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Una domenica particolare



Una domenica così non me la scorderò mai più!

Di una cosa sono sicuro: nel corso della mia lunga vita … uhm, vediamo un po’: sono “uscito al secco” già da … eh sì … sette mesi – un’eternità, non è vero? -, eppure quello che mi è capitato domenica, non mi era mai successo e credo che non mi succederà neanche mai più – giuro -.

Uno pensa: oggi è domenica. Dopo una settimana di lavoro – oh, fare il neonato è una faticaccia mica da niente – avrò pure diritto a dormire un po’ di più? Mi sarò meritato una doppia razione di pappa e coccole? O no? E infatti mi sono svegliato tardissimo – verso le cinque e mezzo del mattino – con il mio consueto appetito: non c’era che lanciare il solito “richiamo” alla mamma. Probabilmente era domenica anche per lei perché subito dopo mi venne a prelevare dalla culla per portarmi nel “lettone” e per offrirmi – finalmente – la colazione. Ah! … nel lettone c’era anche il mio papà! Fatto strano perché in genere, a quell’ora, era già in fermento da un bel po’. Evidentemente era domenica pure per lui: tutti gli altri giorni, ma più tardi, la mamma, mezza addormentata, mi prendeva la manina, l’agitava a destra e a sinistra, poi mi diceva: “Saluta papà, che va al lavoro” … – come se potessi già parlare – . Alla fine si toccavano tra loro con la bocca, papà mi faceva dei versacci in chissà quale lingua e, finalmente, ci lasciava in pace per tutta la giornata. Ma non prima di averci urlato: “Ci vediamo stasera! Ciao, famiglia!”

Eh già, quella doveva essere proprio domenica perché il mio papà se ne stava lì a sonnecchiare nel lettone e l’unica cosa che sentii pronunciargli in modo sbiascicato fu: “Sta’ buono, bello a papà … che oggi andiamo in aeroporto”.

E’ probabile che qualsiasi altro mio “collega” avrebbe reagito protestando sonoramente ma, un po’ perché mi stavo succhiando il mio solito mezzo litro, un po’ perché non sapevo cosa fosse di preciso “aeroporto” … beh … non me ne curai più di tanto. La cosa però puzzava … eh sì, puzzava più della mia cacca più caccosa!

Da quando ero uscito al secco, c’erano state molte cose che non avevo compreso e ora, quella parola … “a e r o p o r t o”.

Ora, me lo immagino, sapete … penserete che io sia il classico pargoletto paranoico con la classica “sindrome da crescita” … e invece no! Io non ho paura di crescere! E neanche di finire nel buffo mondo degli adulti! Non ci credete, eh? Non volete sentire neanche le mie ragioni? Peggio per voi!

Tanto per dirne una, sopra la mia culla, non c’erano appesi i soliti oggetti ameni: gli angioletti, le pecorelle, le farfalline, i cavallucci. No. Sopra la mia c’erano tutti gabbiani multicolori – come se esistessero i gabbiani verdi o a palline bordeaux -. Io li avevo visti i gabbiani! Quella volta che eravamo andati al mare: non erano così! Ne sono sicuro.

Ad esempio, tornando alla culla, la coperta che la mamma aveva aggiunto ai primi freddi, non era una classica copertina – ne avevo viste diverse nei lettini dei miei amici -. No. La mia aveva disegnato sopra tutti aeroplanini. Deformi – è vero – ma erano aeroplanini. Oh, dico “deformi” perché quelli “sani”, credo che fossero invece nelle fotografie giganti che erano disseminate ovunque … nelle pareti della mia stanza. Ora che ci penso, anche le pareti della mia stanza erano parecchio strane: foderate di carta con su tutti … aeroplanini, e ti pareva? Quante stranezze, non è vero?

E pure il mio papà era assai strano. Forse perché faceva il pilota. La mamma mi chiedeva sempre: “Da grande, farai il pilota come papà, vero?”.

“E che ne so?!” le avrei risposto, ammesso che avessi potuto parlare … e anche se avessi potuto, che pretese! Gli adulti non lo sanno che a quest’età si vive alla giornata? Che diavoletto ne so cosa farò quando sarò “lungo” come papà? Intanto, io faccio colazione, beccati questa, tieh!

In effetti parecchie cose erano strane: i giocattoli che avevo – oh, tutti aeroplani! -, i vestiti che indossavo – pure quelli con gli aeroplani -, le storie – di aeroplani e grandi piloti – che ogni volta mi raccontavano per farmi dormire, e perfino il mio nome – Francesco – a volte mi suonava strano: vuoi vedere che s’erano ispirati a qualche personaggio famoso? Chissà?

Pensavo: sarà così proprio il mondo dei grandi, o forse sono io che non lo capisco ancora bene? Comunque ora c’era un’altra parola strana da aggiungere alla lista delle stranezze.

****

Una domenica terribilmente particolare

Dopo colazione, non poteva mancare un po’ di riposo, così schiacciai un pisolino, tanto per favorire la digestione. Durò poco: mi risvegliai all’improvviso mentre quei due “vigliacchi” tentavano di abusare di me: mi avevano già tutto lustrato e lucidato – o quasi – ed erano pronti a vestirmi con l’abito che più odiavo: una tuta integrale felpata con un cappuccio di pelliccia pungente.

Ripensandoci anche la mia tuta sembrava la copia in piccolo di quella che portava papà quando andava al lavoro: l’ennesima stranezza.

Naturalmente non potevo lasciar correre un affronto del genere, così … non volendo … mi liberai dei liquidi e dei solidi superflui. Non vi dico la reazione dei miei amabili genitori: mio padre incominciò a pronunciare parole insensate – credo che gli adulti le chiamino bestemmie – e mia madre con l’aria stizzita, prese ad urlare: “E ma che cagone che sei figlio mio! Che cagone! Ma cos’hai mangiato? Un campo di prugne?”

