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Cirillo e Brilla

Cirillo era un pettirosso che viveva in un caldo e confortevole nido, in compagnia di Brilla, la pettirossina sua compagna. La primavera era arrivata da un paio di settimane facendo bella mostra di se, gli alberi erano carichi di fiori e fiori traboccavano dalle aiuole e spandevano nell’aria tiepida i loro inebrianti profumi. Cirillo e Brilla se ne stavano tranquilli, come possono stare tranquilli i pettirossi, dentro il loro nido. Cirillo era un pettirosso sveglio e veloce, che beccava i vermiciattoli e poi felicemente li portava a Brilla, e la guardava, amorevole, mentre lei li ingoiava con avidità dimostrandogli così di apprezzare i suoi gesti.. Cirillo era minuto perché per tutto il giorno svolazzava di qua e di là alla ricerca di cibo sia per lui che per la sua compagna, mentre Brilla che per tutto il giorno se ne stava dentro il caldo nido era grassoccia, e questa era una cosa insolita per una pettirossina, come era insolito anche il fatto che una pettirossina non volasse mai fuori dal nido per cercarsi il cibo. Cirillo l’amava molto, e non voleva che lei si affaticasse, e anche l’amore di Cirillo per la sua pettirossina era una cosa misteriosa. Ma si sa, il mondo è pieno di cose misteriose, è solo che l’uomo è abituato a vedere un albero che ad ogni primavera fiorisce e fa i frutti e non gli pare misterioso, come invece misteriosa è tutta la natura e tante, tante altre cose, cose che magari non si vedono. Per Cirillo e per Brillla tutto ciò che stava loro intorno era meraviglioso, e meraviglioso era il loro amore. Ma in quella straordinaria primavera colma di eccessivi colori, cadde la neve, l’ultima neve dell’inverno. E la neve imbiancò tutto, l’erba e i fiori degli alberi e i fiori dei giardini. E portò il freddo, l’ultima neve dell’inverno, e bruciò e rovinò ogni fiore, dalla terra gelata i bruchi non facevano più capolino e Cirillo pur vagando per tutto il giorno non riusciva a trovare cibo sufficiente per due, ogni tanto incappava in qualche mosca spaventata e inebetita che volava in modo strano dentro l’aria fredda, allora apriva il becco e la ingoiava e si saziava, ma alla sua amata pettirossina che portare? Avrebbe dovuto librarsi in volo anche lei e approfittare degli insetti spaventati e ingoiarli con una sola beccata, ma ahimè, Brilla era troppo grassoccia per riuscire a volare, ed era oltremodo impigrita e oltremisura viziata dal suo compagno. “Non posso, proprio non posso!”, cinguettò lei quando lui le chiese di uscire insieme alla caccia di cibo, “Io non uscirò mai e poi mai con questo tempo … mi vuoi vedere morta?” Ma no!, pensò Cirillo. “Ma no …” cinguettò tristemente, “Io parlo perché voglio il tuo bene: e morirai solo se non verrai a cercarti il cibo! Ti prego …” “No!”, cinguettò lei cocciuta, “Non verrò da nessuna parte e tu farai bene a portarmi qualche verme!” Cirillo era talmente sconfortato che non sprecò fiato per spiegarle che in giro non si trovava niente da beccare perché la neve aveva ghiacciato la terra e i vermi erano intrappolati sotto la gelida crosta. Tante volte Cirillo uscì dal nido alla disperata ricerca di qualche insetto, morto o vivo, da portare alla sua amata pettirossina, ma non riuscì a trovare niente e faceva sempre ritorno al nido stanco e deluso. Ma poi un’idea lo rallegrò: considerò che se Brilla non mangiava sarebbe dimagrita, si sarebbe sentita più leggera e finalmente si sarebbe decisa a librarsi in volo con lui. Infatti, quasi ad avvalorare la sua tesi, i giorni passavano e Brilla dimagriva, tuttavia non si decideva a librarsi in volo. Aveva troppo paura di volare. Cirillo l’aveva viziata troppo, l’aveva fatta vivere sulla bambagia, e ora era incapace di qualsiasi sacrificio. E così a Cirillo non restò altro che osservare, avvilito, giorno dopo giorno, la sua pettirossina che deperiva senza trovare il coraggio, e la forza, di uscire dal nido per cercarsi il cibo. Ma finalmente dopo tanti sforzi Cirillo ebbe un colpo di fortuna, riuscì a prendere una mosca per la sua amata, e felice ritornò al loro nido ma Brilla non c’era. Lasciò cadere la mosca dal suo becco e l’insetto cadde sulla paglia del nido, poi immediatamente uscì in volo per cercare la sua amata pettirossina. La trovò a terra, sulla fredda neve bianca, ai piedi di un melo, e giaceva su di un fianco, con gli occhietti sbarrati e le zampine diritte. Restò a guardarla, felice di averla trovata, e in un impeto di gioia volò fino al loro nido, prese nel becco la mosca e scese di picchiata, avvicinò il becco al corpo di Brilla e lasciò cadere al suo fianco la mosca sperando che presto Brilla si svegliasse e la mangiasse. Poi si appoggiò a lei e la sentì fredda fredda, allora decise di scaldarla col suo corpo, restò lì sulla neve, e incominciò a cantare, e cantò fino al tramonto del sole. Fino a quando il silenzio inondò l’aria che scuriva.


