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Il primo

Era il I Settembre del 1939 quando il Capitano Mieczyslaw Medwecki e il sottotenente Wladislaw Gnys decollarono su allarme a bordo dei loro caccia, due PZL P11c dal campo di aviazione di Balice, in Polonia, per intercettare una formazione di bombardieri tedeschi, nelle vicinanze di Cracovia. D’improvviso, l’equipaggio di un caccia di scorta tedesco Junker Ju 87 Stuka, composto dal pilota Franz Neubert e dal mitragliere Franz Klinger, videro apparire nel loro campo visivo i due PZL ma pensarono che i Polacchi stessero effettuando un’arrampicata per attaccare un altro Stuka che volava ad una quota maggiore; il pilota Franz Neubert allora decise di attaccare a sua volta ed abbatté il velivolo del Capitano Mieczyslaw Medwecki. Fu la prima vittoria in duello aereo della II guerra mondiale. Nel frattempo, Gnys con l’altro PZL P11c effettuava una violenta manovra diversiva per sfuggire al fuoco dell’attaccante, ritrovandosi in prossimità del suolo ed ai limiti dello stallo. Confidò nelle capacità di pilotaggio, non comuni, e anche in un piccolo espediente: le insegne nazionali poste in maniera disassata in modo da disorientare gli avversari, seppure solo momentaneamente, circa l’assetto del velivolo. Effettuò la richiamata appena in tempo: alla quota degli alberi; da quella posizione Gnys iniziò la sua caccia al nemico. Dopo aver abbozzato un attacco ad un bombardiere Heinkel He 111, egli piombò su due Dornier Do 17E che volavano in formazione stretta, abbattendoli entrambe. La sua fu la prima vittoria alleata della II guerra mondiale. E dunque, la seconda, in ordine di tempo di tutto il conflitto. Tutto in uno stesso combattimento aereo. Il primo.

Liberamente ispirato al racconto di Mike Dobrzelecki.