Purtroppo, dopo un primo momento di smarrimento, i miei si ripresero alla svelta tanto che mi ritrovai addosso quattro mani indiavolate che mi sottoposero di nuovo alla tortura del bagnetto, della talcatura, della incrematura e infine della vestizione. Me l’ero proprio voluta io. Ma giuro che quando sarò lungo, mi prenderò la soddisfazione di fare a loro, quello che loro hanno fatto a me da piccolo. Brutti maniaci!

Ad ogni modo, mi portarono sull’automobile di papà – la riconoscevo subito perché anche quella, guarda caso, era pure assai strana: aveva tutti i sedili pieni di aeroplanini, e pure aeroplanini erano attaccati alle pareti trasparenti -.

Mah … davvero molto strano anche il mio papà!

Comunque partimmo per non so per dove e … che volete? … sistemato nel seggiolone, si ondeggiava quel poco per … farmi ricadere in catalessi!

Non saprei dire quanto viaggiammo: forse mezz’ora, forse un’ora, sta di fatto che quando mi risvegliai, mi ritrovai in braccio alla mamma sul bordo di un enorme campo di cui potevo vedere solo un lato perché c’era come rete … sì, credo che fosse una rete, mentre per il resto non se ne vedeva la fine. Allora era questo “aeroporto”?

Ed ecco che papà assunse la classica faccia di “pesce lesso” sprecandosi in una sua personalissima quanto sconclusionata esibizione di rara erudizione: svolse una dotta dissertazione, prima circa l’aeroporto, poi riguardo la zona, poi attorno le splendide condizioni mete … re, meteorologiche, o come caspita si chiamano, e poi … non so di cos’altro diavolaccio perché – non potete immaginare – era una tale sproloquio … che quasi mi stavo riaddormentando. Quando … ad un tratto un tizio urlò a squarciagola: “Via dalle pale!”.

Pensai subito: “Eh, ma quanto è arrabbiato questo! Chissà che gli avranno mai fatto per farlo diventare così cattivo?”.

A volte la mamma, quando litigava con papà mi prendeva da parte e mi diceva: “Non parlarci con quello, che oggi gli girano, le pale!”, oppure quando, solo per la decima volta – nel corso della giornata – mi bagnavo un “pochino” addosso, sempre la mamma, mi minacciava con: “Ah regazzì, attento che m’incominciano a girà le pale, eh?”.

Anche papà, se aspettava più di dieci minuti che io facessi il ruttino, dopo aver preso la poppata delle tre – del mattino -, si metteva a dire sdegnato: “Eh, ma che pale ‘sto bambino!”.

A volte, invece, mi sussurrava trionfante nell’orecchio: “Lo sai? Tua madre è proprio una donna con le pale!”

Tutte le volte però, la cosa finiva lì: o le pale erano nascoste chissà dove e non si vedevano quando giravano, oppure me lo dicevano solo per mettermi paura. Chissà? Insomma queste terribili “pale” io non le avevo mai viste, tanto che alla fine, quasi non ci credevo … che i grandi le avessero davvero.

Mi dovetti ricredere quando, da dove avevo sentito urlare il tipo, da quella specie di aeroplano … eh sì, credo che quello fosse un aeroplano … si scatenò un tale putiferio, un tale rumore, e poi fumo e pure un po’ di puzza, che pensai: “Accidenti come gli girano le pale! Almeno c’ha avvertiti in tempo!”

Allora mi domandai: “Chissà se i miei genitori le hanno uguali?” Comunque ero stato fortunato perché fino a quel momento non le avevano mai usate contro di me: giravano talmente veloci che non avrei mai resistito – il pannolone non mi avrebbe protetto! –

Quelle del tipo inviperito erano così grandi e potenti, che dopo qualche secondo, ci arrivò un ventata micidiale di aria ghiacciata! Perché, quando la mamma doveva freddarmi la minestrina, invece di soffiare a perdifiato non faceva così, eh? Perché? Perché quando d’estate faceva tanto caldo non le facevano girare, invece di sventolare certi aggeggi di carta a striscioline sovrapposte, eh?

Comunque bisogna ammettere che i grandi sono veramente bravi a tenersi addosso quel popò di pale! Soprattutto a portarle in giro! Ah … ecco: forse le smontano e le lasciano a casa! … boh? Altra cosa strana!

****

Una domenica decisamente particolare

Assorto in questi insolubili misteri della vita, m’ero completamente dimenticato che s’era fatta, anzi, s’era bella che sfatta, l’ora della colazione. Non è che la mamma fosse mai stata particolarmente attenta agli orari dei miei pasti: se non c’ero io a fare la “sirena” … beh, potevo anche morire di fame. In quell’occasione no. Con fare furtivo e deciso, tornammo all’automobile. Sembrava come se le si fosse messo a trillare il campanello del forno elettrico che usava per scaldarmi le pappine. Lì finalmente, mi concessi il meritato mezzo litro di latte. Anzi di più … visto che era domenica … eh, sì, mi spettava anche il dolce!

Il mio papà era sparito, naturalmente. Allo sproloquio iniziale, la mamma aveva subìto impassibile e io – anche se avrei voluto tanto, e non potete immaginare quanto – non potevo certo sculacciarlo sul sederino, come faceva con me. Insomma subito dopo ci aveva lasciati in pace … aveva attaccato a parlare fitto fitto e a gesticolare in direzione del cielo con un’altro tizio che era già lì sul prato.

C’era qualcosa che non andava: tutto sembrava studiato nei minimi dettagli … e sentivo pure una terribile puzza di cacca … eh no, non poteva essere la mia: finita la colazione la mamma si era preoccupata pure di cambiarmi il pannolone, perciò non ero io. Ero convinto: doveva essere una congiura!

