Chi vola in parapendio lo sa bene: l’area di decollo non è in un comodo aeroporto o in un’aviosuperficie attrezzata. Il luogo per effettuare il decollo, chiamato semplicemente “il decollo”, è su in alto, in collina o ancora più in alto, in montagna: un’area possibilmente libera da alberi e da ostacoli, esposta favorevolmente rispetto al vento dominante e aperta verso valle. A volte è un ampio prato in lieve declivio altre un ripido pendio attorniato da alberi o cespugli che lasciano uno stretto corridoio a disposizione dei piloti e poco spazio agli errori.
Nei casi più fortunati si arriva all’area di decollo percorrendo un tratto in auto e poi un breve tratto a piedi con lo zaino sulle spalle. Altre volte lo zaino lo si deve trasportare per una mezz’ora o più di cammino su sentieri ripidi ed accidentati. C’e’ da considerare che quando si parla di zaino da pilota di parapendio non si intende un normale zaino da escursionista del peso di quattro o cinque chili. Quello che i piloti si caricano sulle spalle è uno zaino enorme che pesa tra i 15 ed i 20 chili e che, una volta indossato, li fa sembrare, agli occhi degli spettatori casuali, simili a delle lumache che, faticosamente, si trascinano sotto grossi gusci colorati.
La fatica di portare questo enorme fardello è però premiata dal fatto che esso contiene tutto il necessario per volare: il parapendio, l’imbracatura, la tuta, il casco e gli strumenti. O meglio quasi tutto, infatti, ciò che ancora manca è il posto in quota da dove prendere il volo. Ma, come stavamo dicendo, a quello, con un po’ di fatica e sudore, ci si arriva.
Quando si arriva sul decollo, la prima cosa che si fa è dare un’occhiata alla manica a vento. A dire il vero, in alcuni decolli si trova una vera e propria manica a vento cioè una specie di bandierina di tela a righe colorate fatta a forma di tubo, come quelle che vi sarà sicuramente capitato di vedere in un qualche aeroporto o su qualche autostrada. In altri decolli c’e’ invece solo un fiocco, cioè un ciuffo di strisce di plastica, di quelle bianche e rosse che servono per delimitare i lavori in corso, appeso ad un’asta o ad un lungo ramo piantato nel terreno. Lo scopo del fiocco e della manica a vento è lo stesso: indicare la direzione e l’intensità’ del vento.
Così, se una volta giunti in cima non si vedono dei parapendio già in volo, la prima occhiata va alla manica o al fiocco, per vedere se c’e’ il vento “giusto”, cioè se la sua direzione e la sua intensità sono tali da permettere il decollo. Infatti, il parapendio è un mezzo che deve essere “gonfiato” per volare, cioè la sua struttura deve essere riempita d’aria per garantire che la tela acquisti la forma di un’ala con un ben definito profilo alare e una sufficiente rigidezza tali da garantirgli le caratteristiche di portanza ed efficienza che ne fanno un mezzo volante. Inoltre la manovra di decollo risulta agevole se il vento proviene dalla direzione nella quale si vuole decollare o proviene da una direzione che non si discosta eccessivamente da quella. Al contrario, una condizione di vento alle spalle è molto sfavorevole e può implicare l’impossibilita’ ad effettuare la manovra di decollo.
Ma lasciamo questi tecnicismi e torniamo a quello sguardo fisso sulla manica: una volta che con occhio critico se ne sono studiati i movimenti e che le prime valutazioni sulle condizioni del vento si fanno largo a tentoni nella mente in forte debito d’ossigeno, l’attenzione dei nuovi arrivati, ancora con gli zaini in spalla e con il fiato corto, passa a controllare chi c’e’ e cosa accade lì su. Infatti, l’attività’ dei piloti arrivati in precedenza è un indice di ciò che la giornata prospetta. Se si trovano piloti indaffarati a spiegare le vele, ad imbracarsi, a svolgere fervidamente i controlli pre-volo, allora, se anche nessuno è ancora in volo, significa che le condizioni sono buone e che basterà mettersi in coda per poi decollare. Se, al contrario, si arriva e si trova un po’ di gente seduta a chiacchierare, si vedono gli zaini sparsi qua e là e si respira un’atmosfera rilassata come quella di un pic-nic, si capisce subito che ci si deve armare di pazienza perché, per poter, volare ci sarà da aspettare. Capita spesso, infatti, che, se anche il cielo è limpido e da valle tutto sembra perfetto, una volta arrivati sul decollo le condizioni non siano ancora buone per permetter un volo decente.
In questi casi si procede con calma: si riprende fiato, si scambiano i primi saluti, ci si libera dello zaino e si cerca un posto comodo per sedersi ed aspettare. Praticando il volo libero si scopre come esso risulti essere, a volte, uno sport di attesa che richiede buone doti di pazienza che, in certi casi, possono essere portate anche all’estremo. Si può dire che esso è più vicino al gioco degli scacchi di quanto non si possa pensare!
Alcune volte, infatti, si deve mettere in conto che l’attesa in decollo, nella speranza che le condizioni si rendano accettabili per il volo, può durare per delle ore. In alcuni casi, può addirittura accadere che l’attesa non venga premiata dal tanto agognato volo, ma, al contrario, può essere che le condizioni negative permangano, costringendo alla discesa a valle con lo zaino in spalla.