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Papera volante animata
Alìda Casagande

L’incontro

Salgo, in una bella giornata di inizio estate, verso la cima del Blinnenhorn in compagnia di un guardiano della diga. Ci siamo incontrati sulla stradina di coronamento della diga, c’è ancora molta neve e lui deve andare a rilevarne lo spessore in una zona pianeggiante, appositamente preparata, distante un paio di Km. Con il bel tempo, questa incombenza è, per lui, una piacevole passeggiata con gli sci. Non capisco l’utilità di un simile rilevamento e lui, stupito dalla mia ignoranza, precisa che quel dato, cioè il tipo e lo spessore della neve, permette di stabilire la riserva d’acqua per l’invaso, allo scioglimento estivo del manto nevoso. Assisto incuriosito al rilievo, peraltro molto rapido, e poi iniziamo la salita alla vetta. Il guardiano è un montanaro giovane, allenato e con il suo passo mi fa sputare anche l’anima, ma ce la faccio ad arrivare in vetta assieme. Ci sediamo, meglio, lui si siede mentre io mi accascio sul ghiaccio. Facciamo quattro chiacchiere, giusto il tempo per riprendere fiato emi dice “Devo scendere alla diga, mi aspetta il mio collega … se non fai troppo tardi, fermati nella nostra casetta che ti preparo un piatto di spaghetti” Inforca gli sci e con una serie di eleganti curve, scompare alla mia vista. Sono solo e dolcemente sprofondo in uno stato di contemplazione dell’immenso che mi circonda … quante vette … ne riconosco molte e, per ognuna affiora il ricordo del viso di un amico, o di un momento di felicità o di una terribile bufera … Mi abbandono al riposo accarezzato dal tepore del sole Il silenzio è perfetto ma … ma sì … mi sembra di percepire, molto lontano, il rombo di un motore che si avvicina … ma strano … non mi sembra il solito rombo di un aereo dell’aviazione generale. Trattengo il respiro per sentire meglio … sì, quel rombo che si avvicina non lo riconosco … poi avverto, confusamente dentro di me,ricordi di tempi lontani. Aguzzo lo sguardo e vedo un puntolino d’argento che si avvicina più o meno all’altezza della vetta … ma quel rombo non lo riconosco, non riesco a collegarlo a nessun aereo … e sì che sono pilota anch’io, da sempre mi interesso d’aerei, della loro progettazione e costruzione, della loro storia, vivo tra gli aerei. Seguo con sempre più ansia l’avvicinarsi di quel puntolino e poi … sì, riconosco quel rombo, è da decenni che non lo sento ma non ho mai potuto scordarlo, è il rombo di un grosso motore stellare! Ora l’aereo è sufficientemente vicino, è un bimotore … E nel cuore mi esplode la felicità … è un Dakota … un Dakota tutto per me in questa immensità assoluta! Sono sempre più incredulo, il sogno di un incontro che aspetto da molti decenni è qui ora, in pieno cielo, a 3400 metri di quota, lui nell’aria, io sul ghiaccio. Bello, grande, accompagnato dal rombo possente dei suoi stellari, si avvicina alla mia stessa