccato al motore che c’è dentro”… …ah… …”e non importa dove stai andando o perchè, importa solo il fatto che stai volando!” fine della citazione… …credo di aver capito Jack, è una specie di nostalgia dell’ ignoto eh? ma che c’ entra lo champagne?… …beh, Frank dice che l’ unica cosa che lo mette veramente nella giusta condizione mentale per volare davvero e sentirsi un uccelletto… …è di sbevazzare champagne? … …sì Charlie, sbevazzare champagne tutto il tempo, è un pò questa l’ idea di Frank… …ok, è un punto di vista, e allora? … …allora partono da Parigi… …Frank e Carmela… …sì, lui e la cugina… …quella coi baffetti… …Carmela non ce l’ha i baffetti, Charlie… …vedrai che gli spuntano prima della fine, a Carmela, e senti Jack, quanto durava il viaggio? … …era un viaggio di 10 ore o giù di lì… …jumbo? … …tipo jumbo, tipo airbus, non lo so, sai era uno di questi uccelloni che ci stan dentro 300 o 400 persone… …OK, il solito carnaio, e allora? … …allora succede che al check-in hanno fatto casino… …succede… …han fatto casino, succede che solo uno dei due biglietti di Frank è in prima classe, l’altro biglietto è in economica, in fondo all’ aereo… …visto che c’era la fregatura Jack, e allora? … …e allora lui ci manda Carmela in prima classe… …gentile… …sì, un uomo all’ antica, potresti dire… …e invece Frank va in classe economica, in fondo all’ aereo eh?… …beh Charlie, non ci crederai… …sì Jack, mi sa che non ci crederò… …non ci crederai ma questa cosa è successa davvero… …cosa Jack? … …senti Charlie, in fondo all’ aereo, in classe economica, nell’ ultima fila, nel sedile d’ angolo… …che c’era un altro concorso? … …per uno scherzo del caso Frank si trova accanto, sul sedile accanto… …chi ci trova Jack, Jessica Rabbit? … …no Charlie, meglio, succede che c’ha il posto accanto a una strafica… …una strafica?… …sì, una strafica, una modella, non lo so, non me l’ha detto, un’attrice, insomma una ragazza bellissima… …una strafica economica, ha-ha… …non sto scherzando Charlie! guarda, era una strafica che non aveva trovato posto in prima classe, OK? succede alle volte… …OK, a volte può succedere Jack, lo ammetto… …certo, ed è pure successo al mio amico… …ho capito, e allora? come si chiama ‘sta strafica? e di che genere era?… …si chiama Valentina… …bel nome, davvero… …ed è sul genere gambe lunghe infinite… …ah, e com’ era vestita? … …minigonna nera e maglioncino rosso… …ah… …scollato… …ah beh, certo, minigonna e maglioncino scollato, davvero comodo, dev’essere proprio l’ ideale per viaggiare 10 ore in aereo… …beh, lo sai come sono ‘ste strafiche, ‘ste modelle, ‘ste attrici… …sì lo so, c’ hanno il look da tener su… …magari sacrificano la comodità per il look, no?… …è vero, e allora? … …insomma parte l’ aereo, Carmela è in prima classe, Frank è lì in fondo all’ aereo con la strafica, Valentina, sai com’è, qui e là, su e giù, chiaccherano, fanno amicizia… …eh già… …poi lo sai come sono ‘sti voli, no Charlie?… …lo so, lo so, le compagnie aeree cercano di farti sentire a tuo agio in questo ambiente promiscuo… …per far sì che tu ti dimentichi che stai volando Charlie… …attaccano a farti mangiare schifezzuole Jack… …a farti vedere film… …la solita roba, ma in classe economica? … …che? … …voglio dire Jack, in classe economica a Frank gli sarà andata male, come servizio… … no Charlie, gli è andata bene lo stesso perché il personale di volo lo sapeva che c’era stato un equivoco, li avevano avvertiti, lo sapevano che Frank doveva stare in prima classe, lo sapevano che lui aveva vinto il concorso del frigorifero… …e allora? … …e allora l’han trattato meglio che mai, anche meglio che in prima classe Charlie… …ma guarda… …c’era tutto un affollìo di hostess, di steward, signore qui, signore là, prego, mi dica, vuole questo? vuole quello? insomma, un trattamento top-top!!… …e certo… …e siccome ci tengono a darsi un tocco di classe, un’ aria di classe, siccome ci tengono a fare i disinvolti … …hanno esteso il trattamento top-top alla strafica?… …bravo!… …che non c’entrava nulla col concorso… …esattamente… …quella manco se ne sarà accorta… …che vuoi dire Charlie?… …voglio dire Frank, lo sai come sono ‘ste strafiche no? quelle ci sono abituate ad essere coccolate, vezzeggiate… …eh sì, può darsi, comunque han fatto il trattamento top-top a tutti e due… …insomma gli hanno dato il tutto del di più di quel che avevano… …esatto, trattamento top-top, ti dico… …e poi?… …e poi champagne a fiumi Charlie… …eh già, Air Champagne! e poi?… …beh, dopo che tutti avevan mangiato le loro schifezzuole, lo sai com’ è su questi voli lunghi, no Charlie?… …gli altri passeggeri avran cominciato tutti a guardare il film, a mettersi le ciabattine… …certo, sbadigliando come ciuchi appena svegli… …cioè??… …Charlie, hai mai visto un ciuco appena sveglio?… …no Jack, non l’ho mai visto, davvero… …beh, non è che sia uno spettacolo eccezionale in sé e per sé, però in fatto di sbadigli… …sì Jack?… …beh, in fatto di sbadigli quello del ciuco è davvero uno sbadiglio top-top Charlie!… …va beh, continua dai… …allora, nel carnaio dell’aereo ‘sta gente guarda il film, poi gli vien sonno e attaccano… …a sbadigliare come ciuchi… …e si mettono il paraocchi… …ma che! guardavano il film con il paraocchi?… …è la stessa cosa, tanto non ci capiscono nulla lo stesso… …ho capito, il film è come il ciuccio in bocca a un neonato Jack… …certo, son come ciuchi col ciuccino in bocca, serve solo per farli star buoni… …mentre l’aereo porta la mandria a seguir virtute e conoscenza… …certo Charlie… …magari si guardano un film che nella vita non guarderebbero mai perchè non gliene frega nulla… …insomma, dopo 3-4 ore di volo, finisce che l’ aereo entra in una specie di coma profondo… …l’ aereo-uccello romba e la gente russa Jack… …è proprio quel che dice Frank… …e lui che ha fatto?… …beh, te l’ ho detto prima, lui quando vola c’ha ‘sto trip di sentirsi un uccelletto… …sicchè Frank non dorme in aereo?… …eh no, gli uccelli quando volano non dormono… …certo, sai che casino succederebbe, e allora?… …e allora lui se ne sta sveglio tutto il tempo… …a sbevazzare champagne…. …eh sì, Frank è stato sveglio tutto il tempo a chiaccherare con Valentina, la strafica… …sì,e poi?… …finisce che il mio amico e Valentina si guardano e si piacciono… …si guardano e si piacciono???… …si sembra una cosa da film, ma invece è andata proprio così, si guardano e si piacciono… …ma come succedono queste cose Jack???… …non lo so, davvero non lo so Charlie, sarà stato lo champagne, magari lui gli avrà raccontato ‘sta cosa del volo che c’ha in testa lui, ‘sta cosa dell’ uccelletto nella pancia d’ un altro uccello, come fossero matrioske volanti, sai?… …e?… …Charlie, magari alla strafica gli saran venuti dei pensieri, chi lo sa? nessuno sa come ragionano le donne, figurati le strafiche, no? gli sarà venuta voglia di volare, gli sarà venuta la nostalgia dell’ ignoto… …e poi Jack?… …insomma gli è venuta voglia di far l’amore… …gli è venuta voglia di far l’amore??… …esatto, allora Frank le dice, “facciamo così Valentina”… …ganzo il tuo amico… …sì, Frank dice “vai prima tu nella toilette qui dietro, Valentina, quella che sta in fondo all’ aereo”… …la toilette?… …”e poi io ti raggiungo e facciamo l’ amore”… …e lei c’è andata? voglio dire, gli ha dato retta?… …aspetta, Valentina gli ha detto “Frank, ma se ci scoprono? la gente va in bagno, ci sono le hostess, etc etc”… …ragionevole, anzi, pratico, e allora Jack?… …e allora Frank le ha spiegato che durante ‘sti voli, ‘sti voli che durano 10 ore e più, c’ è sempre un periodo, una fascia tampone, un periodo in cui le hostess e il personale di volo, quando hanno messo a nanna tutta la banda dei rincoglioniti che stanno andando da qualche parte, la mandria di ciuchi col ciuccino in bocca… …vuoi dire?