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Scramble

La rosa rossa

Mentre la navetta con esasperante lentezza mi portava agli “Arrivi”, composi il suo numero. Un solo squillo, e il suo allegro “Ciao amore!” “Ma ciao! Eri al telefono, broccolone! C’era la segreteria, uff!” Ma sorridevo. Mi guardavo distrattamente intorno, già mentre attendevamo di scendere dall’aereo avevano tutti messo mano ai telefonini, e ora si davano un’aria di importanza mentre annunciavano il loro atterraggio a chissà chi. “Ma quale segreteria, ero al parcheggio…” La sua voce era un po’ ansante, sentivo che stava camminando velocemente, con un chiacchiericcio di sottofondo. “Ho temuto di far tardi, amore, c’era un traffico incredibile.” Scesi dalla navetta, seguendo il fiume umano che si riversava verso il recupero bagagli. “Tardi? Lo sai che non te lo avrei mai perdonato!” Ridevo…quante volte lui mi aveva dovuta aspettare? “Ma che cattiva sei …” “Sì, sì … almeno cinque minuti di broncio, và facciamo quattro, mi sento buona oggi.” “Com’è andato il viaggio?” “Era iniziato benissimo! Mi hanno dato il posto vicino all’uscita di sicurezza, e accanto a me, sul lato finestrino, era seduto un bellissimo ragazzo. Alto, moro, un fisicaccio, bel viso mmm stavo già pregustando il volo. Giusto il tempo di fargli un sorriso e un paio di flapp flapp e lui ha detto alla hostess: “Posso spostarmi? Sto scomodo qui!”. Sgrunt! Amore, la mia autostima è a un livello infimo!” Lo sentii ridere, “Razza di broccolona! Ma dove sei?” “Sono ancora sulla navetta.” Mentii spudoratamente, e lui lo sapeva, sentiva che avevamo lo stesso sottofondo di annunci gridati all’altoparlante. “Dove ti sei nascosto stavolta?” “Non ho avuto il tempo di trovare un posto per nascondermi, è già tanto se sono arrivato in orario!” I cagnoni antidroga mi annusarono, mentre oltrepassavo il “nothing to declare”. Il figaccione di prima mi precedeva di qualche metro, e dopo tutto non era così carino, ma sì aveva un po’ di pancetta, e di sicuro era miope. (Tsk tsk) Mi guardai intorno, decine di persone ne aspettavano altre, alcune con cartelli in mano con nomi impronunciabili. Ma lui dov’era? “Non ti vedo, dove sei??” “Ma io vedo te!” “Okay, vorrà dire che bacerò il primo che capita.” Mi voltai e vidi un uomo sulla trentina, moro, mi sorrise. Gli buttai le braccia al collo e prima che potesse dire qualcosa incollai le mie labbra alle sue. Non esitò a ricambiare il mio bacio, le nostre lingua si intrecciarono, mentre le persone intorno a noi sparivano nel nulla. “Ciao, primo che capita” bofonchiai (è difficile scandire bene le parole mentre ti mordono le labbra). Trascorremmo la giornata sulla nostra nuvoletta rosa, in un’atmosfera emozionante, calda dei nostri corpi, greve dei nostri odori, ma soprattutto e purtroppo magicamente breve: lui aveva il potere di far scorrere le lancette sempre più veloci. Quando fu il momento, mi riaccompagnò a Malpensa, ci scambiammo gli ultimi baci e io uscii dall’auto stando attenta a non lasciare mezzo metro di rosa rossa nello sportello. Ero in fila per il check in, quando nell’aria risuonarono le note della sigla dei Simpson’s, frugai nella mia borsa, paragonabile alle tasche di Eta Beta, e trovai il cellulare: “Amore!” Amore … confesso, ho acceso una sigaretta!” Finsi di tossire, e lo sentii ridere: “Peste che sei!” Era sempre così, non appena ci lasciavamo ci venivano in mente mille cose da dirci. L’entusiasmo di stare insieme era tale che quasi non sentivamo la tristezza dell’arrivederci. Ho detto quasi… Chiacchieravamo allegramente, quando qualcosa, anzi qualcuno, attirò la mia attenzione. La fila accanto, alla mia destra, chiodo, pantaloni di pelle, un portadocumenti … No, che razza di scherzo. “Scusa amore … puoi ripetere?” “Sei distratta, che succede?” Mi incamminai verso il solito gate, senza perdere