E infatti ne ebbi la conferma quando mi legò sul seggiolone con tutte le cinture disponibili dentro l’automobile e, messo in moto, ci trasferimmo davanti ad una strana casa tutta di metallo . A quel punto cominciò a mettersi addosso una tuta del tutto simile a quella che … eh già, anche papà aveva indosso. Insomma a che gioco giocavano quei due? Sicuramente non a: “l’aeroplano smontatutto” o a “l’aeroplano impazzito” oppure a “scontro di aeroplani”, che erano poi i giochi che facevo a casa con loro. Bah? La risposta comunque venne a breve. La mamma si mise a parlottare con uno strano figuro, indicando, contemporaneamente me o l’automobile – non so -. Sicuramente parlavano di me perché sentii:

“Non si preoccupi signò, che ce penso io ar pupo”.

Oh, dico! Pupo ci sarai! E poi io già penso da solo! Non ho mai capito quale fosse il nome del tipo: mentre mia madre stava dicendo: “Grazie, Mar…”, un altro arrabbiato urlò:

“Via dalle pale!” e a seguire altro rumore e altra ventata fredda. Fatto sta, che quell’immonda di mia madre ebbe il coraggio di affidarmi a quel bruto … e anche brutto, va bene? E questa è un’altra delle nefandezze che non le perdonerò mai, madre snaturata!

Mentre prendevo nota dell’affronto nel “Libro delle vendette”, il campo intanto … andava animandosi. Da una stradina, che fino a quel momento non avevo notato, incominciavano, a sfilare delle strane automobili: erano uguali a quella del mio papà ma erano legate con una corda a uno strano coso a forma … di supposta, eh sì … di supposta – lo sapevo bene com’erano fatte perché avevano cercato, senza riuscirci, di metterle anche a me quando m’era venuta la tosse -.

Non so per quale motivo … ma a vederli, mi venne in mente una strana parola che avevo sentito tante volte quando ancora ero dentro la mamma … ah quelli sì ch’erano stati bei tempi! Giocare nell’acqua, dormire e mangiare. Peccato ch’era durata poco: tutt’a un tratto m’ero ritrovato “al secco” in mezzo ad un sacco di gente tutta vestita di verde, mah …

Qual’era la parola? Ah, sì: “a” … “alli”, no … “allian” … “alliande”, ah ecco … “aliante”. Ma sì, era aliante perché a forza di sentire da dentro la mamma: “Quando mi porti in aliante?” e poi ancora “Quando mi porti in aliante?”, alla fine ne avevo fatta una cantilena che ripetevo durante i miei giochi: “Quando quando mi porti in aliante – e via un calcio – quando quando mi porti in aliante – e giù una gomitata – quando quando mi porti in aliante – sotto con una testata – …” e così via. Quanto mi divertivo!

In quel momento, invece, non mi divertivo per niente: avevo freddo – e fortuna che quei due infamoni dei miei genitori m’avevano vestito con la famosa tuta felpata spinosa – perché nonostante ci fosse un pallido sole, s’era alzato un vento davvero forte. Forse qualcuno in cielo s’era così arrabbiato, ma così arrabbiato che gli dovevano girare terribilmente. Cosa? Le pale, no?

Comunque, tornando alle supposte … cioè, agli alianti … ormai sul prato ce n’erano davvero parecchi. Tutti colorati di bianco – a parte qualche grosso segnaccio – e tutti in fila … come se fossero stati lì ad aspettare qualcosa. Bah, vallo a capire il mondo degli adulti!

C’era una frenesia, un’agitazione in … aeroporto che prima non avevo notato: gente che andava e veniva, alianti che correvano dietro alle automobili, persone che seguivano alianti … e la fila sempre più lunga. E poi un rumore generale, come un ronzio di moscone in cielo e un fracasso a tratti anche sul prato. Ma non solo: c’era una malefica scatola gialla ad un “tiro di ciuccio” da me: beh, sembrava che dentro ci fossero cento persone che parlassero una dopo l’altra, senza pausa, a parte qualche fischio o brontolio. Era simile alla scatola che era a casa, ma da quella uscivano tutti suoni melodiosi tanto che mamma dopo un po’ si metteva a cantare!

All’inizio non capivo niente di quello che diceva quella gente … beh, mi ci misi d’impegno … da non credere! … capii ancora meno! Cosa può mai significare: “Ho due metri in laminare!” Lami … che? Oppure: “Ho preso un rotore di sottovento in testata nord”. Un rotone … disotto a vento … capocciata sul nord? … eh sì, parlavano proprio un’altra lingua … chissà di quale paese? Mah! In ogni caso, qualunque cosa significassero quei bofonchi, dovevano essere di estrema importanza perché scatenarono un’ulteriore frenesia, aggiunta a quella che c’era già …

… oh, per tutte le pappe frullate! E questo cos’è? Un mostro venuto dallo spazio! O forse … un animale … che vive solo in aeroporto? Me la facessi tutta addosso … vuoi scommettere che questo è un “lungo”? Ma com’è vestito? Certo che da quando sono “uscito al secco”, ne ho viste di persone strane … ma quelli che sono su questi prati verdi … devono essere davvero strane strane!

Che volete che vi descriva? Era talmente assurdo! … va beh, ora vi spiego: doveva essere un’adulto. Come dire … che aveva smesso di prendere il latte da un bel po’ … Veramente il mio papà al mattino lo prende ancora, anche se è già abbastanza lungo, cioè … Allora, diciamo … ah, ecco: era parecchio tempo che non se la faceva addosso … Oddio la mia mamma, che pure lei è adulta, ogni tanto si mette ancora i pannolini – eh, sì … l’ho vista io, con i miei occhi! Che volete fare? Anche questo mi doveva capitare! –

Comunque, tornando al marziano … beh, forse si capisce di più se vi dico che: era più lungo del mio papà, poi era più largo del mio papà, era più brutto del mio papà, aveva più peli sul viso del mio papà, non parlava come il mio papà … fortuna, che non era il mio papà!

Aveva addosso … come il rotolo di alluminio che usava la mamma per mettere le pappine in frigorifero, proprio quello: era tutto metallico, frusciava e cigolava a ogni passo. Vestiva una tuta, dalla testa ai piedi e si riusciva a vedere solo il viso – e anche se avesse avuto coperto pure quello, non ci saremmo persi niente, vero? -.