quota, spostato poche centinaia di metri dalla vetta! Balzo in piedi, col cuore in gola,ed agito in alto le braccia in segno di saluto … mi sembra, o forse sogno, che mi risponda battendo dolcemente le ali. Il mio animo è in subbuglio, infiniti ricordi si accavallano da quella visione, da quel rombo che poi si allontana e si trasforma in un brontolio, poi in silenzio. Solo sulla vetta,tutto il mio essere è travolto dai ricordi … Piccolissimo, rimanevo incantato da puntolini argentei che riempivano il cielo con il loro possente rombo che faceva tremare i vetri e tintinnare le stoviglie nella credenza. La nonna mi metteva al sicuro sotto il tavolo spinto contro l’angolo tra due pareti, ma io volevo vedere e sentire quel possente rombo che non mi spaventava ma mi faceva desiderare di essere là, in alto, tra le grandi nuvole bianche. Poi, all’improvviso, il cielo diventò deserto e silenzioso, la guerra era finita. E negli anni successivi, quando contemplavo un bel cielo estivo con le sue grandi nuvole bianche, speravo, ma invano, di rivedere un puntolino argenteo e sentirne il suo rombo. Ora è silenzio sulla vetta inondata di sole e l’anima si acquieta dall’emozione e dallo stupore di quell’incontro. La memoria, liberata dai veli del tempo mi riporta a quei primi ricordi o, forse meglio, a quei sogni che hanno segnato lo scorrere della mia vita. I cieli erano ridiventati deserti ma li riempivo con i miei sogni. Crescevo e arrivavano le prime riviste aeronautiche che non leggevo, bevevo. Il tempo passava e dalle mie mani uscivano i primi aeromodelli. A scuola ero studente di costruzioni aeronautiche. Ti ricordi, Mario, quando, giovani studenti, passeggiavamo negli immensi piazzali invasi dall’erba della grande fabbrica di aeroplani ormai chiusa da anni. Cercavamo qualche bulloncino, qualche lamierino, qualche segno che ricordasse un aeroplano. Ma un immenso silenzio ci schiacciava, un silenzio che sapeva di cose ormai morte. Crescevo, l’amore, la famiglia, ed il cielo ha ricominciato a vivere. Non più possenti rombi di stellari, ma sibili e boati dei rettori. Costruire i primi ultraleggeri tubi e tela e saltellare nei prati Il brevetto, costruirsi un aeroplano e poi voli bellissimi con un Falco F8L perfettamente restaurato. Quante amicizie, quanti cari volti di noi che voliamo inseguendo il sogno. Icaro è nostro fratello. Tutto questo il mio cuore sente, nel silenzio, sulla vetta ghiacciata. Grazie, lontano puntolino d’argento venuto a trovarmi nell’immenso. Mi stiro le membra, fisso bene al sacco i ramponi e la piccozza, calzo gli sci e scendo a valle. La neve è buona, mi lancio felice in curve ampie e morbide, le braccia allargate a fare l’aeroplanino.

 


 

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Antonio Biraghi

Il volo

Nasce con te e non ti abbandona mai, in ogni momento della vita.

Un’esigenza, un’emozione che non può essere negata, repressa da nulla.