… …voglio dire ’sti rincoglioniti che viaggiano per andare da qualche parte e pensano che il viaggio sia solo un trasferimento, come se la vita si sospendesse mentre viaggiano, ‘sta gente che gli interessa solo di dov’erano e di dove saranno, solo il passato e il futuro, il ricordo e la speranza, niente presente… …il ricordo e la speranza???… …perchè non c’ hanno le palle di stare nel presente, capisci Charlie… …ah… …non capiscono un cazzo, non capiscono il senso del viaggio, non capiscono che, scusa ma qui cito Frank alla lettera “il come e il quando del fatto che stanno andando da qui fino a là è, al limite, anche piu’ importante di quel che riusciranno a fare quando saranno arrivati”… …interessante Jack… …perché vedi, in fondo, là dove devono andare non ci sono ancora arrivati, ‘sti coglioni, mentre in viaggio ci son proprio loro, con i loro corpaccioni e i loro cervelli lessi… …senti, ma questa tirata pseudopsicologica… …sì??… …o pseudofilosofica… …può essere… …che c’entra con la storia Jack??… …non lo so Charlie, però mi sembra istruttiva nel contesto OK?… …comunque che è successo?… …insomma Frank ha spiegato a Valentina che in questi voli lunghi c’ è sempre un periodo, 1-2 ore diciamo, in cui uno che è sveglio può fare quel che cazzo gli pare perchè il 99.9% dei passeggeri dorme (tranne quei tipi come Frank, appunto)… …eh già, e il personale di volo?… …ah quelli? quelli sono dei cazzoni, se ne vanno a chiaccherare e riposarsi, vanno dal comandante, lui gli fa guidare l’ aereo, magari si mette una hostess in collo, gli dice “guida tu bimba, che a me mi vien da ridere”… …incredibile… …e guarda che stanno bene attenti ad avere l’interfono spento sai? mica glielo vogliono far sapere alla mandria di ciuchi quel che succede mentre dormono col ciuccino in bocca… …certo Jack… …è così Charlie, è così, Frank dice che è così… …beh, in fondo è credibile, senti, a proposito, ma la sai quella barzelletta Jack?… …quale Charlie?… …allora parte l’ aereo il comandante annuncia – ora l’ interfono è aperto eh Jack? “SIGNORI PASSEGGERI VI DICO BUONGIORNO O BUONASERA FATE VOI CHE SIA GIORNO O NOTTE DIPENDE DA VOI PERCHE’ IO NON LO SO PIU’ CHE ORE SONO OK? ORA SI VA, ORA SI FA QUI, ORA SI VA LA i soliti annunci come li fanno loro sai Jack? all’interfono con quella vocetta metallica “VOLEREMO QUI VEDREMO LA’ SPENGETE I CELLULARI NON BUTTATEVI DI SOTTO ANDREMO A 10.100 METRI VEDRETE IL MARE A SINISTRA A DESTRA LA TERRA NO, MI SBAGLIO C’E’ IL MARE ANCHE A DESTRA TUTTO MARE OGGI GUARDA LA’ CHE ROBA MI RACCOMANDO NIENTE CANI A BORDO, EH? ATTENTI QUI ATTENTI LA’ E RILASSATEVI EH?” una roba così eh Jack? … …OK, allora Charlie?… …allora il comandante finisce di parlare ma si scorda di spengere l’ interfono, per cui tutto l’ aereo continua a sentirlo OK? lui si rilassa sullo schienale, s’accomoda ben bene, si stiracchia, si rifucila la proboscide… …si rifucila la proboscide???… …sì Jack, è un modo di dire che hanno i piloti delle compagnie aeree… …ma che vuol dire?… …boh, di preciso non lo so, me l’ ha raccontato una mia amica che fa la hostess… …ah va beh… …e poi il pilota dice al co-pilota… …eh eh… …gli dice, con l’ interfono che s’era scordato di chiudere “SENTI AMICO MI SA TANTO CHE SU ‘STO VOLO DI MERDA NON SUCCEDERA’ NULLA COME AL SOLITO. ORA SI DECOLLA E A QUESTO CI PENSO IO CHE SONO IL COMANDANTE, OK? POI A VOLARE CI PENSI TU, COSI’ IMPARI A SCANSARE I PICCIONI CHE SE S’INFILANO NEL MOTORE VA TUTTO A PUTTANE, EH? COSI’ IMPARI. IO MI RILASSO UN PO’ CHE ‘SO STRESSATO PRIMA VADO A CAGARE OK? POI MI RIFUCILO LA PROBOSCIDE BENE BENE E POI CHIAMO LA HOSTESS QUELLA NUOVA, GIOVANE GIOVANE, QUELLA MI SA CHE CHE CI STA E MAGARI ME LA SCOPO EH?” … …il tutto con l’interfono aperto? bella figura di merda eh, Charlie?… …sì Jack, tutto l’ aereo lo sente e si mettono a ridere… …e allora?… …allora l’ hostess giovane giovane, che stava in fondo all’ aereo, diventa tutta rossa e comincia a correre per il corridoio dell’ aereo… …per andare dal comandante e dirgli che c’ha l’interfono aperto Charlie?… …eh sì Jack, ma succede che mentre corre nel corridoio c’è un vecchino che sta seduto scomposto, c’ha una gamba che sporge, capisci Jack? l’hostess non vede la gamba, c’inciampa, casca giù lunga e distesa nel corridoio dell’ aereo… …seconda figura di merda, eh Charlie?… …sì Jack, tutto l’ aereo scoppia a ridere, lei si rialza tutta rossa, anzi fai conto che ormai è quasi viola, e il vecchino, candido candido, le dice… …”non abbia fretta, non corra così signorina che si potrebbe anche fare male, tanto il comandante ha detto che prima di scopare deve andare a cagare”… …ma allora la conoscevi Jack!… …sì Charlie, la conoscevo già, ‘sta barzelletta… …va beh, torniamo al tuo amico, e allora che è successo?? … …insomma Frank convince Valentina a ritrovarsi nella toilette in fondo all’ aereo – che poi era proprio dietro i posti loro – per far l’ amore… …e lei c’è andata così, senza dir nulla?… …ti dico di sì, l’aveva convinta, semmai è stato Frank a metter le mani avanti… …?? … …Frank gli dice “oddio Valentina, ma lo sai che la toilette è piccola e strettina?”… …e lei? … …ah, lei è stata fantastica Charlie… …cioè?… …cioè Valentina gli ha detto “non ti preoccupare Frank, anche se la toilette è piccola e strettina il movimento ce lo metto io”… …ah… …e Frank, sai, lui è un po’ stronzo, lo conosci no? lui gli fa “OK, capisco, però guarda che la toilette è davvero piccola e strettina, non ci si può muovere più di tanto, come farai?” … …e lei? … …e lei è stata fantastica… …è la seconda volta che lo dici, cioè? … …Velentina gli fa “non ti preoccupare Frank, non ti preoccupare del movimento verso l’ esterno, non è quello che conta”… …e che vuol dire? … …gli dice “vedi, io c’ ho questi muscoli interni che quando lo chiappo poi lo faccio muovere io”… …ah… …hai capito? così gli ha detto… …e che sono ‘sti muscoli Jack? … …boh, son muscoli misteriosi… …ma sarà una specie di danza del ventre?… …mi sa di sì Charlie, una specie di danza del ventre-dentro… …credo anch’io, sì… …insomma si son messi d’accordo su una cosa del tipo si farà quel che si può e si può fare un sacco di cose… …e Valentina parte per la toilette… …lei parte e dopo un pò Frank la raggiunge… …OK, e che succede?… …allora lei si mette a sedere sul lavandino nella toilette del jumbo, a gambe aperte… …eh beh, c’aveva ‘sta minigonna nera… …era funzionale sì, cominciano a baciarsi e toccarsi, sai com’é, si eccitano sempre più… …dopo tutti quei discorsi, ci credo Jack… …e finiscono con lui seduto sul water e lei sopra a cavalcioni, e ti risparmio altri particolari Charlie… …OK, e allora? … …insomma a questo punto sobbalzano perchè c’è qualcuno che vuole entrare nella toilette… …e chi era? …e chi lo sa? Frank non me l’ ha detto… …qualche rompicazzo che s’era svegliato, suppongo… …magari un giapponese… …magari un giapponese… …allora lei fa “oddio, ma c’è uno fuori, magari c’è la fila, che facciamo?” e si scavalca da Frank disperata… …eh eh, sempre romantiche le donne, eh Jack?… …ma improvvisamente si sente la voce del comandante dell’ aereo all’ interfono che dice: “CARI PASSEGGERI QUI E’ IL COMANDANTE CHE VI PARLA IL COMANDANTE JEAN VALJEAN DI AIR CHAMPAGNE STATE CALMI STATE CALMI MA ORA BASTA CAZZATE EH? QUESTA E’ UNA COSA SERIA TORNATE TUTTI AI VOSTRI POSTI AIR CHAMPAGNE E’ COSTERNATA DI DOVERVI COMUNCARE CHE L’ AEREO STA PRECIPITANDO IN PICCHIATA SI SON SPENTI I MOTORI FAREMO DI TUTTO PER SALVARVI MA SE VA MALE FRA 5 MINUTI ESATTI CI SCHIANTIAMO NELL’ OCEANO PERCHE’ QUESTA E’ LA PICCHIATA DELLA MORTE!!” …eh eh, il comandante Jean Valjean!… …sì di Air Champagne Charlie!!… …i Miserabili Volanti in Picchiata, Jack!!! e che ha fatto Frank?… …allora Frank le dice, a Valentina, con voce profonda ma seria… …che le dice?… …”ok bela, siami quasi morti, tanto vale finire in belezza”… …ma che parla così Frank? … …cioè? … …bela, belezza, con una elle sola… …normalmente no, ma sai Charlie, devi capirlo, fra l’ eccitazione sessuale, lo champagne, l’alta quota, la paura di morire, si può scusare… …è vero si può scusare, ma quelli fuori della toilette? che è successo?