Ai piedi aveva delle strane scarpe che arrivavano fino al ginocchio: sembravano simili a quelle che la mamma indossava quando pioveva a dirotto. Ma oggi, per tutte le cacche, non pioveva! Cosa doveva mai fare ‘sto soggetto?

– Ti sei equipaggiato bene, eh? – gli diceva un tizio tutto intirizzito che stava vicino alla scatola gialla. – Certo! E’ dall’anno scorso che mi preparo – Ecco perché s’era messo la tuta di metallo: per conservarsi meglio, no?!

– Ma … – diceva il tizio con aria furtiva, – ce l’hai l’ossigeno? – Sì. – E … quanto ce ne hai? – continuava il tizio con aria ancora più furbetta. – Quattro – rispose il mostro, facendo cenno con le dita. – Quattro litri? Ma è roba buona? – Tranquillo: con quello vai in paradiso!

Il discorso s’era fatto troppo losco e, sdegnato, preferii non ascoltare una parola di più: il marcio era arrivato fino in aeroporto! E io che pensavo che fosse un posto sano e pulito?! Mah …

Decisi allora di buttare uno sguardo in direzione del prato. Ecco cosa ci facevano tutte in fila le supposte … pardon, gli alianti: aspettavano l’arrivo dell’aeroplano – quello cui giravano le pale, e quale sennò? -. Però ancora non capivo! Ah, ecco … c’era un omino buffo che correva a destra e a sinistra: raccoglieva un filo, legava l’aliante all’aeroplano, aiutava un secondo omino – che fosse il pilota? – a entrare nell’aliante, chiudeva il coperchio trasparente e alla fine teneva in mano l’aliante. Va be’, ma io ancora non capivo! Ah … ecco, ecco: il primo omino si sbracciava in chissà quali segnali in codice, le pale si mettevano a girare forte forte e sia l’aeroplano, sia l’aliante che il povero disgraziato si mettevano a correre sul prato. Poi … miracolo!! Non so come si chiamasse quello strano gioco, ma era davvero impressionante: l’aeroplano e l’aliante si sollevavano dall’erba e incominciavano a salire nell’aria, sempre più alti e sempre più lontani verso il fondo della pista.

Veramente … come gioco … non è che dovesse riuscire molto bene perché il poveretto – oh, ce l’aveva messa tutta a correre – rimaneva sempre a terra con la faccia stravolta. Comunque non si perdeva d’animo: ricominciava a legare, poi a chiudere, e ancora a correre … macché, niente da fare … e allora dagli a legare, a chiudere, e a correre … forza, su … che prima o poi ci riuscirai a rimanere attaccato all’aliante e a volare con lui! Mica ti scapperà sempre di mano, no?

*****

Una domenica particolarmente particolare

A questo punto qualcuno della scatola gialla urlò che si trovava a “cinque” … “cinquemila”? – ma che poteva mai significare? – e che c’erano “trenta” … sì, sì, “trenta gradi” sotto a qualcosa. Forse sotto ad un certo zero? Boh … Comunque quella voce continuava dicendo – e questo l’avevo capito subito – che aveva i piedi congelati e il ghiaccio tutt’intorno. Vuoi vedere che era rimasto chiuso dentro un frigorifero? Magari ancora più freddo di quello che c’era a casa e che faceva i cubetti di ghiaccio – me li mettevano in testa quando davo qualche craniata qua e là: oh non ti lasciano neanche divertire questi adulti! –

Ma non è possibile! … c’era qualcuno dentro alla scatola gialla che s’era messo a ridere! Ve lo dico io: adulti adulti e poi sono peggio dei neonati!

Comunque il tipo che era vicino alla scatola non aveva certo gradito lo scherzo dell’altro e anzi aveva cominciato ad urlare dentro ad una specie di gelato legato con un filo alla scatola gialla: “Quanto fa due più due?”

Ma dico?! … vogliamo essere seri? Lo so’ perfino io – anche se non ho la più pallidissimissima idea di quello che possa significare – che due più due fa quattro! – il papà lo diceva sempre alla mamma quando andavamo a far la spesa al supermercato – … beh, incredibile … quell’altro non ti va a rispondere: “T t … r r e e e!”

Sembrava la voce di un ubriaco … secondo me s’era fatto qualche bicchieretto di troppo e ora … che volete … dava i numeri! Posso capire che facesse un gran freddo ma … sgomitare il gomito a quel modo!? – così si dice, vero? –

Il tizio vicino a me, comunque, non era assolutamente deciso a sospendere l’interrogazione e continuava: “Come ti chiami?”, oppure: “Fa’ una serie di numeri” e ancora: “Adesso falla al contrario”.

Ma dico? Siamo in aeroporto o ad un quiz televisivo? La mia mamma ne andava pazza e obbligava anche me a vederli … nonostante le mie “sonore” proteste.

L’altro, più bevuto che mai, rispondeva: “Giovan … Giona … tan”, poi: “U… no, du…e, qua…ttro, set…te” e per finire: “Die… ci, nove, se…i, ot…to” Insomma, a farla breve: era arrivato in paradiso.

– Scendi subito, disgraziato! – Ma … tu … chi sei? – Vieni giù, te lo ordino! – Va’ be …ne, A … dolf, hi hi hi.

Che cartone animato! Neanche Mimì e Willy il Coyote erano così divertenti – me li faceva vedere papà nella scatola delle immagini. Chissà se piacevano anche a lui? Magari soffriva in silenzio per farmi contento! Mah!? –

Preso da questo scambio di cordialità, non mi ero reso conto del tempo che passava e che ormai l’aeroporto era ritornato un semplice prato verde: degli alianti neanche l’ombra. Anzi, no! Guardando bene, qualcuno ne appariva all’improvviso nel cielo sempre più scuro – andava velocemente a far notte – e scivolava nell’erba fermandosi in mezzo al prato.