Come una bella donna che, costosa nella sua eleganza, ti eccita e ti lega a sè, senza via di fuga.

E’ un’angolazione, un filtro opacizzante delle brutture umane, che lascia trasparire solo il bello del colore e che eccita la nostra visione.

Così, nella malgama di cielo che ti accerchia, nel turbinio dell’aria che scivola attorno a noi, purifichiamo il nostro animo dall’incoscienza generale intorpidito.


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Lupo Bond

L’ultimo volo

Per uno che ha viaggiato tanto non dev’essere semplice ricominciare tutto da fermo. Con tutti quei posti e quella gente vista, dev’essere un supplizio non indifferente starsene seduto dietro una finestra ad osservare le nuvole imitarti e continuare un itinerario per chissà dove. Quanto possono bastare i ricordi, le fotografie della memoria? Una mappa da ricoprire con piccoli semini per ripetere tutto il tragitto. Gli aerei, le scale, i voli spettacolari, i colori, le infinite forme delle cose, gli amici, gli odori e i profumi, il cibo in abbondanza. Che strano, è come sentirsi delle ali addormentate sul dorso, incapaci di continuare ciò che forse eri riuscito appena appena ad imparare. I tuoi piccoli occhi potevano arrivare a vedere ovunque al di là del tuo semplice desiderio. I soldi no, quelli non sono mai stati vitali per te. Potevi permetterti di scegliere un luogo, uno qualsiasi che preferivi o che ti incuriosiva, e ci volavi con gioia e spirito di avventura. E poi? Chissà, forse un volo programmato male, un posto che non avresti dovuto visitare. E’ strano, fuori da questa finestra non riesci a vedere che un infinitesimo di tutto ciò che hai avuto la fortuna di sorvolare. Ogni tanto qualcuno ti porta da mangiare, ti parla, pulisce distrattamente il piccolo posto dove vivi, ti osserva ammirato e stupito con altre presenze a te sconosciute. Tu ti giri appena, triste, malato, senza più colore. E al comando che ormai da un po’ conosci alla perfezione, ti dondoli e canticchi gracile, a fatica, ma da bravo pappagallino.


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Luca Brumurelli

Missione Grumento: operativi!! – IV parte


– Ah, nonno, dimenticavo!

– Che cosa?

– Con il fatto che ti sei messo a raccontare le avventure di Grumento, mi sono scordato di stasera: la videoteca multimediale ci manda uno di quei vecchi film che a te piacciono tanto.

– Ah, davvero?

– Sì. Mi pare che s’intitoli … ah, sì: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Con Rock Hudson?

– Credo di sì, non lo so, non mi ricordo.

– Veramente?

– Sì, certo.

– Non è possibile!

– Certo ch’è possibile, l’ho chiesto io all’archivio storico multimediale!

– No, ti credo, ma è per il film: non pensavo che ce fossero ancora delle copie in circolazione.

– Ma perché? E’ una vecchia pellicola, ma è stata restaurata e …

– Ma la sai la storia di quel film?

– Beh … sì, ho letto la scheda tematica.

– E lo sai che quel film lo vidi proprio a Grumento?

– No, e allora?

– E allora, questa te la devo raccontare.

– Dai nonno, raccontala anche a me!

– Va bene.

Mi sembra di avervi già detto che io, Konstantino, e tutti i piloti dello stage andavamo a cena verso le nove-nove e mezza e finivamo, dopo mostruose abbuffate, alle undici-undici e mezza?

– Sì, sì, ce l’aveva già raccontato … e allora?

– Beh, quella sera, no. Quella sera particolare, forse perché eravamo sfiniti – spesso ci sparavamo la bomba per tenerci un po’ su – volevamo guadagnare una mezz’oretta di sonno.

– Cos’è ‘sta “bomba”?