… …quelli fuori tutti lì a farsela addosso Charlie, ma che te ne frega di quelli fuori?… …eh già, c’è la Picchiata Della Morte, e allora? … …e allora Frank & Val ripartono… …in belezza… …in belezza, si… …mentre l’ aereo precipita… …si fanno dei giochi di lingua, le sai ‘ste cose, no Charlie?… …sembra un filmetto porno del cazzo… …sembra, ma è successo davvero… …OK Jack… …e poi cominciano a scopare sul serio… …cioè? … …cioè in belezza… …eh eh… …anche perchè lei aziona ‘sti muscoli misteriosi… …mette il turbo Jack?… …eh sì, mette il turbo Charlie… …eh eh, il turbo-in-belezza… …allora devi immaginarti gli ultimi 90 secondi prima dello schianto nell’oceano come una sequenza erotica ad incandescenza progressiva… …non mi dire che finisce con una sodomizzazione… …ti dico lascia perdere, i dettagli sono affari loro, tu prendi l’atmosfera Charlie, il messaggio OK?… …comunque è una specie di crescendo… …sì, un crescendo erotico-rossiniano… …con la danza del ventre-dentro… …eh sì Charlie… …ho capito… …ora vedi, proprio al culmine di ‘sto crescendo… …OK… …proprio lì che Frank stava per arrivare al punto… …e magari mancano solo 20 secondi allo schianto nell’oceano… …esatto, si risente la voce del comandante all‘ interfono che dice: “CARI PASSEGGERI SONO ANCORA IO IL COMANDANTE JEAN VALJEAN DI AIR CHAMPAGNE VI DEVO FARE UN IMPORTANTE ANNUNCIO SIAMO SALVI SIAMO SALVI AIR CHAMPAGNE E’ LIETA DI COMUNICARVI CHE IO, IL COMANDANTE JEAN VALJEAN HO RIPRESO L’AEREO A 1000 METRI DAL MARE I MOTORI SI SONO RIACCESI SIAMO SALVI LA PICCHIATA DELLA MORTE E’ FINITA ORA SI RITORNA IN QUOTA E VI PORTO ALLE MALDIVE FRA POCO VI DAREMO DA BERE GRATIS QUINDI STATE TRANQUILLI E RIMETTETEVI IL CIUCCIO IN BOCCA EH?… …e? … …e Frank s’è ammosciato, s’è squagliato come neve al sole, è sparito, Frank kaputt… …poverello… …è rimasto lì come un povero scemo… …e allora Jack? … …e allora Frank ha detto a Valentina “mai più con Air Champagne, bimba, e lo champagne del cazzo se lo bevano loro, accidenti”… …’sti stronzi, ma che era successo Jack?… …era successo quel che diceva il mio amico… …cioè?… …cioè ‘sta fava del comandante, ‘sto Jean Valjean, s’ era messa una hostess in grembo e gli aveva detto “GUIDA TE BIMBA CHE A ME MI VIEN DA RIDERE”… …accipicchia Jack!… …e la cretina aveva girato una certa chiavetta che aveva spento i motori… …e da lì era cominciata… …’sta picchiata della morte… …e com’ è andata a finire?… …beh, alla fine sono arrivati alle Maldive… …e si son fatti una vacanza insieme Jack? … …chi?… …come chi? il tuo amico e la strafica, no? Frank e Valentina voglio dire… …ma no, no, c’era la cugina, Carmela, e poi la strafica c’aveva un storia con uno di lì, c’aveva da girare un film, un documentario sulle bestie che stanno alle Maldive, panda o millepiedi, ora non ricordo bene, non lo so di preciso Charlie, però … …però? … …però la strafica, Valentina – che restava lì alle Maldive un paio di mesi – la strafica dicevo, lei c’aveva una amica che tornava indietro lo stesso giorno che è arrivato mio amico… …eh eh… …tornava indietro con Air Champagne… …strafica pure l’ amica?… …certo, van sempre a coppia quelle… …OK e allora Jack? … …e allora è andata a finire che Frank, è ripartito il giorno stesso, ha fatto andata e ritorno, hai capito?… …il giorno stesso?… …sì, il giorno stesso Charlie… …ma allora non c’è stato Frank alle Maldive??… …sì, sì, c’ è stato, c’ è stato 3 ore, tempo di fare il pieno, ripulire l’ aereo dalla mandria A, imbarcare la mandria B, poi è ripartito… …ma questa è follia pura… …macchè, Frank è fatto così, te l’ho detto, gli piace volare, lui c’ha la nostalgia dell’ignoto, capisci Charlie?… …gli piace volare, eh eh, ma che c’ha la sindrome di Ulisse, Jack?… …sì Charlie, gli piace viaggiare, te l’ho già spiegata ‘sta cosa, e poi… …e poi?… …e poi c’ era anche quest’ altra strafica Charlie… …eh già… …capisci, ‘ste due si sono incontrate all’aeroporto, una arrivava e una partiva… …sempre così ‘ste strafiche, sempre agitate, sempre in partenza, sempre piene di bagagli, co’sti beauty-case pieni di cremine… …insomma, ‘ste due si son trovate all’ aeroporto e sai come fanno le donne quando si ritrovano… …eh, già capisco… …insoma tutto un cicicì-cicicì… …conosco il problema, Jack… …insomma è andata a finire che la prima strafica, Valentina, ha raccontato alla seconda strafica, che si chiama Mary Jo, ‘sta cosa di Frank e dell’ Air Champagne… …e tutta la faccenda della toilette?… …anche… …accipicchia! e allora Jack?… …e allora tu capirai, la curiosità Charlie… …la curiosità??… …sì, insomma, è andata a finire che Frank ha fatto il viaggio di ritorno con Mary Jo, la seconda strafica… …con trattamento top-top??… …trattamento TOP-TOP-TOP!!!!… …e che roba è ??… …mah, Air Champagne gli ha dato la suite presidenziale… …la suite presidenziale??… …insomma una cosa così, tipo suite presidenziale, intendo dire c’erano lui e la seconda strafica, Mary Jo… …e com’ è andata a finire???… …in belezza… …in belezza??… …eh sì, in belezza, hai capito Charlie??… …doppio viaggio… …doppio trip… …doppia strafica… …nella pancia dell’ uccellone… …accidenti che ganzo, il tuo amico Frank!… …e poi figurati, c’ era lo stesso equipaggio dell’ andata… …lo stesso comandante?… …figurati! il comandante Jean Valjean!! e chi lo smuove a quello? ormai era diventato una specie d’eroe, no? pensa c’erano anche le stesse hostess!!!… …ma ci saranno stati più attenti, no?… …eh sì, il comandante Jean Valjean ha detto alle hostess che bisognava finirla co’ ’sta storia che volevano guidare l’aereo, semmai se non c’avevano nulla da fare con la mandria al massimo potevano aiutarlo a rifucilarsi la proboscide come dicono loro, ma il volante no, il volante l’ha tenuto lui tutto il tempo al ritorno… …insomma è filato tutto liscio Jack?… …certo, tutto liscio, in belezza… …senti una cosa Jack… …si? … …e la cugina, Carmela?… …boh, non ne so nulla, sarà rimasta alle Maldive… …perchè vedi, se al tuo amico gli avanza una cugina… …ma non c’aveva i baffetti secondo te?… …ma se me l’hai detto tu che non ce l’ha, i baffetti Jack… …si te l’ ho detto io Charlie, ma tu m’hai detto, vedrai, vedrai, vedrai se non gli spuntano… …e allora???.. …e allora che Charlie? …e allora se non gli sono spuntati i baffetti, a ‘sta cugina, magari non è male, no Jack?… …beh, non mi risulta che le siano spuntati i baffetti a Carmela… …e allora senti Jack, magari ne vale la pena no? gli avanza o no ‘sta cugina, al tuo amico?… …comunque devo ammettere… …cosa Jack? … …t’ho detto un piccola bugia Charlie… …cioè? … …effettivamente vedi, Carmela i baffetti non ce l’ha… …OK, ci credo Jack… …però è un pò strabica, Charlie… …ahhhh… …appena appena strabica Charlie, quasi non si nota eh?… …ma dai Jack, lasciamo perdere… …OK Charlie, ma senti, te non ce l’ hai la sindrome di Ulisse, eh?… …nel senso?… …la nostalgia dell’ ignoto Charlie… …è trasmissibile Jack? c’è un vaccino?… …ci stanno studiando Charlie, magari arriva presto il vaccino OK?… …oh Jack, senti una cosa… …sì?… …e poi che ha fatto?… …ma chi dici, Frank? che ha fatto Frank?… …sì Jack… …quando è tornato dalle Maldive?… …sì… …due cose ha fatto… …sì?… …prima di tutto ha scritto una lettera di protesta alla direzione di Air Champagne… …ah… …raccontando tutta la faccenda… …tutto tutto??… …no, solo il viaggio d’ andata, perchè al ritorno è filato tutto liscio… …ma perchè l’ ha fatto Jack?… …perché non si ripeta Charlie… …in effetti è stata fastidiosa ‘sta cosa della Picchiata Della Morte… …eh sì, gli ha sciupato la belezza del viaggio d’ andata… …e la seconda??… …chi la seconda strafica? Mary Jo??… …no la seconda cosa che ha fatto il tuo amico, Frank… …ah sì, s’ è comprato un altro frigorifero… …capisco… …un modello nuovo dice, con i muscoli dentro… …eh eh… …che c’ è un altro concorso associato… …eh eh, senti Jack… …sì Charlie?.. …ma di che marca è ‘sto frigorifero?…