Da dov’ero io vedevo benissimo che il tizio che era dentro l’aliante, apriva furtivamente il coperchio trasparente e con ancora addosso una strano sacco blu, si nascondeva dietro l’aliante per fare pipì.

Oh, dico! Già passi il fatto che negli alianti non ci sia il bagno – papà e mamma fanno lì i loro liquidi e solidi – passi che si mettano a spargere acqua in pubblico, ma non si può certo ammettere che allaghino l’aeroporto: oh, ne avrà fatta … un litro! Apposta l’erba è così verde!

Comunque non ne potevo più: ero insonnolito, infreddolito, affamato, assetato, incaccato e pure “incazzato”! – doveva essere una parolaccia e non so’ cosa significasse, ma la diceva spesso papà … e ci stava bene, tieh! –

Passare una domenica in aeroporto può essere pure interessante ma non ci vedo niente di divertente ad essere, nell’ordine: abbandonato dai propri genitori, affidato ad un orco, stordito dalle scatole gialle, spaventato dai marziani, e infine corrotto da piloti ubriachi che fanno uso di ossigeno. E lasciamo stare tutte quelle odiose persone che s’erano dilettate in melense tiritere del tipo: “Oh ma che bel pupo, pucci pucci bubu settete!” A quelle ormai m’ero abituato.

Così, quando i miei genitori ricomparvero all’improvviso davanti ai miei occhi, beh … mi lasciai andare ad un pianto liberatorio di gioia e di rabbia nello stesso tempo.

In compenso non avevo mai visto mamma e papà così felici, così vicini tra loro. E’ vero che avevano il naso rosso e le dita fredde – la mamma me l’aveva messe addosso per … cambiarmi il solito pannolone – ma mai come quella domenica di volo in aliante – perché quello avevanofatto, vero? – m’erano sembrati così … innamorati.

Per conto mio, e vi ho raccontato tutto perché voi possiate comprendere e perché io me lo possa ricordare nei giorni futuri, pronuncio questa promessa solenne: dopo l’esperienza di questa domenica, giuro … che non tornerò mai più in aeroporto.




A Peter Coppola e a tutti i neonati di oggi, domani e dopodomani: che possiate avere molte domeniche particolari!

(quello con la mano scivolosa)




# proprietà letteraria riservata #


Big Mark

Ciao, Kosta!


– Mi scusi?!

– Sì?

– Lei è il signor Nedialkov? … Konstantin?

– Sì, …

– Ah, finalmente! … è davvero in grande onore per me … fare la sua conoscenza.

– Il piacere è mio … signor …

– Oh, mi perdoni … lasci che mi presenti: il mio nome è Otto … Otto Lilienthal.

– Piacere Otto … Lilienthal?! … davvero?

– Sì, certamente, ha ben detto. Eh, si sente che non ha certo problemi di pronuncia: parla correntemente tre lingue e ne comprende almeno altre due!

-Ah sì? E cos’altro sa di me?

– Praticamente ogni cosa! Al mio club lei è continuamente oggetto di appassionate disquisizioni!

– Ma senti! E quale sarebbe questo Aeroclub?

– Qual’è? … ehm … il Glider Center Club Paradise.

– Dov’è, in Australia?

– Australia? … no, non precisamente. Ma tralasciamo questi insignificanti dettagli: parliamo di lei piuttosto! Le dicevo che al mio club si parla continuamente di lei: sa, quanto accade qui … non passa certo inosservato. Inoltre quello che era un suo caro amico, e che da un paio d’anni vola da noi, ci ha parlato così tanto di lei che non abbiam potuto fare a meno dal tenerla “in custodia”.

– Mi scusi ma chi sarebbe questo “caro amico” di cui parla?

– Suvvia, non ha importanza. L’aspetto importante è che lei, per noi, è quella si dice “la persona giusta al posto giusto”, tuttavia “ancora più giusta per il posto più giusto”.

– Mi sembra giusto?!

– Uhm … vede, all’intera moltitudine dei nostri soci è ben nota la sua smodata passione per tutto quanto si libri in cielo, o l’entusiasmo dilagante, la disumana dedizione con cui svolge l’attività di capostage. E poi il pacato autoritarismo, la silenziosa competenza … insomma è inutile che aggiunga altro …

– La ringrazio ma … sinceramente non capisco!

– Comprendo perfettamente il suo imbarazzo: è giunto il momento di esprimermi in modo più esplicito. I soci del mio club, in qualità di presidente onorario – loro sostengono che il Volo a Vela … eh sì, l’abbia creato io! mah?! – … dicevo che i soci mi hanno affidato la non facile missione di contattarla … e di convincerla a trasferirsi da noi prima che sia “troppo tardi”.

– Ma veramente …

– Ascoltami figliolo … mi permetto di darti del tu perché potrei essere il tuo trisavolo …

– Ma sì, prego Otto …

– Ebbene … noi sappiamo per certo che tu pratichi una sola religione: il volo. Sappiamo che sei un’amante della vita, della “buona tavola”, che non disdegni affatto la compagnia altrui, ed in special modo quella delle belle gentildonne … nevvero?

– Beh … in effetti …

– Non ti scusare … son tutti aspetti a tuo favore, che ti consentirebbero di superare in modo agevole “il turno”. Ehm … però non era questo che intendevo dire … sarò più intelligibile. Mio caro … la vita, così come tu la stai vivendo in questo momento, non è che una breve frazione di una lunga esistenza! Questa vita terrena è una specie d’infanzia in cui s’incomincia a crescere, a maturare. Facendo però delle scelte e prendendo delle decisioni che apriranno la strada futura. Arrivati ad un certo punto, tu ne sei cosciente, questo periodo termina con quella che si chiama morte. Tuttavia si tratta solo di una morte terrena perché è proprio da lì che comincia la vera vita …

– Quella in Paradiso!?

– Bada! Non prenderti gioco di me Konstantino: so benissimo quanto sei incline alla burla … riconosco all’istante una tua facezia, anche se pochi qui, riescono a farlo.