– Niente droghe o allucinogeni! No, era solo un gran pillolone al sapore di arancio, un concentrato di vitamine A, B, C, D … insomma tutto l’alfabeto, fino alla Z.

– Va beh, su, non divaghiamo!

– E chi divaga? Allora “ci ritirammo nelle nostre stanze” ed io, pur di guadagnare al più presto il letto, m’infilai di corsa nel bagno per fare toeletta. Già barcollavo verso il sospirato letto quando vidi Konstantino che, per arrivare sveglio al suo turno, s’era acceso la televisione – allora non c’erano ancora gli schermi paretali multimediali -. Ora sullo sfondo, c’era una serie di aeroplani in volo ed in primo piano, a caratteri cubitali, i titoli di testa: “IL NIDO DELLE AQUILE”.

– Ecc’a ‘lla!

– A quel punto tutta la stanchezza era passata – erano le dieci e mezza – e che vuoi … facemmo l’una.

– Ma era … cioè, è cosi bello ‘sto film?

– Eh sì. La storia … tanto tu la sai già, ma lei no … la storia era quella di uno Stormo di bombardamento americano. Allora avevano ancora i B-52, quei vecchi aeroplani lunghi, con la deriva altissima, e con otto motori, accoppiati a due a due sotto le ali. La storia, dicevo, è di questo reparto che viene sottoposto ad ispezione senza nessun preavviso da parte del super cattivissimo “Generale KIRBY”.

– E allora?

– Allora, lo Stormo non è che fosse granché efficiente, per cui il terribile Generale Kirby, fece tagliare la testa al Comandante, quale diretto responsabile.

– Così , in pubblico?

– Ma che hai capito? Non gli fece tagliare veramente la testa, era un modo di dire: lo fece trasferire ad un altro reparto perché non era degno di comandarne quello.

– Ah, ecco!

– Al suo posto, fu nominato un’altro giovane ufficiale, Rock Hudson appunto, il quale prese subito a cuore la sua missione tanto da prendere decisioni anche pesanti: mandò in pensione il suo migliore amico ch’era diventato mezzo alcoolizzato, oppure riorganizzò il servizio manutenzione distruggendo l’aureola di magia dei meccanici anziani. Così facendo, aveva perduto anche l’amore e il rispetto della moglie che lo accusava di aver provocato il tentato suicidio del suo caro amico, di trascurarla troppo – magari per qualche altra donna – e di trovarsi continuamente tra i piedi un telefono rosso perché lui, doveva essere continuamente reperibile.

– E allora?

– Rock Hudson aveva fatto le scelte giuste: il reparto era diventato finalmente “operativo” ed era pronto a qualsiasi nuova ispezione, che poteva avvenire da un momento all’altro.

– E allora?

– Allora, allora. L’ispezione venne … ma proprio nel momento in cui meno se l’aspettavano. Arrivò di nuovo e senza nessun preavviso il viscido Generale Kirby, ma stavolta lo Stormo era più che operativo e Rock Hudson, felicemente superata l’ispezione, rimase al suo comando, recuperando tra l’altro anche l’affetto della moglie.

– Bel film ma … veramente non ho capito cosa c’entra con lo stage di Grumento.

– Ora te lo spiego.

La mattina dopo – immagina che occhi gonfi e quanto potevamo essere riposati – io e Konstantino, andammo come al solito in aeroporto per un’altra “giornata di lotta”: beh … non ti arriva il Generale KIRBY!!

– Quello del film?

– Non proprio lui, ma uno, anzi no, due, che facevano come il Generale Kirby! Ora, non è che arrivarono e ci dissero: “Salve, siamo i Generali Kirby”, ma la sostanza era quella o comunque io e Konstantino, la vedevamo così.

– E arrivarono all’improvviso e vi misero sotto ispezione come nel film?