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Jack Cat

Via!

“Via!” Mi lancio. Non ero pronto, accidenti! Il tuffo è corto! Devo iniziare a contare! Milleuno. Sono fuori e l’aria mi colpisce a duecentoventi all’ora, mi prende, mi gira. Sbatto contro la fusoliera una volta, rimbalzo e vengo proiettato ancora contro l’aereo. Alzo il braccio sinistro, forse per ripararmi. Non regge, si spezza l’omero.

Milledue. Ho l’impressione di aver perso il paracadute, per la leggerezza che provo. E’ il terrore. Il braccio spezzato è inerte e sbatte per la forza dell’aria.

Milletre. Ahaa! Dio che dolore! Non devo svenire, non devo, non devo!

Millequattro. Frrhoop. Le cinghie si tendono. La calotta si sta aprendo. Inizio ad avvitarmi, o meglio a svitarmi, per le funi che si erano arrotolate quando sono uscito dall’aereo.

Millecinque. Hoop. Il paracadute si è aperto. La frenata è maledettamente efficace. Il sospiro di sollievo è troncato dal dolore pazzesco, sto svenendo. Sto urlando.

Non svengo. Devo calmarmi, devo fare tutte le operazioni per cui sono stato addestrato. Mano destra sulla bretella sinistra, giro d’orizzonte con gli occhi in alto, controllo del paracadute, ok, niente effetti reggiseno, le corde sono tutte tese, è tutto ok.

Silenzio. Finalmente silenzio, assoluto. Era il mio terzo lancio, quello del brevetto. L’ho dedicato a Daniela, è San Valentino oggi. Sarò stato emozionato per questo e ho sbagliato tutta la preparazione. Non ho battuto il piede destro e la piroetta successiva non è stata completa, la gamba sinistra non era flessa come doveva e quando il direttore di lancio mi ha dato la pacca sulla spalla dandomi il via, non ero nella posizione corretta che ci hanno insegnato. I risultati si sono visti. Daniela, amore mio, spero di poterti rivedere! Il primo lancio l’avevo dedicato a Marinetti.

Lanciarsi nel vuoto è lasciarsi dietro tutto quello che si è, che si è stati, andando incontro a quello che si sarà. Lanceremo i nostri cuori giù dal cielo come bombe e sapremo scaldarti o misero sole!

Il secondo a Herman Hesse.

Preferisco sentirmi ardere da un dolore diabolico piuttosto che vivere in questo ambiente dalla temperatura sana. Allora avvampa dentro di me un desiderio selvaggio di emozioni intense, di sensazioni, un’ira contro questa vita piatta, sfaldata, normale e sterilizzata, e una voglia di fracassare qualcosa, non so, un magazzino, o una cattedrale, o me stesso; di commettere pazzie temerarie … questo è, infatti, ciò che sempre ho più odiato, aborrito e maledetto: questa soddisfazione, questa salute pacifica, questo grasso ottimismo del borghese, questa disciplina dell’uomo mediocre, normale, dozzinale.

Questo terzo è per te, Daniela. Volevi seguire la caduta libera di una lacrima, avvicinarti alla goccia piangente e cadere in un oceano di rimorsi, onde salate che si infrangono sul cuore di un anarca ferito, e abbracciare il nulla.

Il silenzio. Nessuno può immaginare un tale vuoto ed esserci. Un vuoto in cui non sento neanche più ardere il dolore diabolico che mi sta annichilendo. Un viaggio nel nulla, uno sguardo sul mondo che frana. Voglio fermarmi, rimanere, senza cavi di collegamento, appeso all’idea di riuscire a vincere la Forza, di essere Super, di rimanere Super fino alla decisione, solo mia, di ridiscendere.

Da qui riesco a fottere la Ragione. La vedo franare ad un livello voluto, e riempire l’oceano. Un’attrazione per tutti. Vedo tutto da qui. Il nulla è solo qui. Io sono ciò che riempie il vuoto. E se fossi io vuoto?

Daniela!

Puoi trovare uno spazio libero che non sia un vuoto? Sei tu la chiave del dilemma. Devi trovare lo spazio fertile che c’è in me! Ci troveremmo ad occupare il volume di un unico progetto. Libero, senza limiti, sarà tutto quello che non occupa spazio, o dilaga nel vuoto. Non trovo appigli. Il mondo inesorabilmente si avvicina, piatto.

Cento metri. Lo spazio si restringe, il vuoto si colma, il sogno svanisce. Il dolore si risveglia. Il desiderio ancestrale di salvezza mi scuote.

Trenta metri. Sento l’odore della terra, repulsivo.

Venti metri. Sento il braccio inerte vibrare dalla tensione.

Dieci metri. Sento irrigidirsi la parte sinistra del corpo. La destra rilassarsi. Aha! A destra, a destra!

Mi affloscio a destra, lasciando il braccio sinistro appoggiato al tronco. Il dolore è fortissimo, al limite della coscienza. La calotta si rigonfia per il vento, le corde si tendono ancora. Comincio lentamente a strisciare sulla terra dura. Mi lascio trascinare senza alcun interesse a resistere.

Sono in un vuoto energico, mentale, volontario. Sento mani che mi afferrano, salde. Soffocano la vela che mi stava trasportando. Voci che mi interrogano, inutilmente. Sento mani che mi sollevano, mi caricano. La sirena lacerante, dolorosa, mi accompagna.

L’unico desiderio, adesso, è tornare su un aereo e lanciarmi ancora. Non voglio pensare che mi possa essere impedito. Voglio solo tornare a volare, nell’aria, con il silenzio intorno, circondato dal nulla. In un letto all’ospedale aspetto il rimarginarsi delle ferite. La radio annuncia: “Patrick de Gayardon è morto sfracellandosi al suolo, il suo paracadute non si è aperto alla fine di un lancio d’allenamento”. Incredulità, dolore, un altro mito che svanisce. L’uomo che vola, il realizzarsi di una mutazione sognata da sempre, è finito come ci si aspettava che finisse. La Morte non si distrae mai. Quando si naviga all’estremo margine della Vita basta un soffio leggero per arrivare oltre. Di qua rimane l’involucro biodegradabile.

Le mie aspettative crescono, dalla costernazione nasce il desiderio di emulare il campione. La sfida con la Morte deve continuare, occorre trovare chi riuscirà a sconfiggerLa. Il prossimo lancio lo dedicherò a Patrick. Per ora mi accontento di ripercorrere con lui quanto di più spettacolare ci ha lasciato: infilarsi in volo nel Gran Canyon. Centrare la cruna del mondo, passare dallo stato gassoso a quello solido. Continuo a sognare.

Nel letto d’ospedale le ferite si rimarginano, ora più rapidamente. Anche gli uccelli con le ali spezzate tornano a volare. Esercizi, esercizi, devo tornare ad essere forte.

Quando rientro al lavoro, in banca, sento materializzarsi la compassione dei colleghi, la diffidenza dei superiori. Per tutti non merito rispetto, le pratiche si sono accumulate come se tutto quello che mi concerne possa essere stato contaminato dalla Follia. Sono diventato una presenza ingombrante. Il mio paracadute è sempre gonfio, sottrae aria ai presenti. Conciliare il mio ottimismo con quello grasso di questi mediocri, normali, dozzinali borghesi.

Vivere una vita piatta, sfaldata, normale e sterilizzata.