di vista quella figura nerovestita: andavamo decisamente nella stessa direzione. “Non ci crederai mai … c’è Gianni!” “Chi? QUEL Gianni??” “Dio che imbarazzo … non ci posso credere …” Sprazzi di ricordi disordinati mi balenarono in mente, mentre cercavo di portare avanti la conversazione, senza sembrare troppo interessata all’incontro. Gianni, gli occhi più blu che avessi mai visto… Gironzolavo annoiata nel web la notte che l’incontrai; Vittorio non era on-line, e già allora mi mancava terribilmente, anche se non lo avrei mai ammesso. Erano giorni che io e Vic ci “sondavamo”, e avrei fatto di tutto per cancellare dalla sua mente l’immagine che aveva di me: una Biancaneve moderna, simpatica ma non “spigliata”, una buona amica e basta. Al telefono con Gianni, giocando, provocandolo, testavo me stessa, e scoprivo che eccitare un uomo solo con la voce dava una sensazione quasi di potere. Sentivo il tono farsi basso, roco e sensuale, sussurri come carezze, sospiri come baci umidi di saliva e altro ancora. La sera seguente, appoggiata all’auto, il cofano ancora caldo, la telecamera del Monte dei Paschi ci faceva l’occhiolino poco distante. Le mani dappertutto, i capezzoli finalmente liberi ed eretti nel freddo di novembre, leccavo le sue dita odorose dei miei umori, mentre offrivamo uno spettacolo inaspettato alle coppiette appartate al buio del parcheggio poco distante. E nella mente un pensiero malizioso contribuiva a eccitarmi sempre più: la prossima chat su icq con Vic sarebbe stata decisamente interessante. E come un flash, rivedevo me stessa aprire le tende, perché dall’ufficio di fronte potessero godersi la scena: sulla scrivania, le gambe appoggiate sulle sue spalle, il suo sesso che si strofinava sul mio, senza penetrarmi, una dolce tortura E dopo, seduta sulla poltrona manageriale, scompigliata e discinta sentivo nella bocca il mix dei nostri sapori, mentre con le unghie seguivo la linea degli addominali. Lo guardavo maliziosa, di sotto in su, mentre con le mani cercava di impormi il suo ritmo… “Amore, manca molto all’imbarco?” Vittorio mi riportò alla realtà d’un colpo, e ripresi a conversare nel solito modo, a metà tra il malizioso e il tenero, ma al tempo stesso sentivo su di me gli occhi di Gianni: mi aveva riconosciuta. “Amore, lui mi ha vista! Ahah si è messo gli occhiali da sole, forse teme che io gli salti addosso alla vista dei suoi occhioni blu?” “Amore, ma sei tu che sei sparita e non lo hai più richiamato, no?” Avvertivo un po’ di tensione nella sua voce, non era molto contento dell’imprevisto. “Beh sì. Dovresti essere qui, sai? Ho ridotto lo stelo della rosa, era poco maneggevole. Cammino lentamente avanti e indietro proprio di fronte a lui, sorridendo e accarezzandomi le labbra con i petali. Sento i suoi occhi su di me. Starà ricordando, ne sono sicura. Fingo di essere assorta nella telefonata, ma so che questa rosa lo turba. Ogni tanto incrocio il suo sguardo e indugio quel tanto che basta.” “Lo vedi che sei peggio di me? Non mi capita mai di incontrare una mia ex, a te sì invece!” “Ma se l’ho frequentato solo per sedurre te! Non ricordi? Tu sei uscito con quella sciacquetta noiosa, invece!” Ridevamo, entrambi ferocemente gelosi. “Ti amo, sai?” “No, io amo te!” La navetta ormai era arrivata, e ci dovemmo salutare; mi augurò buon volo e spensi il cellulare, sorridendo come una deficiente alla prima cotta. E fu salendo sulla navetta che mi ritrovai di fronte Peter. “Sbaglio o ci conosciamo?” Sorrisi maliziosa. Lui si tolse gli occhiali da sole e ricambiò il sorriso. “Non ero sicuro che fossi tu, ma quel modo di camminare, di muoversi … Che piacevole sorpresa!” “Anche per me, ne è passato di tempo, ma sei proprio come ti ricordavo. Peccato tu abbia nascosto quei bellissimi occhi blu sotto le lentine scure, però.” Peter rise, era sempre stato bravo a incassare.