– Ma era solo una domanda!

– E dunque ti risponderò: no! … non è quello che voi chiamate Paradiso: non esiste quello che la vostra religione o la vostra fantasia chiama Paradiso. Il vero Paradiso è quello che ci si crea durante la vita terrena, vivendo con rettitudine, in religioso rispetto altrui e dei valori umani. Solo così facendo è lecito aspirare al superamento del “turno”.

– Alla vita eterna?

– Non proprio: si continua a vivere nei luoghi ove si è consumata l’esistenza terrena … in un mondo parallelo, identico in tutto e per tutto a quello che si è lasciato, ma non indefinitamente … solo fin quando la bontà delle azioni compiute nella prima vita non svanirà del tutto oppure fin quando più alcuno sarà memore del nostro nome, anche nei pensieri più remoti. Allora non ci sarà più nessuno a rimembrare … dunque si potrà tornare ad un altra nuova vita terrena. E questo può accadere anche dopo moltissimi lustri. Quel mondo … ha molte finestre su questo mondo …

– Ah, ecco da dove mi spiate!

– Sì, in verità è così. Ordunque … siamo certi che tu abbia già compiuto la tua scelta, hai già tracciato il tuo sentiero futuro e … sì, lo confesso, … noi tutti abbiamo dannatamente bisogno di te dall’altra parte! Abbiamo i più arditi piloti, i più fantasiosi ingegneri e meccanici del passato, ma … sono tutti sorpassati … purtroppo.

– Beh, no: sono trapassati.

– E’ vero … sono trapassati!

Tutti i soci godono delle novità recate dall’ultimo arrivato, sia esso un costruttore di alianti o sia costui un pilota pluricampione. Ma ahinoi, ciò non avviene con regolare frequenza e poi ultimamente – occorre riconoscerlo – la qualità sta un po’ scadendo … comunque non c’è aggiornamento fino a quando non giunge un trapassato “fresco”.

– Così volete che io … “passi a miglior vita” prima del tempo stabilito?

– Sì … lo confesso, la proposta in parte è questa. Noi però te ne saremmo particolarmente riconoscenti ed avremmo pensato di dimostrarti questa nostra gratitudine – eh, siamo autorizzati! – ricambiando il tuo sacrificio: fare in modo che tu possa tornare, quando e come vorrai, nel mondo reale …

– Come spirito?!

– Beh, non esattamente … direi piuttosto in qualità di discreto angelo custode – così si chiama, no? – come presenza impalpabile, come essenza immateriale …

– Per fare cosa?

– Mah, non saprei davvero … per suggerire o consigliare i viventi nei momenti perigliosi – molti di noi lo fanno – e voi la chiamate intuizione, sesto senso o qualcuno, in modo pittoresco, “la vocina della coscienza”.

– Ah, allora siete voi?

– Non sempre, beninteso. Tu però, potresti di sicuro dar seguito all’opera d’insegnamento che stai svolgendo qui … e ciò con minor fatica e soprattutto con migliori risultati. Potresti essere con chi vuoi: con i tuoi amici, con i tuoi allievi, in volo come a terra, potresti parlare loro …

– Come una vocina?

– Sì, come una vocina che sussurra dal profondo della mente e ti dice, che so?, cos’è più salutare in quel momento, quale decisione prendere, insomma … in modo da essere loro di conforto e di aiuto. Nei momenti difficili. Starà comunque e sempre a loro seguire quella vocina o ignorarla del tutto. E poi immagina … immagina solamente alle infinite opportunità … come far la conoscenza e colloquiare amabilmente con tutti i tuoi idoli: il prof. Georgii, il tenente Milkov, e poi Wills, Makula e gli ultimi arrivati … Holigaus e Mantelli. Pensa alla possibilità di volare in ogni angolo del mondo reale! Con qualsiasi pilota e a bordo degli alianti o anche degli aeroplani più diversi! Ciò non costituisce forse la realizzazione dei tuoi più reconditi sogni?

– Sì … però …

– Ah, dimenticavo. Posso fin d’ora assicurarti che penseremo a tutto noi: il trapasso sarà perentorio, non proverai dolore. Il modo ed il momento … beh, purtroppo non è nostra facoltà stabilirlo … anche noi abbiamo un limite. Orsù Konstantino, rispondi dunque al mio quesito: accetti la nostra proposta?

– Beh …

– K o s t a n t i n o-o-o …

Scusa Kosta … volevo dirti che domani dovrai fare a meno del PAPA INDIA – dobbiamo fargli l’ispezione – … ah, il fischio sul MUZI era un nastro rotto, ora è O.K. … sei stanco vero?

– No, perché?

– Ehm, parli da solo!

– Quando?

- Adesso! Parlavi da solo.

– Ma che dici? Che da solo: c’è qui Otto … cioè, c’era qui Otto … un momento fa c’era.

– Otto? Otto chi?

– Mah, un tipo strambissimo! Sicuramente uno psicopatico: si spacciava addirittura per Otto Lilienthal.

– Ma chi, il padre del Volo a Vela?

– Sì, nientemeno. M’ha fatto una proposta così oscena! … però … ripensandoci … quasi quasi …

– Va beh, poi me la racconti eh? Va’ a volare va’! Sempre operativo?

– Sempre! … anche dopo la morte!

– Ciao, Kosta.

– Ciao.