E’ un’altra sfida che mi si presenta, amara e sarcastica, che vorrei evitare, come un vigliacco, perché so più difficile da risolvere che non quella sportiva. Vogliono efficienza, anche qui, come se il rischio di un errore possa essere mortale. Denaro, più di quello che la normalità esigerebbe, questo è l’obiettivo.

Al venerdì sera mi capita di fuggire, letteralmente, dal magma vischioso della banca, prendere il primo aereo per raggiungerti, Daniela, per tornare a respirare l’aria indispensabile del provvisorio, del confronto. Marinetti, Hesse, de Gayardon, Daniela.

“No!” “Continuerò a volare e a lanciarmi con il paracadute.” “ Si! Certo.” “No! Le dimissioni non le darò!” “A risentirci, signor direttore.”


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Maurizio Casamassima

Quella mattina

Quella mattina ci eravamo incontrate di fronte all’entrata posteriore del Liceo Scientifico “G. Marconi”. Con gli occhi semichiusi, le voci ancora assonnate, incuranti dell’ennesimo ritardo in classe, dopo esserci date un “Buon Giorno” alquanto distratto, indaffarate a legare le nostre biciclette agli ultimi pali rimasti disponibili, ci eravamo interrogate sul nostro futuro: “Allora, ragazze, che facciamo? È ora di decidere , il liceo sta per finire!”. Tutte e tre, vale a dire io, Luisella e Silvia, avevamo accordato che era il caso di continuare a studiare e di non rinunciare a godere dei privilegi della vita da studenti. Il problema era cosa studiare e dove studiare. Così Luisella, la più saggia delle tre, aveva detto: “E chi ce lo fa fare di andare a Cuneo? Una volta che prendiamo il treno arriviamo fino a Torino, no?” E così era stato. Ci eravamo salutate come se avessimo parlato del tempo, inconsapevoli che quella breve conversazione avrebbe fatto intrecciare i nostri destini e irrimediabilmente legate l’una all’altra nei ricordi. L’anno scolastico era continuato tranquillamente finché in occasione dell’esame di maturità, ci era venuto in mente che forse ci saremmo ritrovate a vivere insieme dopo qualche mese. Così, previdenti, avevamo deciso di testare la convivenza e ci eravamo rinchiuse in una graziosa casetta in provincia di Torino, a ridosso delle Alpi, per studiare quello che in seguito si era rivelato il primo di una lunga serie di esami preparati insieme. E fu lì che cominciammo ad apprendere la complicata e geniale personalità di Silvia, fatta di desideri di viaggi in aereo, di desideri di volo in generale (diceva che tutte le notti sognava di essere una farfalla, bianca e gialla), di stimoli a forma di biscotti al cioccolato, di ragionamenti che si concretizzavano in pagine di geroglifici che solo pochi riuscivano a comprendere ma che tutti immaginavano fossero esercizi di matematica, di tensioni che si scaricavano in corse su e giù per le scale e nel boschetto con rovinose cadute e spargimenti di sangue, di paure che la portavano, dopo una notte brava, a studiare alle 8 di mattina Inglese, di dolci gentilezze per cui noi godevamo di cornetti caldi alle 7 di mattina e di pazzie lunghe una notte, dopo una partita a carte, indossando pigiama e occhiali da sole e implorando, sul più bello, un giro in aereo e urlando: “Voglio volareeee!”. A quel punto come non intraprendere l’avventura universitaria insieme? Silvia si era dimostrata una splendida persona fin dall’inizio. Così in una calda giornata di agosto eravamo andate a Torino in cerca di casa. Oltre ad essere calda era pure domenica e non c’era un cane in giro! Ma noi eravamo contente e felici di iniziare questa nuova vita da studentesse universitarie serie ed impegnate. Sotto il sole cocente, con i nostri rispettivi genitori, avevamo cercato e poi trovato il nostro nido di passioni e di studi. E in men che non si dica ci eravamo trasferite in via P. 48, dopo aver fatto una “leggera” pulizia di varie ore con le rispettive mamme. Per Silvia era iniziato il periodo di prova all’Università di Biotecnologia dove la tenevano incarcerata dalla mattina alla sera e noi non potevamo goderci il nostro gioiello. Tornava a casa e si distendeva 5 minuti sul letto, poi non la vedevamo fino al giorno dopo. Così la nostra compagna d’avventura aveva capito che aveva bisogno di molta più libertà, ed aveva fatto il grande passo cambiando facoltà: Chimica Industriale. Era iniziato allora il periodo sano delle carote e del conteggio delle calorie: “Scusa Silvia, quanto hai detto che sono 100 grammi di piselli senza condimento?”, ” Vai tranquilla , sono solo 69 calorie” ci rispondeva mentre sgranocchiava un gambo di sedano crudo. E noi, rassicurate, sapevamo che potevamo mangiarne in quantità industriali perché sono sani, fanno bene e sono leggeri e che, se volevamo fare le sofisticate, li potevamo accompagnare con un po’ di mais e qualche crackers. In questo modo potevamo permetterci di toglierci lo sfizio (ogni tanto eh!) di sbaffarci giganti biscottini al burro spalmandoci solo mezzo dito di Nutella in cima. E la convivenza continuava. Noi due (io e Luisella) vivendo nella nostra piccola e confortevole stanzetta, condivisa con maestria e creatività, invece Silvia vivendo in una stanza tutta sua, inciampando ripetutamente nei libri o nelle cose che spargeva un po’ dappertutto e negli aerei di carta (costruiti con le pagine dei notes fitti dei suoi geroglifici) che in continuazione piegava e faceva volare di qua e di là, dando la preferenza alle nostre teste. Ed i giorni trascorrevano. Io e Luisella che ci svegliavamo sempre all’ultimo momento, correndo in bagno insieme, e mentre una faceva la pipì l’altra si lavava i denti, e poi ci davamo il cambio per far presto, pedalando in bicicletta come pazze lungo le porticate vie di Torino per andare alla lezione della tarda mattinata. Invece Silvia si svegliava circa un’oretta prima di uscire di casa (il che equivaleva circa all’alba) per fare tutto con calma; e non importava a che ora era andata a letto la sera prima o cosa aveva bevuto, o quanto il suo impegno fosse costante e determinato … tutte le mattine era in piedi scattante! Si preparava una deliziosa colazione, si pettinava, si faceva una calda doccia, si metteva le sue cremine, etc etc etc. E noi la incrociavamo che usciva di casa correndo e a braccia aperte per emulare la farfalla che era in lei, oppure ronzando come l’aereo sul quale sognava di volare, un giorno. La vita e l’euforia torinesi ci avevano preso per mano e accompagnato alla scoperta di questa città, delle sue strade, della sua gente, degli studenti, dei locali. Dopo la telefonata quotidiana con papà e mamma, Silvia c’era e c’era sempre: una festa in un locale, una cena a casa di amici, cinema, teatro, un privee nel nostro appartamentino … lei era là, sempre, piena di energia e di casino, pronta a dare il meglio di sé, sempre! L’Amaretto di Saronno, intanto, era nostro compagno e le pastasciutte liofilizzate alle 5 del mattino l’ultimo grande piacere della nostra giornata che si concludeva, così , traballando, sfiorata dalla luce e dai rumori di un mondo che si svegliava. Una sera, finalmente uscita dal bagno e vestita del suo pigiamino rosa irrimediabilmente troppo corto, ci aveva guardato con un viso perlato dall’olio di mandorle che le illuminava le gote rosate e aveva detto, ormai sognando il suo letto e la coperta di pelucchio: “Ragazze, vado a dormire un po’ che domani mi devo alzare presto. Devo iniziare a studiare seriamente, l’esame è tra meno di un mese!”. Aveva alzato la mano in segno di saluto, inclinato dolcemente il capo e sorridendo ci aveva salutato: “Buonanotte ragazze”. Era iniziato così il momento di studio matto e disperatissimo di Silvia! La cucina era stata occupata da lei, da cumuli di libri e appunti mischiati a modellini di aerei di carta e a biscotti e briciole, i cui segni e bontà ancora si possono trovare tra le giunture e nelle macchie conservate dalle pagine dei nostri testi universitari. Proprio adiacente alla cucina si trovava quel locale che sarebbe rimasto impraticabile per tutto il periodo della nostra permanenza: “camera di Silvia!”