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Un aliante

Non hai bisogno di un motore perché per motore c’è il vento. Non hai bisogno di grandi ruote perché sei piccolo e leggero.

Hai un corpo sottile e delle lunghe ali, ma non sei un uccello. Giri spesso sopra le montagne e da lassù guardi le case sotto di te.

Una mano forte ti guida in mezzo alle nuvole e non hai paura di cadere. Puoi rimanere su per ore senza mai stancarti, chissà quante cose belle puoi vedere!

Vieni a prendermi, voglio volare anch’io fin lassù! Voglio immergermi in quelle nuvole così dense da sembrare panna montata.

Piano piano scendi, atterri sulla pista, hai finito anche oggi il tuo giro ed ora vai a riposare.

Domani ti alzerai ancora, trainato da un aereo a motore e volerai sopra le cime montuose per ore ed ore…

18 luglio 1999


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Sabina

Quant’è bello volare

L’aria tersa e pungente del mattino si insinuava turbinando tra le fronde degli alberi resi multicolori dai primi brividi dell’autunno. Il verde carico e intenso delle foglie più forti si sposava col rossiccio di quelle che iniziavano ad avvizzire, e risaltava sul fondo di quelle marroncine che avevano ormai portato a compimento il loro ciclo di vita. Al di sotto del bosco la montagna digradava con un declivio né dolce né irto, che dopo un po’ si interrompeva bruscamente, offrendo lo spettacolo di una ripida scoscesa su cui gli edelweiss faticosamente si abbarbicavano. Era l’ambiente ideale per gli amanti degli ultraleggeri e dei deltaplani che, infatti, in quella zona avevano installato la loro pista di lancio. Molti erano gli appassionati che si spingevano appena possibile a quella base di partenza che la Natura, nella sua magnanimità, aveva voluto offrire a quanti prediligevano le distese del cielo alle lunghe code in colonna, inscatolati come sardine, per raggiungere i più rinomati ed affollati luoghi di villeggiatura. Del resto, le correnti d’aria che rotolavano a valle rimbalzando nella profonda conca in cui correvano gorgogliando e spumeggiando le acque chiare del fiume, tornavano a risalire potenti, garantendo, a tutto ciò che incontravano nel loro percorso, la possibilità di un duraturo sostentamento che poteva durare anche parecchie ore. Il tempo era dunque ideale. Occorreva aspettare l’attimo giusto. Quand’ecco … un colpo di vento più intenso degli altri si precipitò giù per la china, la strappò dal suo sostegno e la sollevò di colpo. Era libera e librante, sospesa nel cielo azzurro, sostenuta dal vento e dalle correnti che, graziosamente, parevano condurla secondo il suo desiderio. Era felice: il vento la percuoteva, ma con delicatezza, mentre si muoveva ondeggiando secondo le correnti, sorvolando picchi aguzzi e scoscesi, dove erano tornate a nidificare le grandi aquile bianche, dove muschi e licheni a fatica contendevano lo spazio al gelo ed alla neve. Più in basso, sui pascoli alti, il bestiame, impegnato nel suo monotono ruminare, costituiva un insieme di chiazze chiare e biancastre tra il verde del trifoglio; ma si trattava di uno spettacolo che durava solo un breve fiato: le correnti ascensionali la portarono su, molto più su, a quote in cui l’aria stava diventando particolarmente fresca, nella trasparenza assoluta dei cristalli di ghiaccio che iniziavano a condensarsi. Una bianca nuvola, simile a un insieme di batuffoli di cotone, si avvicinava rapidamente. Penetrò in quella nebulosità tenue, in cui lo splendore del Sole si affievolì mostrando il disco di un giallo pallido dell’astro la cui esistenza garantiva la permanenza della vita sul pianeta. L’umidore delle goccioline che si condensavano la appesantì di quel tanto che bastava a provocare un inizio di discesa verso livelli più convenienti. Il velo che si opponeva alla forza del Sole divenne sempre più tenue e, dopo poco, si diradò completamente facendola ripiombare in mezzo ad una luce abbagliante. Il calore e l’aria asciutta aiutarono l’evaporazione del sottile strato liquido che si era formato e il vento tornò ad essere il suo padrone. Lentamente, senza fretta, la gravità tornò a fare sentire la sua influenza e, complice un improvviso calo del vento, perse quota rapidamente. Il pensiero di schiantarsi non increspò neppure per un attimo la sensazione di levità e di gioia che la pervadeva: era libera! Libera di muoversi nel cielo. Libera di vagare dove nessun essere umano avrebbe mai potuto permettersi di andare. Con la stessa subitaneità il vento la riprese e la trasportò ancora in alto. “Lingua mortal non dice …” : ecco, proprio questo era il punto. Lo stato di ineffabilità era stato raggiunto. Non avrebbe saputo assolutamente trovare come esprimere quello stato di completa comunanza ed assonanza con la Natura, con le sue forze e con tutte le manifestazioni che, a volte, ad occhi e cuori offuscati, potrebbero sembrare crudeli ed insensibili: la potenza di un tornado, lo scatenarsi della furia devastatrice di un’eruzione o di un terremoto. Tutto questo e altro ancora “sentiva” entro di sé, mentre svincolata dalle catene del peso si librava senza posa in quello scenario che aveva un che di divino. Ma tutto quello che di più bello proviamo, prima o poi deve terminare. Il vento stava declinando con dolcezza, trasformandosi in una lieve brezza, quasi tiepida. Assecondandone la natura e l’invito, cominciò una lenta discesa, rotta soltanto da qualche subitaneo refolo che la faceva impennare ancora ogni tanto verso l’alto da cui, ondeggiando, tornava verso quote più miti. Lentamente, con calma, cercando di assaporare ancora quello che la Natura benigna poteva offrirle, iniziò la planata finale. In basso gli armenti continuavano il loro lento ruminare. Il vento le permise di compiere una larga virata, mostrandole lo splendore di un paesaggio autunnale dai colori accesi e variegati attraverso un’atmosfera assolutamente cristallina. Là in basso un fiumiciattolo segnava con riflessi argentei una strada percorsa da pesci guizzanti alla ricerca della loro pastura quotidiana. Chiazze marroni e verdi in varie tonalità denotavano i campi seminati con i vari frutti che la terra avrebbe prodotto nella prossima estate. Le colline, coperte di vigneti, facevano bella mostra di sé, con i grappoli di diverso colore che si confondevano col verde intenso del fogliame. La discesa ora si faceva più decisa: sempre in compagnia del vento che, graziosamente, l’accompagnava nell’ultima fase del suo volo, vide la terra avvicinarsi sempre di più. Ormai di lì a poco quel sogno di leggerezza si sarebbe spento definitivamente. Cominciò a girare in volute sempre più strette, diminuendo contemporaneamente di quota. Erano gli ultimi istanti di quella beatitudine. Una pozzanghera si avvicinava sempre di più. Ondeggiando riuscì a superarla per raggiungere un tratto di un sentiero senza erba, dove finì col posarsi delicatamente. Un uomo si avvicinò, calzando pesanti scarponi e, senza neppure degnarla di un’occhiata, schiacciò quella foglia ormai secca che, per una frazione di eternità aveva conosciuto la voluttà del cielo.