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Big Mark

Il volo di Uco

In un ampio alveare naturale nell’alta e verde valle del Sol, viveva una numerosa famiglia di api e tra di esse: Uco il più giovane e piccolo fuco. Trascorreva il tempo imitando gli altri maschi, bighellonando nell’alveare, disturbando le api indaffarate e commentando e sparlando su di loro. Ma i discorsi più frequenti ed interessanti riguardavano il mitico incontro con Ozia, la regina; lui, come molti altri, non l’avevano mai vista eppure s’infervoravano nel descriverla facendo leva sulle proprie fantasie giurando agli altri di averla incontrata veramente. Il più loquace del gruppo era Ioluco, il più anziano, più grosso ed arrogante, vantava incontri si prodigava in descrizioni lasciando gli altri stupiti ed invidiosi; fra i tanti, per l’eccessiva manifestazione di ammirazione, spiccava Soluco che non perdeva occasione per imitarlo ed incoraggiarlo. Il piccolo Uco invece era da lui e da tutti gli altri bersagliato, deriso umiliato e, non potendo competere nei racconti, emarginato e, se chiedeva spiegazioni, gli altri per confonderlo gli indicavano le più goffe fra le api comuni giurandogli: “Quella lì è Ozia!”. I fuchi avevano anche individuato un’area da usare come pista di simulazione dove allenarsi a correre, organizzando fra loro gare informali a cui tutti partecipavano ma che terminavano sempre col medesimo risultato: correttamente o scorrettamente il vincitore era sempre l’ irruente Ioluco tallonato da Soluco. Proprio durante lo svolgimento dell’ennesima gara, la stessa zona fu pervasa da un grande fermento per il passaggio del corteo reale; allora tutto il gruppo abbandonò la corsa e s’accalcò per vedere Ozia, ma la calca rese difficile la visione. Uco giunse per ultimo, trafelato e dovette arrampicarsi sugli altri. “Eccola Ozia” gli disse qualcuno e lui seguendo l’indicazione finalmente la vide. “Questa volta l’ho vista veramente, anzi sono sicuro che lei ha guardato nella mia direzione. E’ proprio bella non come le api noiose che ci ronzano intorno cariche di cibarie!” urlò felice e da quel momento non pensò ad altro, si isolò, sopportò indifferente scherzi ed angherie, non s’impegnò più nemmeno nelle gare preferendo rimanere disteso ad immaginare Ozia. Passò del tempo e venne al momento del volo nuziale: Ozia si liberò nell’aria limpida e tutti i fuchi iniziarono ad inseguirla. Caparbio e rapido Ioluco superò gli altri concorrenti ed ingaggiò un vero duello aereo con la regina e riuscì a raggiungerla ma per meglio impressionarla volle superarla e girargli intorno bruciando così importanti energie ed acconsentendo a Soluco, secondo inseguitore, di agganciare Ozia ed accoppiarsi con lei. Il presuntuoso Ioluco non ebbe nemmeno il tempo di stupirsi ed indignarsi perché venne eliminato e dopo di lui tutti gli altri maschi. Solo Uco continuò a volare indisturbato seguendo una sua propria pista: in tutto il tempo trascorso nell’alveare aveva immaginato l’inseguimento della sua regina e quando la vide ancora più bella rispetto la prima fugace visione, ignorando gli altri, si tuffò all’ inseguimento, per ben due volte la raggiunse ma lei riuscì a sfuggire, al terzo tentativo lui l’anticipò parandosi davanti a lei nei pressi di una cima di ciliegio, si meravigliò e si congratulò con se stesso per aver anticipato tutti (infatti nessun altro maschio era ancora nelle vicinanze). Ma con suo stupore l’ape che stava di fronte a lui l’apostrofò così: “Stai perdendo tempo, devi seguire il corteo degli altri perché io non sono Ozia la regina ma solo Jolia la sua ancella! Quindi lasciami” e tentò di riprendere il volo ma lui non volle sentire ragione e continuò a fiancheggiarla allontanandosi sempre più dalla sfida regale e iniziando a tesserle continui elogi e raffronti: ” La regina non è forse l’ape più bella dell’alveare? Ebbene tu sei la più graziosa e leggiadra delle api! La regina sa eseguire con maestria voli acrobatici? Sono sicuro che tu sia ancora più abile basta che provi!” Lentamente Jolia si lasciò convincere, smise di respingerlo e continuò a volare con lui e quando Uco si fermò stremato ed affamato lei lo preservò e lo nutrì pur di continuare ad ascoltare i suoi incoraggiamenti. Poi lo condusse al riparo in un favo situato vicino all’alveare in modo di poterlo visitare e nutrire tutti i giorni volando con lui per sentirsi Regina. L’accordo fra i due proseguì fino alla successiva primavera con reciproco vantaggio: il fuco ignorato dalle altre api visse indisturbato forte e ben pasciuto; l”ancella rinfrancata dai continui incoraggiamenti iniziò a raffrontarsi veramente con Ozia, durante il passaggio del corteo reale spesso riusciva già ad attirare su di se l’attenzione offuscando la sovrana, riuscì anche a creare attorno a se un clan di api convincendone alcune a lavorare per lei. Quando il tempo fu maturo per un nuovo volo nuziale Jolia si prodigò per interferire col viaggio di Ozia per sostituirsi ad essa e riuscì a trascinare a se molti giovani fuchi, giunta nelle vicinanze della cima del noto ciliegio si ricordò di Uco ( che nei giorni precedenti al volo aveva trascurato) e s’accorse che non era tra gli inseguitori! Infatti Uco sbaragliando tutti aveva raggiunto Ozia e … si era accoppiato con lei.