– E già! Mi ricordo che arrivarono di pomeriggio da Rieti, in volo, con due alianti. Konstantino era a 100 chilometri dall’aeroporto a fare i “soliti” voli sullo Ionio o sul Golfo di Policastro, non ricordo di preciso, mentre io, guarda caso, proprio quel giorno, ero partito con l’automobile e il carrello per recuperare un biposto fuori campo, ad una cinquantina di chilometri da Grumento.

– Veramente?

– Sì. Ed era pure abbastanza presto: a terra c’erano rimasti solo i trainatori che però bivaccavano in qualche angolo dell’aeroporto!

– E come l’avete saputo che arrivavano?

– Li sentimmo chiedere istruzioni per l’atterraggio – io avevo la radio in macchina – e poi chiedere se qualcuno li poteva recuperare. Che figuraccia!

– Tagliarono la testa a tutti e due, a te e a Konstantino?

– No, comunque, avrei avuto già pronta la valigia per andare in esilio a Lampedusa. Figurati che per sbaglio, avevo dato del “Maresciallo” ad un Generale pluridecorato in pensione che era venuto a farci visita.

– E invece?

– Andò tutto bene: non ci furono epurazioni immediate, almeno.

– E poi, se ne tornarono in volo a Rieti?

– Sì, il giorno dopo.

– Cioè, vuoi dire che venivano e tornavano da Rieti fino a Grumento e viceversa?

– Sì, certo. E non solo loro!

– Come: “non solo loro?”

– Sì, vennero anche altri piloti, con altri alianti. Mi ricordo che, dopo gli Europei, ci venne a trovare il socio di Konstantino. Avevano insieme un vecchio ASW-20 molto ben tenuto: beh, all’andata venne con il carrello ma al ritorno … seicento chilometri di volo!

– Accidenti !

– Poi, un altro pilota, un socio romano, fece un volo con punto di virata un paese poco lontano da Grumento. La giornata però non era eccezionale e fu costretto a mettere in moto per rientrare a Rieti. Comunque pure lui, fece più di cinquecento chilometri, andata, e mezzo ritorno.

– Durante le gare poi, siccome noi eravamo l’avanposto più a Sud in assoluto, ci chiedevano la meteo, oppure Konstantino, via radio, quand’era in volo, chiedeva le classifiche aggiornate. Dopo poco, quelli in gara però, c’urlavano scocciati: “Fatela un po’ finita, voi di Grumento!”. In ogni caso, l’evento che fece più colpo, fu l’atterraggio del neo Campione italiano classe Libera che, reduce dalla gara, era venuto a realizzare il suo grande sogno: volare no-stop fino alla Sicilia, naturalmente partendo da Rieti. Purtroppo fu costretto a fermarsi a Grumento, ma dopo aver fatto una bella puntata molto più a sud.

– Perché hai detto l’atterraggio?

– Perché aveva un aliante da ventisette metri ultimo grido – pochi di noi l’avevano visto prima dall’ora -. Ci chiese ancora alto, se poteva fare un passaggio basso: “Fanne due” gli rispondemmo. Se non sbaglio, era di sabato o di domenica, comunque c’era la solita rissa di gente al parcheggio, vicino agli alianti e ai traini o in attesa del volo turistico. Nessuno di noi s’era ricordato che ne portasse così tanta, fatto sta, fece il passaggio scaricando acqua da tutte le parti: ala, fusoliera, coda. L’aliante era tutto una scia e la gente, e pure noi, rimanemmo tutti a bocca aperta! Fu uno spettacolo unico, specialmente a quella latitudine dove pure un passaggio a bassa quota e a tutta birra, era qualcosa di fantascientifico.

– Insomma, qualcosa è rimasto del vostro passaggio lì a Grumento?

– Credo di sì. Ormai ci conoscevano tutti.