. Quel piccolo universo a parte che lasciava di stucco gli ospiti quando si apriva quella porta e del quale la nostra Silvia tanto andava fiera. Ma ancora più strabiliati, gli ospiti, rimanevano quando ascoltavano il nostro genio mentre suonava uno di quei pezzi “tranquilli” di musica classica che le impegnavano le mani, i piedi, tutti i muscoli delle braccia, del collo, del ventre … in uno sforzo verso l’estasi dei sensi … suoi e nostri ! “Quando suono mi libero nell’aria e volo … cosa ci può essere di più bello che volare nel sole?”, diceva estasiata. E quando finiva di suonare l’ultima nota che si propagava nei nostri corpi e scorreva nelle nostre vene, iniziavamo ad applaudire, lei alzava la testa fino ad allora piegata verso la tastiera e si sistemava i capelli che nel frattempo si erano anch’essi elettrizzati. Poi, al termine di ogni esibizione usciva sul terrazzino e restava ad osservare il cielo. “Ragà”, diceva, “Non vedo l’ora di fare un viaggio in aereo … voglio volare …”, e poi cantava a squarciagola: “Volareee ooo, volareee ooo, nel blu dipinto di bluuu … felici di stare lassùùùù …” Chiusa in casa era stata in quel periodo la povera ragazza, nei suoi occhi tristi si leggeva una clausura che la faceva penare come un animale in gabbia che cerca l´infinito del cielo nel quale sogna di volare. La staticità non faceva per lei, così trovava sempre l’occasione di fare un po’ di esercizio: dalla sedia al frigorifero e dal frigo alla nostra stanza . “Ragazze, cinque minuti di pausa!” e veniva a sdraiarsi sul lettone comodo e floreale in cui ci si riuniva per fare le nostre quotidiane discussioni sulla vita, sui nostri ideali, sui nostri sogni. Ed era stato allora che avevamo immaginato il nostro uomo ideale: “A me basta che sia intelligente, simpatico, bello, generoso, che sappia suonare, che sia romantico, che mi ami alla follia, che mi faccia sentire una regina, che sia fedele, che sappia capirmi, che sia dolce, sincero, interessante, sportivo, amante della natura e dei viaggi, elegante … se poi pilotasse un aereo, allora beh, me lo sposerei subito … subitissimo!” Silvia aveva le idee chiare. Le soddisfazioni non avevano tardato ad arrivare, e fin dai primi esami Silvia aveva dimostrato la sua eccezionale capacità e predisposizione per i suoi studi che proseguivano nel migliore dei modi. E questi successi erano stati anche la grande occasione per celebrare e festeggiare: notti, giorni, settimane travolte da Silvia e dai suoi sogni, dai suoi aereoplanini di carta che aumentavano a vista d’occhio e si perfezionavano nelle forme. Così erano trascorsi gli anni, tra cene a lume di candela, fragolino bianco e dolci al cioccolato per i nostri indimenticabili Natali, cacce al tesoro per trovare i regali nascosti nei posti più impensati, Tai Box ed arrampicate tra una suonatina al piano e l’altra, i giri in Roller ai giardini del Valentino, le corse mattutine ai Murazzi, le piadine con gli amici, gli esperimenti culinari, il viaggio a Londra (in treno, purtroppo per Silvia che non la smetteva di sognare un viaggio in aereo), i capodanni colorati, le risate senza fine, gli abbracci ed i sogni … Ma i sogni si erano fatti realtà: “Pensavo di andare un anno a studiare all’estero … così finalmente salirò su un aereo, e poi una volta preso l’aereo tanto vale viaggiare no ? Secondo voi, è meglio San Diego o Berkeley?”, aveva chiesto Silvia mentre sfogliava i programmi di studio, le foto, le informazioni. Dovevamo partire. In qualche modo bisognava salutare Torino e chi aveva vissuto con noi quei 3 anni di vita insieme. “Invitiamo tutti al Valentino, al gazebo vicino all’Orto Botanico! Riuniamo là tutti gli amici per un commiato finale alla grande!”. Questa era stata la grande proposta di Silvia. Grandissima idea! Grandissimo sforzo! Queste parole erano state tutto il suo contributo mentre io e Luisella avevamo dovuto organizzare il resto. Quella notte fu unica. Sembrerà strano ma vedere i propri sogni che si realizzano può significare anche tanta tristezza. Ed era stato con gli occhi lacrimanti e il naso rosso (che non era allergia alla polvere anche se di polvere là dentro ce n’era tanta) che avevamo sbaraccato il nostro appartamento: i poster, le foto, i CD, le bici . Silvia aveva trovato oggetti di cui aveva dimenticato l’esistenza da tempo indeterminato dispersi nei meandri della confusione. Fu difficile salutarsi e pensare che non avremmo più visto la nostra cara amica Silvia entrare dalla porta con il fiatone perché “fare le scale a piedi fa bene al culetto! E poi adesso mi posso mangiare un sacchetto di Condorelli senza scrupoli di coscienza!”, Silvia stravaccata nel mezzo del tavolo della cucina con una montagna di libri dai quali allungava la testa per vedere chi stava entrando dalla porta, Silvia alle prese con pentole che bruciano perché “io l´olio ce lo metto dopo, a crudo!”, Silvia chiusa in camera che prende a pugni lo specchio, Silvia chiusa in camera che suona al pianoforte una musica per comunicarci il suo stato d´animo, Silvia chiusa in camera sotto una montagna di coperte, piumini, cuscini ed intorno una montagna di libri, maglioni, calzini, scarpe, magliette, Silvia chiusa in camera a volare con la fantasia, Silvia davanti allo specchio per ore, Silvia dentro al bagno per un´eternità, e poi ancora Silvia in giro per Torino con quel Ciao rosso che sfreccia tra le automobili e i suoi “Dio ci salvi!” E così la nostra eroina aveva cominciato con i preparativi per la partenza. Anch’io e Luisella ci stavamo preparando perché, coincidenza voleva che fossimo tutte e tre a partire per nuovi mondi e nuove avventure. Avevamo deciso di registrare una cassettina per ascoltarla poi durante il viaggio, una per ciascuna. Ed anche in questa occasione Silvia non si era accontentata di registrarci un nastro con le canzoni di qualche cantante più o meno conosciuto. No. Non lei. Così io e Luisella avevamo trovato un piccolo pacchetto nella cassetta della posta. Mittente: Silvia. Dentro quell’involucro di carta (apparentemente normale) avevamo trovato: uno spartito con le note dell’indimenticabile sinfonia che Silvia frequentemente ci dedicava, Waldsteiner, una cassetta in cui aveva registrato una sua memorabile interpretazione di quella stessa melodia e una lettera con cui ci comunicava la sua poesia. Una poesia kandinskiana, scritta con l’anima di una musicista che ascoltava la vita in armonia con le persone che amava e con le quali desiderava creare una sinfonia magica, quella sinfonia eterna ed unica che si può comporre solo in certi momenti di assoluta ispirazione. E poi, dulcis in fundo, come una ciliegina sulla torta, usciva la voce di Modugno con la sua “Nel blu dipinto di blu””. E l’ispirazione portò Silvia fino a San Diego, in quella città dall’estate tutto l’anno, dai surfisti statuari nelle spiagge e tra le onde, dalla vita sana e sportiva, dalla gente no smoke, dall’ Università no stop. Le vie di comunicazione fortunatamente in questo nostro periodo della vita sono molto rapide e dirette, così la nostra apparente lontananza tagliava le distanze con i fili di internet e la meravigliosa posta elettronica … quotidianamente trovavamo il modo per comunicare la nostra situazione psico-fisica : “Ragazze, 8 chili in pochi mesi … non è una cosa normale! Devo iniziare la dieta … È che qui è tutto più grande … lo spazio , le distanza, la mia pancia … e la gente è pazza, non so, sono tutti impazziti qui! E questo tipo? Cosa fa? Sorry? What? Bah…ragà, da domani inizio windsurf e il corso di sub e a correre e a svegliarmi prestissimo alla mattina e a studiare e ad uscire di più con gli amici e a prendere il sole e a camminare per la spiaggia e a guardarmi tutte le sere i tramonti di San Diego e … a proposito: inizio un corso di deltaplano, sarà bellissimo, fantastico! Volerò. Non come quando sono venuta qui: come prendere l’autobus, non volare. Col delta volerò davvero e ancora e ancora e ancora … finalmente!” . Un anno era trascorso in fretta e Silvia aveva visto tutto ciò che una persona è in grado di vedere: Gran Canyon, San Francisco, il Messico … ma la cosa più importante era stato l’incontro con l’uomo della sua vita : Miky. Che era proprio come lo aveva sognato e addirittura faceva il pilota per una compagnia di volo americana. Silvia era rientrata in Italia col suo amore ed era stato così che quel periodo natalizio lo avevamo trascorso con i nostri rispettivi principi azzurri (per la prima volta nella nostra vita) brindando con un bicchiere di ottimo vino rosso in una tipica osteria di Conegliano. Poi Miky era ripartito alla volta di Madrid, dove abitava e dove desiderava sposare la sua Silvia, mentre Silvia, dal canto suo, aveva già deciso di studiare e preparare la tesi a Madrid: “Perchè quando mi sarò laureata sposerò il mio Miky senza perdere tempo prezioso”, ci aveva confidato. “Adoro la Spagna!” Così tra mille peripezie la nostra eroina si era trovata al momento finale di percorso. Era durato un tempo indimenticabile, era stato pieno di emozioni, di novità, ma soprattutto di amici e d’amore. Silvia stava per raggiungere il suo traguardo e noi due eravamo orgogliose e piene d’ammirazione per come la nostra amica aveva costruito il suo percorso, per quello che era, per tutto ciò che avevamo condiviso, per ogni momento vicino e lontano, per ogni parola di conforto e di positività, per una amicizia unica ed autentica, per quegli abbracci di “arrivederci” e di “bentornata”, per ogni nostra preziosa pazzia, per essere cresciute e cambiate insieme, per ogni nota che ci ha accompagnato in quel magico momento della nostra vita.