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Roderigo di Brankfurten

HAG

In Italia il restauro e la rimessa in efficienza di aeroplani storici è un’impresa titanica, burocrazia farraginosa, costi elevatissimi di carburante, pezzi di ricambio e hangaraggio inducono solo un ridottissimo numero di “coraggiosi” a intraprendere l’avventura del restauro e della gestione di un “heavy metal warbirds”. Quasi una sfida quindi è stata la costituzione dell’H.A.G., Historical Aircraft Group, una scommessa fra cinque amici che con differenti back ground coltivano una passione comune per gli aerei d’epoca. Cinque amici, cinque diverse realtà che vanno dall’imprenditore al pilota commerciale, dal controllore del traffico aereo al tecnico progettista passando per l’avvocato, legati dalla voglia di volare macchine con parecchi compleanni sulle spalle, magari dimenticati in un hangar o smontati in qualche magazzino. Abbandonata in partenza l’idea di acquisire un warbirds di elevate prestazioni per i motivi citati poc’anzi oltre che per il costo improponibile di acquisto, ci siamo indirizzati sugli aerei leggeri da addestramento e da osservazione, i cosiddetti “L birds”, macchine comunque interessanti dal punto di vista storico e semplici da gestire e da mantenere, ed è proprio con questa politica che nell’arco di due anni l’Associazione ha acquistato un interessante numero di macchine: uno stinson L5 (I-AEEP), un Avia FL3 (I-DODO), un Macchi MB308 (I-BIOT), un aliante Aerometro M100 (I-SETA). Per la cronaca l’appellativo “L birds” viene utilizzato per indicare i piccoli aerei da osservazione e collegamento (Liaison plane) impiegati dall’esercito degli Stati Uniti a partire dalla seconda guerra mondiale fino al conflitto del Vietnam, i più famosi capostipiti di questa famiglia furono il Piper Cub L4 “grassopper” e lo Stinson L5 “sentinel” seguiti poi negli anni dai Piper L18 e L21 e dal Cessna L19 “Bird Dog”, alcuni di noi già utilizzano questo tipo di macchine nell’uso del traino alianti, volando il Cessa L19 dell’Aeroclub Prealpi Venete e gli Stinson L5 dell’Aerclub Volovelistico di Ferrara. Con queste macchine prive di armamento i cosiddetti Forward Air Controller fornivano indicazioni di tiro e puntamento ai reparti di artiglieria e segnalavano per mezzo di razzi fumogeni le posizioni degli obbiettivi ai bombardieri tattici, tutto questo volando a filo degli alberi a 80 nodi e sotto al fuoco nemico. Casualmente Giorgio Bonato, il presidente dell’H.A.G., trovò dimenticato in un hangar dell’aeroclub di Torino uno Stinson L5 una volta utilizzato per il traino alianti, l’I-AEEP. Ricoperto da quattro dita di polvere e con un’ala malconcia a ricordo di un brutto atterraggio con il vento al traverso, l’aspetto della macchina non era certo invitante, ma un più attento e approfondito esame rivelò che nel complesso le condizioni erano buone, tra l’altro manteneva ancora il motore originale Lycoming O-435 da 180 HP e non il potenziato Lycoming O-540 da 235HP, il che ne faceva una base di partenza perfetta per il nostro progetto di restauro. La rimessa in efficienza di un aeroplano storico è un operazione complessa e impegnativa sotto tutti i punti di vista, organizzativi, logistici, burocratici ed economici, un’errata valutazione di uno qualsiasi di questi aspetti può pregiudicare notevolmente il restauro, allungando anche di parecchi mesi il traguardo finale, il primo volo! Da questo lato l’affiatamento di ognuno di noi, ha avvantaggiato il gruppo nel superare le inevitabili difficoltà. Allo smontaggio completo della cellula, che ricordiamo essere costituita da una fusoliera in tubi saldati rivestita in tela e dalle ali in legno, ha seguito una pulitura totale di