Quando andavo alla Posta di Sarconi per comprare i francobolli delle cartoline, l’impiegato – oh, mai visto e conosciuto – mi diceva: “Oggi volate, sì?” Oppure i ferramenta. Ci andavo praticamente quasi tutti i giorni per comprare quello che mi occorreva – praticamente tutto, dalle chiavi al tagliabalza – e non mi chiedevano più: “Lavori ai pozzi petroliferi?” Eh sì, a Grumento c’era pure il petrolio. Quando andavo alla ricerca di pasta abrasiva o di guaina termorestringente, non mi rispondevano più furbetti: “Non la fanno più!”, ma dicevano cortesi e accomodanti: “Ci dispiace, ma non trattiamo articoli aeronautici!” Ormai anche i Carabinieri ci conoscevano. Sapevano che in aeroporto avevamo il radar – era solo la parabola del meteosat – o che c’erano i mo’/no!/posto – invece che monoposto -. Qualche stegista era stato pure schedato perché con una Porche se ne andava in albergo a velocità brillante – diceva lui – senza patente, carta di circolazione ed assicurazione. Gli “appiopparono” solo una multa di cinquantamila lire e la promessa che avrebbe fornito al Maresciallo, un computer a un prezzo stracciato. Un altro pilota – una signora – fu pescata in flagrante a fare non so cosa: il fascino femminile e la disponibilità a offrire un volo turistico – a gratis – non poterono nulla, e così, si prese pure lei una multa … per cinture di sicurezza non indossate: “Ci dispiace, ma dobbiamo rientrare in caserma almeno con dieci multe, e lei oggi, è solo la prima”, le avevano risposto sconsolati. La gente poi, non rimaneva più imbarazzata a guardarci quando passavamo con i carrelli stradali o quando vedevano girare gli alianti sopra le loro teste. I ragazzini avevano scoperto un gioco nuovo, gli adulti un nuovo posto dove portare i loro bimbetti dicendo: “Lo vedi, a papà, l’aeroplano che va col vento?” Forse qualche piccolo beneficio lo trassero anche i ristoratori e gli albergatori della zona, i benzinai, i meccanici – il pilota della Porsche era riuscito quasi a fondere il motore del suo fuoristrada nuovo -. Probabilmente facemmo prendere un brutto spavento al pecoraio che s’era visto “atterrare” una strana cosa lì, sul campo arato a mille metri, vicino alle sue amate pecore. Qualcuno si sarà roso il cervello per capire cosa fosse mai quella roba bianca – un pezzo di semi-ala – lì, nel bel mezzo del bosco, alla sommità della montagna. Qualcun’altro si sarà pure arrabbiato vedendo un po’ di erbetta pseudo-medica calpestata, a due passi dal frutteto – peccato che le pesche fossero già sfatte altrimenti sarebbe stato un fuori campo saporito – . Una cosa è certa: quando partimmo, il “morbo” del Volo a Vela aveva ben attecchito e c’erano già parecchie persone che mostravano in modo inequivocabile i primi “bubboni” perché ci chiedevano: “Ma non la fate la scuola?”, oppure: “Dove possiamo fare il brevetto?”, “Tornate ancora il prossimo anno? Sa vorrei far provare un volo anche a mio figlio”. Non era più nella pelle, invece, quel satanasso del gestore dell’aviosuperficie che s’era messo a proclamare: “Laggiù l’hangar di mille metri quadri, lì le colonnine dell’acqua, in fondo il parcheggio per i mezzi antincendio, l’ambulanza, l’officina mobile e le jeep per i recuperi fuori campo. Saremo il CENTRO NAZIONALE MERIDIONALE!!”.

– E poi cosa se ne fece?

– Mah … di mezzi antincendio ne avevano già tre più altri due in arrivo, l’ambulanza c’era già anche quella e l’hangar da mille metri quadri l’avevano appaltato. Un traino, anche se da rimettere in ordine, l’avevano pure quello, quanto ai piloti … ci avrebbe pensato il “morbo” che noi, avevamo diffuso.

– Insomma, in conclusione: ne valse la pena?