L’ultima volta che abbiamo visto Silvia, la nostra meravigliosa Silvia, stava partendo alla volta di Madrid, per preparare la sua tesi e per sposare il suo Miky, con il volo Iberia Venezia-Madrid delle 15 e 32. Era il quindici di ottobre, una giornata opaca, velata dalla nebbia. Io e Luisella eravamo tristi per la sua partenza, ma sapere che si sarebbe laureata e poi sposata ci sollevava un po’, anche se l’anima restava gonfia come per un oscuro presagio. L’avevamo salutata nella sala d’aspetto, stretta forte fino a farla esclamare: “Ragà! Mi state soffocando …”, e poi l’avevamo salutata mentre saliva la scaletta dell’aereo. Era così felice che ci era sembrato di vedere il suo sguardo brillare fin da così lontano. Era felice, e noi per lei. Aveva sorriso, Silvia, mentre saliva la scaletta dell’aereo, aveva continuato a salutarci sbracciandosi senza sapere che quel saluto sarebbe stato per noi e per lei l’ultimo dei nostri saluti.

L’aereo della compagnia Iberia, decollato alle 15 e 32 dall’aeroporto Marco Polo di Venezia con destinazione Madrid,  è precipitato poco dopo il decollo. Probabilmente  per un guasto ai motori. Testimoni riportano di aver visto due scie di fumo e di aver udito poco dopo un forte boato. Rottami dell’aereo sono dispersi su una vasta zona di mare. Dalla dinamica dell’incidente e dalle notizie trasmesse dai primi soccorritori sembrerebbe che nessun passeggero si sia salvato. (Agenzia Ansa, ore 15 e 43)


# proprietà letteraria riservata #

Papera volante animata
Alìda Casagande

La fiamma e la falena

L’aurora faceva capolino fra le cupe nuvole di peltro e di acciaio mentre una pioggia leggera e filamentosa scendeva penetrando tra i rami intricati e ancora nudi di un boschetto di querce. Lentamente un’aria lucida e umida incominciò a fra i tronchi scuriti per poi appoggiarsi sui rovi e sui verdi ciuffi d’erba che riprendevano a vivere nella nuova primavera che sopraggiungeva con un po’ di lentezza. Il querceto si disputava lo spazio con una piccola macchia di pini che lasciava precipitare un fragoroso torrentello assediato da pallidi ranuncoli gialli che annegavano in un campo di girasoli ancora in boccio.