Per un pilota, un ritorno a valle a piedi con lo zaino in spalla suona sempre come una piccola sconfitta, mentre la voglia di volare tempra verso il sacrificio. Così, da bravi e ostinati piloti, anche in quei casi in cui non c’e’ il vento giusto, si resta in cima speranzosi nel miglioramento o fiduciosi nelle immancabili osservazioni ottimistiche di qualcuno dei piloti locali che meglio conoscono i segreti del posto e meglio dovrebbero saper valutare le possibilità di miglioramento.
In ogni caso l’attesa sul decollo non è come una noiosa attesa nell’anticamera dello studio di un dentista. Il clima è ben diverso (e ci mancherebbe!) e si inganna il tempo amenamente con i discorsi sul volo, sulle manovre, sui materiali, sulle prestazioni di questa o quella vela, sui contenuti dell’articolo letto sull’ultimo numero di una rivista specializzata. In gergo questo si chiama “parlapendio” e risulta essere uno sport molto praticato e scevro da qualsiasi rischio: i voli pindarici, infatti, non hanno mai fatto male a nessuno!
Nei casi in cui l’attesa si protrae, capita che la conversazione si scaldi e così viene il momento di tirare fuori i racconti più succulenti: le manovre di decollo azzardate, gli errori clamorosi conclusi con piloti aggrappati ad alberi o cavi elettrici, le manovre acrobatiche al limite della sicurezza o dell’inviluppo di volo del parapendio, gli atterraggi buffi o eseguiti in condizioni di emergenza. Insomma i discorsi diventano coloriti ed oscillano tra il goliardico ed il drammatico: si raccontano i propri voli epici in cui sono state raggiunte quote stratosferiche e sono state percorse distanze sconfinate e poi si parla degli errori madornali commessi in volo, ma sempre da un qualche altro pilota.
L’attesa crea così un convivio piacevole dove il tempo scorre tra racconti di storie e leggende e dove, persone qualunque, che affidano la loro vita ad un lenzuolo di tela colorata ed ad un fascio di sottilissimi cordini di carbonio, esorcizzano le loro piccole, umane e immancabili paure.
Ma ecco, nel bel mezzo di quel chiacchiericcio, qualcosa cambia: la manica a vento comincia a sollevarsi con regolarità, il vento si “addrizza” mettendosi, a volte, nella direzione favorevole al decollo. E sì, il vento è fenomeno strano, non è mai lo stesso, si presenta con dei cicli che bisogna individuare ed elaborare. Così gli sguardi di tutti vengono magneticamente attratti dal tubo di tela e dalle sue evoluzioni: si cerca di interpretare la durata e la regolarità dei cicli del vento. Si elaborano le informazioni per decidere sul da farsi.
“Sembra buono.” dice qualcuno con gli occhi fissi sulla manica.
“Io aspetterei ancora un po’.” dice qualcun altro che la guarda con più sospetto.
“Ecco, ecco sembra che tenga …” aggiunge un altro ancora.
Così i commenti sul balletto del pezzo di tela continuano fino al momento in cui qualcuno pronuncia la fatidica frase: “Io apro!” ed alle parole fa seguire l’estrazione della vela dallo zaino.
Si porta in mezzo all’area di decollo, apre il pacco di tela colorata dispiegandola accuratamente sull’erba del decollo e poi procede alla cerimonia dei controlli pre-volo: “I cordini A, … B, … C, … D … sono a posto, niente intrecci e nessun nodo.” Quindi indossa l’imbracatura allaccia i moschettoni dei cosciali e quelli ventrali, indossa il casco, aggancia la vela all’imbracatura, da’ un’occhiata allo spazio aereo … “libero” pensa tra sé …
Nel frattempo l’area di decollo, con il vento che sembra regalare le condizioni buone per il volo, è animata da un’agitazione in cui i piloti, prima incerti, ora cominciano a mettere mano ai loro zaini. Le chiusure lampo scorrono e le sacche con le vele vengono fuori dagli zaini. Altri “volenterosi” sono pronti ad iniziare a loro volta le procedure pre-volo. Tutti però sono curiosi di vedere come andrà per quel primo “temerario” che si lancerà in volo: riuscirà a fare quota o, tradito dall’assenza di correnti favorevoli, dovrà scendere placidamente e rapidamente verso l’atterraggio a valle?
Così tutti gli occhi sono puntati su quell’unico pilota che, in piedi, con in mano gli elevatori ed i freni, scruta la manica a vento. Deve cogliere il ciclo di vento giusto e forse anche fare qualcosa in più: dimostrare agli altri che il suo fiuto non l’ha ingannato e che la scelta di tempo è stata giusta.
Così egli attende, elevatori e freni nelle mani, fronte alla vela e spalle alla direzione di decollo, attende e mentalmente invita il vento a soffiare regolare per quella manciata di secondi necessaria a fargli gonfiare la vela e permettergli, in pochi passi, di levarsi in volo.
Ed ecco che, dopo l’ennesima esitazione, la manica si gonfia decisa mostrando che il ciclo è quello giusto. Il pilota con gesti precisi indietreggia tirando a se la vela: un rumore crepitante di tela cerata e poi un grande arco colorato si dispiega, si gonfia e sale vivo sulla verticale del pilota. Egli rapido la controlla dando un po’ di freno a sinistra o forse a destra, quindi quando l’ha fermato dritto sulla sua testa, velocemente si gira e corre giù dal pendio. Due, tre, quattro passi e un sibilo lieve nel vento accompagna il distacco dal suolo di quella fantastica, semplice e romantica macchina volante.
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