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Dario Biancotti

18 marzo 1986

Era il 18/3/86, e alle 15.50 decollavo col mio “Spillone” totalmente “pulito” per un volo prova supersonico.  Per un pilota caccia-bombardiere abituato ad andare in giro con tips, pylons, dispenser e talvolta anche razziere, volare con l’avione pulito rappresenta sempre una sensazione particolare! Decollo, salgo come una “spia” ed in men che non si dica mi ritrovo a 37.000 ft.; accelero e, dopo i primi controlli supersonici, salgo a 39.500 ft per il “rush” finale . L’ A/B è ancora tutto dentro, l’avione corre, mach 2.2, la “SLOW” si accende : devo rallentare. Sono di nuovo subsonico, a destra c’è il Conero, un attimo prima c’era il delta del Po. Viro a destra in discesa per quote più “umane” inbound alla base per effettuare gli altri test, e a metà virata una prima luce antipatica: Fix Freq Out (l’F104 ha energia elettrica a frequenza fissa  – Fixed Frequency) e a corrente alternata (A.C.). Fix Freq Out è una luce del pannellino avarie che indica che si è persa l’energia a Frequenza Fissa). Quante volte mi sarà successo nelle (allora)quasi 2000 ore di volo che ho passato sullo Starfighter: premo quel famoso pulsante e tutto torna come prima! E allora lo faccio, ma non succede assolutamente niente, la Frequenza fissa rimane Out. OK, lo faccio di nuovo, e qui cominciano le grandi sorprese. In un attimo mi trovo “al buio”: Gen1 Out e Gen2 Out, completa avaria elettrica. La cosa si fa seria : sono in Emergenza. La dichiaro subito a Romagna APP, e subito si inserisce la SOR (la sala operativa (Squadron Operation Room- Sala operativa del Reparto) per darmi manforte – Biagio che hai ?- – Sono in completa avaria elettrica, adesso imposto il “precauzionale”,e vengo giù. – OK, ricordati che dovrai tirare fuori la “R.A.T.”. (Ram Air Turbine, è un generatore esterno di energia elettrica. Si tratta sostanzialmente di un’elica che viene estratta dalla fusoliera del velivolo e, investita dall’aria, comincia a girare generando, con questo movimento rotatorio, l’energia elettrica necessaria per gli impianti base dell’aeroplano). – Sì, ora applico tutta la procedura e la tiro fuori. Ho già tanta esperienza, ne ho viste di cotte e di crude e adesso devo fare una cosa che non avevo mai fatto prima, devo usare la R.A.T. OK, tiriamo questa maniglietta gialla … quanto rumore, ma almeno le lancette degli strumenti hanno ripreso la loro vita “guizzante”: ho di nuovo energia elettrica. La velocità va bene, fuori i flaps. Intanto scendo, scendo, e scendo ancora : il campo si avvicina. OK, la pista è là davanti, la velocità l’ho ridotta e ora è giusta, 1600 ft, è ora di tirar giù il carrello : OK, è fuori. Cribbio, cos’è questo silenzio improvviso? E perché il muso ha preso a puntare il suolo? – SOR, ha piantato il motore, mi lancio! – OK – NO, HO UN PAESE DAVANTI, CERCO DI SALTARLO E POI MI LANCIO !!! – OK Sto puntando un prato; DIO si avvicina troppo, è ora di tirare la maniglia, quella più vicina !!! Ma quanto tempo ci vuole prima che parta il tettuccio ed io venga cacciato fuori da questa trappola mortale !? Che botta, ho male alla schiena, i fogli del cosciale mi volano attorno, che male alla schiena, sto facendo la capriola, che male alla schiena, un’altra botta, dev’essere l’apertura, guardo in alto, si è aperto bene, ora devo pensare all’atterraggio, ero molto vicino al suolo, guardo in bas … , DIO ho male alla schiena e alla caviglia. Sono sdraiato su di un fianco con gli occhi chiusi, ma dove? In quale mondo? Sono ancora vivo o no? Apro gli occhi, c’è l’autostrada, ci sono delle automobili che corrono, altre si fermano, sono ancora vivo, oppure “di là” ci sono le stesse cose che c’erano “laggiù”. Mi alzo e mi guardo attorno, ho molto male alla schiena, vedo il fumo nero, arriva gente, una donnetta si avvicina con un bicchiere di Sangiovese in mano : ” beva, la tirerà su ” mi dice tutta affannata . Le chiedo : “Dov’è caduto l’aereo, ci sono feriti, morti ?” Ci sono stati tre morti ed alcuni feriti !!! Il seguito è costituito da una storia giudiziaria ed una vicenda umana che si sono protratte per nove anni prima di arrivare finalmente alla completa chiusura la prima, mentre la seconda ha comunque lasciato dei segni indelebili.


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Alberto Biagetti

Ultima aria

La distesa blu notte è interrotta a perdita d’occhio da creste spumose sferzate dal vento, decine di arcobaleni guizzano spinti da raffiche ghiacciate. Gocce sottili come spilli mi bagnano il viso e l’uniforme: in piedi ritto nel mezzo del piatto isolotto respiro l’aria carica di salsedine. Scatto sull’attenti, il generale mi fissa severo, la grossa automatica nichelata che porta al fianco manda lucidi bagliori di morte. -Hai compiuto il tuo dovere? Cerco di rispondere, voglio che sappia il perché di tutto questo ma le parole non escono, inchiodate nel buio dell’anima. Il generale sorride. -So che lo hai fatto, tutti noi siamo fieri di te. Si avvicina sollevando una mano, la medaglia brilla nell’aria carica di umidità. Ho uno scatto improvviso all’indietro. -No! Lasciami in pace! Il freddo mi fa lacrimare gli occhi, il vento si insinua sotto la divisa azzurra, rabbrividisco conficcando le unghie nella pelle. La donna e la bambina si tengono per mano, muovono le labbra ma nessun suono rompe il fischio della tempesta. Cerco ancora una volta le parole, tendo le braccia in avanti le palme rivolte verso l’alto, il sangue gocciola sul terreno roccioso. La donna e la bambina annuiscono lentamente, un vago sorriso illumina i visi devastati. Mi aggrappo con forza a quel sorriso, forse potrò riposare.

I due uomini in camice bianco osservano il vecchio disteso nel letto, il più giovane solleva lo stetoscopio dal petto raggrinzito. -E’ la fine, non passerà la notte. Il colonnello medico si avvicina e prende il polso con delicatezza controllando le pulsazioni. -Ora sembra più tranquillo. Le rughe sul viso del vecchio si distendono, le labbra si aprono lentamente ad assaporare l’ultima aria; sul comodino alla destra del cuscino sei giovani in tenuta di volo sorridono all’obbiettivo in una foto d’epoca, alle loro spalle la scritta ” Enola Gay ” scintilla sulla fusoliera del mastodonte d’acciaio.


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Umberto Bertani