tutti i componenti e il loro stoccaggio. Dopo una verifica delle saldature sui punti critici di sforzo la fusoliera è stata sverniciata e ridipinta nell’originale Interior Green e successivamente rintelata, contemporaneamente il lavoro si è svolto sulle ali che stelate e ripulite in maniera puntigliosa, sono state verificate attentamente in tutti gli incollaggi. L’estremità alare sinistra , a seguito di una imbardata in atterraggio era stata notevolmente danneggiata, ciò a richiesto un attento lavoro di riparazione e ricostruzione, fortunatamente nello Stinson L5 prevedendo possibili imbardate, il progettista ha strutturato la tip alare come un pezzo a se stante, in modo che eventuali contatti con il terreno non danneggiassero anche il longherone, come ad esempio nel Piper Cub che arriva fino all’estremità alare. Il motore è stato completamente revisionato dalla officina David, che lo a riportato a 0 ore, e si prevede che il primo volo avverrà nella prossima primavera. Parallelamente al lavoro pratico sulla macchina è stata avviata una ricerca storica per conoscere l’identità dell’aeroplano, come tutti gli L5 italiani anche il nostro “EP” presto servizio nell’US ARMY. Dopo essere stati intensamente utilizzati su tutti i fronti di battaglia gli L5 e gli L4 vennero raggruppati sull’aeroporto di …….. in Germania per essere successivamente ridistribuiti in vari paesi europei. In Italia furono destinati 40 L5 sia nella versione da osservazione sia in quella di aeroambulanza, il cosiddetto “barellato”, e furono presi in carico dalla neo costituita Aeronautica Militare Italiana che li utilizzò inizialmente come addestratori basici, poi come collegamenti fra le varie basi, durante questo periodo gli L5 subirono numerose modifiche, sia agli impianti che alla struttura per adattarli alle nuove esigenze. L’evoluzione tecnica di quegli anni rese ben presto l’L5 non all’altezza di una forza armata moderna, e l’A.M.I. li rassegnò agli Aeroclub, cominciò quindi una nuova carriera senza le stellette per questi infaticabili aeroplani, dimostrando se ancora ce ne fosse bisogno la longevità e la bontà del progetto, dopo quarant’anni li ritroviamo ancora in prima fila, questa volta nel ruolo non facile di trainatori, attività non certo rilassante per un mezzo con sessanta primavere sulle spalle! Generalmente all’interno dell’abitacolo sulla prima centina dell’ala, dovrebbe essere presente una targhetta metallica con riportata l’identità e i dati costruttivi con il serial number della ditta, purtroppo nell’”EP” questa informazione essenziale non è presente, asportata in qualche precedente restauro, e la mancanza di ulteriori validi indizi sul resto della struttura rendono impossibile l’accertamento dell’identità della macchina durante il servizio con l’US ARMY, sfortunatamente non si conosce l’esistenza di tabelle che rapportino la Matricola Militare assegnata dall’A.M.I. con la precedente matricola americana. Alla luce di questa realtà, l’H.A.G. ha deciso di riprodurre un aeroplano in uso all’88th Divisione di fanteria americana, che ha combattuto valorosamente su tutto il fronte italiano, da Monte Cassino alla Linea Gotica e alla fine del conflitto rimase per qualche anno in Friuli Venezia Giulia per supervisionare ai fatti di Trieste, gli L5 aggregati del 337° field art.Batt. operarono intensamente dall’aeroporto di Gorizia e dal campo di Prosecco, lasciando tutt’oggi un vivo ricordo nelle popolazioni di quei luoghi. La scoperta di bellissime foto relative a questo periodo ci hanno fatto individuare una macchina interessante, sarebbe bello scoprire anche il nome del pilota …la ricerca continua!


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Andrea Rossetto