Un calabrone che amava trascorrere il suo tempo svolazzando sopra ai fiordalisi che qua e là spuntavano tra i ciuffi di ranuncoli ogni tanto annegati dall’acqua adamantina e fredda del torrentello, osservò affascinato una giovane falena che si mimetizzava sulla corteccia del tronco di un pino. Era diventata indistinta, e poi, nell’atto di alzarsi in volo batté le ali tanto rapidamente che esse erano diventate vaghe come le eliche di un aeroplano e poi, d’improvviso aveva spiccato il volo allontanandosi dal pino su cui era posata. Il calabrone l’aveva guardata sentendosi incantato ed affascinato dalla grazia di quelle ali, tanto che le volò a fianco e le disse: «Mi piaci così tanto che vorrei sposarti…» La falena domandò sorpresa: «E perché vorresti sposarmi?» «Perché le altre farfalle sono troppo appariscenti e non mi sono simpatiche come mi sei simpatica tu! E poi ti confesserò che la tua umiltà mi ha colpito…» Queste parole lusingarono molto la falena dalle ali color nocciola, la fecero sentire importante e bella, tuttavia scrollando il capo rispose gentilmente: «Non so se mi sarà possibile accettare…io sarei felice ed orgogliosa di diventare tua moglie, ma non so se sia il caso…» «Perché esiti?», le domandò il calabrone sbattendo le ali in un forte ronzìo. «Che cosa ti trattiene? Non ti piaccio forse?» «No! Non si tratta di questo…Credo che sarebbe opportuno se chiedessi il permesso a mia madre.» «Perché temi tanto l’autorità di tua madre? E’ forse cattiva nei tuoi confronti?» «No, non si tratta di questo…è che sono giovane e …» «Va bene, visto che sembri temere molto tua madre,» aggiunse il calabrone con piglio risoluto e deciso, «verrò io a chiedere la tua mano.» «Non so se questo potrà servire per convincerla, lei ha sempre sostenuto che non dovrei sposarmi…» «E perché mai?» La giovane falena esitò prima di rispondere, poi, interrompendo il suo volo per posarsi sopra un filo d’erba ingiallito, aggiunse d’un fiato: «Non preoccuparti, cercherò di convincerla…non preoccuparti, vedrai che ce la faremo.» «D’accordo, vorrà dire che questa sera passerò a prenderti, prima che il sole smarrisca la sua luce nell’aria frizzante della sera io sarò da te!» «Davvero?», domandò la falena soddisfatta. «Davvero verrai?» «Certamente!», concluse il calabrone volando via velocemente e lasciando la falena sorpresa e frastornata per quanto era accaduto. Si sentiva al settimo cielo per la felicità, e quando giunse al pino dove la madre soleva riposare le raccontò tutta la storia con fare allegro e spensierato. Ma la madre non si felicitò con lei, né si rallegrò per la proposta di matrimonio del calabrone, e con tono piuttosto dispiaciuto le disse: «Tu non puoi sposare quel calabrone! Lo sai che a noi falene è severamente vietato contrarre matrimonio…» «Ma perché?», domandò la piccola falena con la delusione nella voce. «A me piace quel calabrone…è così forte, robusto, deciso…Mamma, ti prego! Permettimi di sposarlo!» «Figlia mia, io vorrei che tu fossi felice, ma sai quanto volubili siamo noi falene…siamo farfalle sciocche che si lasciano incantare e tu lo sai benissimo piccola!» «Ma a te non è mai accaduto nulla!» «No, ancora no, ma potrebbe sempre succedermi…» «Non è vero, se non è accaduto nulla fino ad ora non accadrà più, e se non è capitato a te non capiterà nemmeno a me: se mi permetterai di sposare il calabrone ti giuro che non mi lascerò attrarre nè distrarre…te lo giuro mamma!», e tanto continuò a pregare, a supplicare, a implorare, che la madre si sentì costretta a dare il proprio consenso. «E va bene!», esclamò spazientita. «Quando il calabrone passerà a prenderti gli darò il mio consenso per il matrimonio e non dirò nulla del nostro segreto…però tu non dovrai mai, mai e poi mai lasciarti attrarre e ingannare da ciò che sappiamo!» «Lo giuro mamma! Lo giuro…sarò una buona moglie e lo farò felice sì, lo farò felice!», esclamò la giovane falena fermamente convinta di quel che aveva asserito. «Lo prometto…» «Non giurare e non promettere. Quante volte ti devo insegnare che le promesse e i giuramenti sono inutili? Cerca di impararlo una volta per tutte prima che io cambi idea sul tuo matrimonio…» La giovane falena non spiccicò una parola di più, e dopo che il calabrone era passato a prenderla ottenendo l’approvazione e la benedizione della madre partì per il volo nuziale. Un volo meraviglioso dentro l’aria della sera che stava imbrunendo e annegava nel crepuscolo che filtrava nell’intricato intreccio delle querce che li sovrastavano. Al mattino seguente, mentre le ghiandaie cantavano e la timida luce dell’aurora avanzava fendendo le nuvole argentate, il calabrone e la giovane falena ripresero il dolce volo interrotto la sera precedente perché la notte era calata d’improvviso sopra il loro piccolo mondo costringendoli al riposo. I fiori dei prati rallegravano il volo degli sposi spalancando le loro corolle e il calabrone, con fare orgoglioso e sapiente, raccontava alla falena storie di api, di formiche, di farfalle variopinte e di vespe sue parenti. E volavano felici e spensierati nell’aria limpida della vallata che ogni tanto veniva percorsa da leggeri soffi di vento, mentre lo sposo insegnava alla sposa il nome dei fiori che incontravano lungo il loro viaggio: le indicò il bianco dei petali di margherita, il giallo solare dei ranuncoli, il viola slavato dell’erica che stava appassendo, e il contrastante violetto acceso e splendente delle mammole che sprofondavano dentro ai folti ciuffi d’erba bagnati di rugiada. Dopo aver volato insieme per ore ed aver visitato campi di velluto verde ripresero la via del ritorno. Giunti al loro luogo natale il calabrone incominciò a costruire un nuovo nido. La falena si sistemò provvisoriamente sulla corteccia di un pino che si ergeva a pochi metri da una casa disabitata i cui muri esposti a nord erano ricoperti di muschio e di vecchissima edera dalle foglie consunte e leggermente ingiallite. Il nido che il calabrone stava costruendo piaceva molto alla falena che pensava tra sé e sé: «Come sarò felice!», ingenuamente convinta di riuscire a sfuggire alla propria sorte. «Saremo sempre felici io e lui…sempre, sempre, sempre!» Con l’animo che traboccava di speranza incominciò a sistemare il nido in modo da renderlo più accogliente possibile; il calabrone era soddisfatto della collocazione che aveva trovato anche se avrebbe preferito andare ad abitare nei pressi della città, però la falena lo aveva pregato di non condurla a vivere in un luogo rumoroso e pieno di confusione che è tipica degli uomini, e lui, poiché l’amava infinitamente, l’aveva accontentata in tutto e per tutto. L’amava, ed amandola non desiderava altro che la sua felicità. In quella primavera gli sposi si dilettarono a volare sopra macchie di susini in fiore che dominavano giovani noccioli dalle infiorescenze pendule, lungo corsi di ruscelletti bordati da primule gialle che parevano topazi, e dentro la loro acqua fredda i ciuffi di miosotide si lasciavano frustare dalla forza della corrente che sembrava volerli strappare dalla terra. Anche nell’estate del loro matrimonio tutto proseguì magnificamente, e volando sopra il loro piccolo mondo, il calabrone non perdeva mai l’occasione di insegnare qualcosa alla sua giovane falena: le indicava il rosso sangue dei papaveri che occhieggiavano dagli umbrertosi e dorati campi di grano nei quali pareva essere sprofondato il sole, le mostrava l’azzurro del cielo specchiato nei fiordalisi e negli amorini, la fragilità dei soffioni i cui frutti sottili simili ad acheni, sormontati da un pappo piumoso a forma di ombrello, si staccavano con estrema facilità ad un lievissimo soffio di vento per poi restare sospesi in aria e vagare come farfalle, le narrò che gli uomini, scherzosamente, dicevano che sarebbe stato un bugiardo colui che non sarebbe riuscito a staccare dal ricettacolo tutti i frutti che vi si sarebbero trovati. La falena, quando non trascorreva tutto il suo tempo in volo con il calabrone si occupava delle faccende di casa e non mancava mai di fare visita alla madre per dimostrarle che era una falena saggia poiché aveva scelto di abitare in un luogo isolato e di conseguenza lontano da ogni tentazione che avrebbe potuto distrarla e ingannarla: «Vedi mamma,» era solita dire, «io voglio bene al calabrone e non lo farò mai soffrire…non farò nulla che possa dispiacergli!» Sua madre l’ascoltava con l’animo oppresso da brutti presentimenti anche se nel sentire i buoni propositi che la giovane figlia dimostrava di coltivare non avrebbe dovuto coltivare nessun dubbio e nessun timore. Ma ciò che preoccupava la madre era la consapevolezza di sapere che nessuno può sfuggire al proprio destino per quanto impegno possa mettere nella fuga, ed in virtù di questa sua convinzione non scordava mai di raccomandare alla figlia di stare all’erta, di prestare una particolare attenzione ai pericoli ed alle tentazioni poiché avrebbero potuto intralciare il cammino della sua vita quando meno se lo sarebbe aspettata, ma la giovane falena, con la cocciutaggine e la testardaggine tipiche dell’età, le rispondeva sempre: «A me non accadrà nulla di brutto perché so badare a me stessa!» Al che la madre aggiungeva accorata: «Non scordare il nostro segreto!» «Va bene mamma, non lo scorderò…non ci sono pericoli dove ho fatto costruire il nido al calabrone…non crucciarti perché io mi so destreggiare…» E la madre, restando poi da sola, sospirava forte pensando: «Ah, se davvero fosse così…» Dicendo che il nido del calabrone era stato costruito lontano dai pericoli, la falena aveva detto la verità alla madre. Ciò che aveva preferito nasconderle senza alcun motivo apparente, era invece l’esistenza di quel pino quasi addossato ad una vecchia casa, sul quale lei amava sostare. Improvvisamente, nello scorcio di un cupreo pomeriggio di fine estate, dentro una stanza di quella costruzione diroccata ed impolverata, comparve un tenue chiarore vacillante, oscillante ed irregolare. La falena che proprio in quel momento si era posata sul tronco del pino, restò immobile, attonita e sorpresa, nell’osservare quella sorgente di luce che tremava. Un violento brivido le sferzò il corpo, lo sgomento le incatenò la mente e spaventata ritornò al proprio nido dove fece il possibile, ed anche l’impossibile, per mascherare e nascondere la sua ansia al calabrone. Ma poiché lui l’amava e l’adorava, si accorse subito che lei non era come sempre, che qualcosa la turbava e la preoccupava; spinto da una premurosa sollecitudine le domandò: «Che cosa è accaduto oggi mentre sono stato al querceto?» «Perché mi fai questa domanda?», chiese lei con fare nervoso ed irritato. «Che cosa temi che accada in questo luogo tanto isolato? Niente, niente di niente di niente!» Quella risposta troppo precipitosa, non servì a tranquillizzare il calabrone che seguitò ad essere preoccupato per la sua giovane sposa. Intanto, ogni sera il bagliore tremolante continuava a rischiarare quella finestra incorniciata dal muschio umido mentre la falena si incantava ad osservarla, preda di un violento batticuore fino al momento in cui, non riuscendo più a trattenere la curiosità si avventurò sul davanzale attraversato da vecchi rami di edera ingiallita e vide nella stanza, un vecchio comodino sopra al quale era stata appoggiata una candela che gocciolava…e ardeva bruciando con una fiamma vaga e debole che a tratti si impennava oscillando come se fosse stata preda di un violento spasimo. La falena avrebbe desiderato immensamente entrare in quella stanza, ma la finestra era chiusa e sigillata dall’intrico dell’edera consunta. Il calabrone, che non conosceva il segreto delle falene, non poteva avere nessun sospetto sul conto della sua giovane sposa, non poteva immaginare la forte e tempestosa attrazione che lei sentiva verso quella sorgente di luce, ed ignaro, permetteva che tutte le sere al tramonto si recasse sul davanzale di quella finestra. Ed ogni sera di più, di più, di più la falena si sentiva dominata, stregata ed affascinata da quel fioco lume tremolante che le appariva triste e malinconico come lo era lei. Piano piano, con il morire dei giorni, si convinse che quella fiammella sarebbe stata felice di conoscerla, e che se l’avesse avuta al suo fianco avrebbe arso e bruciato con più forza e vigore. Col sopraggiungere delle prime foschie autunnali la falena era tanto cambiata, deperita e intristita che il povero calabrone non sapeva più che cosa dire né cosa fare per non vederla patire come in quell’ultimo periodo. Gli alberi stavano perdendo le foglie che, secche e vizze, si lasciavano trasportare in aria dai mulinelli dl vento, mentre la falena continuava a desiderare quella luce fioca, e nei crepuscoli arborei andava a guardarla e ad ammirarla. La candela, dimenticata accesa da qualcuno che era entrato in quella casa disabitata, si stava consumando e la falena non riusciva a rassegnarsi di non poter avvicinarsi a lei. La fatalità decretò che la pressione dei rami di edera, e l’umido del muschio scivoloso, riuscissero a far marcire il legno del telaio di quella vecchia finestra che lasciò cadere il vetro. Fu così che la falena in quella sera umida e nebbiosa riuscì ad entrare nella stanza dove ardeva la candela dalla fiammella oscillante; vedendola così da vicino si commosse e la desiderò in modo intenso e spasmodico. Si sentiva felice come mai lo era stata con il calabrone. Osservava con estatico rapimento quella tremula fiammella e le volteggiava intorno. E volava, volava, volava intorno a quel lume pur sentendosi stanca e sfinita. L’oscurità stava bagnando di nebbia tutto il bosco rendendolo indistinto, vago ed irreale mentre in lontananza si sentiva la voce disperata del calabrone che cercava la sua sposa. La chiamava con un tono intriso di dolore disperato mentre lei continuava a volteggiare attorno alla candela, era incapace di fermarsi e ad ogni giro diminuiva la circonferenza del suo appassionato volo. Non badava alla fiammella che le si avvicinava perché era ciò che desiderava: a lei bastava restarle accanto, vicino, tanto vicino da sentirne il calore. E proseguì nel suo volo impazzito fino al momento fatale in cui riuscì ad unirsi al suo amato fuoco ed a morire in lui. Intanto, mentre la nebbia filtrava tra gli umidi rami delle querce e le ghiandaie si ribellavano al silenzio ovattato del crepuscolo autunnale, il calabrone seguitava a chiamare e a cercare con ostinata e mortale disperazione il suo amore di falena. La cercò fino a quando, esausto e sfinito dal primo rigore d’autunno, precipitò a terra agonizzante ed una foglia di quercia, arruffata e vizza ma ammorbidita dall’umido della nebbia, lo accolse in un caldo abbraccio.


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Papera volante animata
Alìda Casagande