– Io direi di sì. Grumento non portò fondamentali novità nel mondo del Volo a Vela italiano di allora, insomma non scoprimmo il veleggiamento con il vento solare, ma sicuramente fu l’occasione per confermare, ad esempio, che al Sud, la giornata parte effettivamente prima ma che era poco sfruttabile se poi la cosa si limitava solo a quella valle. Dopo gli entusiasmanti voli fatti da Konstantino lungo la costa ionica, adriatica e tirrenica, sicuramente si diede un notevole impulso allo studio del veleggiamento in mare con presenza di cumuli sottocosta, volo che prima d’allora non è che fosse ritenuto poi tanto possibile. Altra cosa che rimase nella storia, fu lo “stage d’alta quota”, cioè tutto uno stage in blocco, con piloti neanche particolarmente esperti, tutti in volo sopra i cinquemila metri. E poi si stabilì il record di quota del Sud con ottomila e spiccioli, con aggancio sul campo a quattrocento metri senza la benché minima turbolenza o presenza di rotori.

– E a te, nonno, cos’è rimasto?

– Uno splendido ricordo di una splendida esperienza, anche se molto singolare.

– Il rientro a Rieti fu rocambolesco come all’andata?

– No, al contrario. Tranquillissimo: io a Grumento, smontavo in serie alianti e i miei colleghi anziani, a Rieti, in serie li rimontavano. E stavolta arrivarono tutti sani e salvi. Ora che ci penso … no, perché una delle automobili ebbe dei problemi meccanici e dovette rimanere ferma per due giorni, sicché io non fui quello che, come si suol dire, “chiuse il cancello”. Comunque a quel punto, non vedevo l’ora di andarmene.

– Non ne potevi più, vero?

– Sì, non ne potevo più. Ma di vedere l’aeroporto spoglio, senza più un aeroplano o un aliante parcheggiato, nessun vociare di piloti, nessun visitatore d’ammorbare. Fortuna che almeno a Rieti, lo stage intanto, era ripreso. Io partii con un carrello e la solita automobile “rimediata” per sostituire quella in panne. Ero compagno di viaggio di uno dei trainatori, pure lui con un rimorchio al traino. Mi sembrò strano che il viaggio fosse filato tutto liscio, a parte la solita carta magnetica che non voleva proprio saperne di pagare il carburante, ma mi sentii più sollevato quando, arrivati a Rieti verso le due e mezza del mattino, andai nel mio alloggio e lo trovai allagato.

– Allagato?

– Sì. Era l’acqua che tracimava a “gocce cinesi” dalla doccia: m’ero dimenticato di chiudere forte il rubinetto.

– Non dirmi che anche quella volta ti facesti la doccia, dopo aver asciugato il lago, e il giorno dopo, alle otto, andasti a lavorare?

– Ebbene … sì, anche quella volta. Lo stage continuava, uno dei colleghi andava in ferie, e finalmente anch’io la settimana successiva, Konstantino era sempre quello, i piloti erano sempre i soliti “cannibali”, ma la magia era finita: non eravamo più operativi.

– E dimmi un’ultima cosa, nonno … le hai più riviste tutte queste persone?

– Sì, che fine hanno fatto, nonno?

– Beh, Konstantino diventò il boss degli stage e negli anni successivi, ne diresse degli altri, i trainatori coronarono il loro sogno di diventare Comandanti nella compagnia di bandiera di allora. Io, invece, rischiai il licenziamento perché mi venne la malsana idea di far pubblicare nella rivista dei volovelisti, una specie di resoconto dell’esperienza di Grumento.

– E ti licenziarono davvero?

– No, per fortuna. Furono solo bonarie minacce ed anzi, proprio grazie a Grumento, diventai meno garzone e più maniscalco ma sempre “terricolo”…

– E gli altri?

– Sì, gli altri?

– Ve lo racconterò un’altra volta, eh?


MISSIONE GRUMENTO: fino alla fine operativi!!



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