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Il pilota di ferro

il pilota di ferro - copertina 01titolo: Il pilota di ferro

autore: Hans Ulric Rudel

editore: Longanesi & C.

anno di pubblicazione: 1964

ISBN: non disponibile





“Ho descritto la mia lotta contro l’Unione Sovietica come avrebbe potuto farlo qualunque altro soldato che, compiuto il proprio dovere, avesse avuto la fortuna di salvare la vita. […]

Queste pagine non debbono essere interpretate come la glorificazione della guerra e non sono destinate a riabilitare un certa classe di persone o i loro metodi.

I fatti vi sono narrati per quello che valgono, con scrupolosa verità e con assoluta fedeltà.

Dedico il libro ai morti di questa guerra e alla nostra gioventù, che sta soffrendo dell’orribile confusione del dopoguerra. Essa non deve perdersi d’animo. Ma aver fede nella Patria e fiducia nell’avvenire, perché solo chi si dà per vinto è veramente perduto

il pilota di ferro risguardo interno
Il risguardo interno del volume contiene – come di consueto – una breve biografia del protagonista nonchè un suo fotoritratto. Nel web ci siamo imbattuti anche in alcune foto a colori che ritraggono Rudel e – udite udite – anche un video a colori che lo mostra senza la protesi alla gamba a colloquio informale con degli ufficiali alleati. Sicuramente è stato girato nel periodo che successivo alla resa e che precede il ritorno a casa dell’asso. Per inciso, egli nacque nell’Alta Slesia, regione che fu inserita nel territorio della Polonia dopo la II Guerra Mondiale

Si chiude con questa breve nota conclusiva il libro che ha come protagonista una delle figure più affascinanti della storia dell’Aviazione militare, in particolare tedesca, che, durante tutto il corso della II Guerra Mondiale, animò i cieli dell’Est Europa. Essa porta il nome altisonante di: Hans Ulrich Rudel.

Per inquadrare l’enormità di questo celebre pilota sarà sufficiente riepilogare in modo asettico i numeri che lo riguardano:

– 2530 missioni di bombardamento in picchiata, attacco al suolo, caccia-carri e ricognizione

– 519 carri armati distrutti (prevalentemente T34 russi) e 150 circa, tra cannoni contraerei e controcarro

– 800 circa, mezzi di trasporto e blindati non meglio definiti

– 11 vittorie aeree (caccia o comunque velivoli da combattimento)

– 70 mezzi da sbarco affondati

– 1 cacciatorpediniere, 2 incrociatori e 1 corazzata (la Marat) affondati

– centinaia di ponti, bunker e linee di rifornimento nemiche

A fronte di questi numeri impressionanti, Adolf Hitler in persona volle decorare Rudel con un’onorificenza appositamente coniata per lui, pertanto egli è ricordato quale unico militare tedesco, fra tutte le armi, ad aver ricevuto la:

 Croce di Cavaliere della Croce di Ferro con Fronde di Quercia in Oro, Spade e Diamanti.

onorificenza Rudel
La decorazione, unica, mai concessa ad un militare tedesco, fu consegnata personalmente da Hitler il 1 gennaio 1945 nel corso di una brevissima cerimonia, presenti i Capi di Stato Maggiore di Marina, Esercito e, ovviamente Aeronautica, certo Hermann Goering, che – racconta Rudel nel suo libro – gongolò giulivo. Per inciso, Berlino era sotto continui bombardamenti alleati, i russi stavano per compiere l’assalto finale, la guerra era irrimediabilmente perduta ma Goering si pavoneggiava davanti ai suoi colleghi delle altre forze armate perchè un suo uomo aveva meritato la più alta onorificenza!?

Rudel fu un soldato instancabile e incorruttibile: benché i suoi comandanti e lo stesso Fuhrer tentarono più volte di allontanarlo dal fronte con incarichi meno pericolosi – e a più alto contenuto propagandistico -, egli volò sul fronte ininterrottamente dall’alba al tramonto, tutti i giorni del conflitto in cui fu possibile alzarsi in volo; compì innumerevoli sortite anche nello stesso giorno, sempre in prima fila, pilotando principalmente uno Stuka e, per una parte della sua carriera, al comando del suo stormo, il famoso StukaGeschwader 2 Immelmann, soprannominato anche “circo Rudel” a seguito delle funamboliche missioni che svolse questo reparto.

Non lo fermò una grave forma d’itterizia, ferite varie, l’amputazione di una gamba fin sotto al ginocchio, i numerosi abbattimenti provocati dalla contraerea russa e talvolta dalla caccia, la rocambolesca fuga dalle linee nemiche con annessa ferita alla spalla e neanche la taglia di centomila rubli che Stalin pose sulla sua testa.

Ma “l’aquila del fronte dell’Est” – così fu soprannominato Rudel – non appartenne alla schiera dei “nobili” piloti da caccia, ossia a coloro che nel corso di un sola missione riuscivano ad abbattere anche più velivoli avversari (magari lenti e poco difesi com’erano i bombardieri russi), no, egli è ricordato come un asso della Luftwaffe (l’Aeronautica Militare tedesca) nella specialità del bombardamento in picchiata, della caccia ai carri armati e di supporto alle truppe di terra.

rudel in cabina
Uno scatto che riprende l’asso della Luftwaffe a bordo – probabilmente – del suo amato Stuka. In effetti Rudel effettuò diverse missioni pilotando anche il famoso Focke-Wulf FW 190 nella versione cacciabombardiere ma non vi si trovò mai a suo agio come con lo Junker Ju-87 Stuka. Nelle pagine del suo libro racconta di averne utilizzati anche più di uno durante la stessa giornata in quanto rientrava dalle sortite con il velivoli talmente messi male in arnese da non poterli utilizzare per la sortita successiva.

Il nome di Rudel è infatti legato in modo quasi inscindibile a quello dello Junker Ju-87 Stuka, una macchina da guerra inizialmente formidabile che Rudel rese strepitosa quando sembrava ormai fin troppo superata. Nato come bombardiere a tuffo (l’unico velivolo, fra tutti quelli utilizzati dai belligeranti del II conflitto mondiale, che poteva eseguire picchiate pressoché verticali), era dotato di aerofreni e di un sistema che lo rimetteva automaticamente in volo orizzontale qualora il pilota fosse svenuto a causa della violenta richiamata. Ebbene, Rudel ne esaltò le doti di precisione, precursore di quello che, oggi, chiameremmo “bombardamento chirurgico”; durante la Battaglia d’Inghilterra, quando, i violenti scontri con i caccia della RAF, ne dimostrarono la vulnerabilità a causa della sua lentezza e della sua limitata manovrabilità, sempre Rudel credette nella sua riconversione in Kanonenvogel (letteralmente: uccello con cannoni), ossia in un micidiale  velivolo anticarro tanto da trasformarlo nel peggior incubo dei carri armati sovietici.

juka rudel 01
Ecco la versione “Knonenvogel” (caccia-carri) del famoso Stuka utilizzato da Rudel sul fronte dell’Est. Si noti la caratteristica mimetizzazione maculato bianca, ideale per il terreno nevoso in cui operò. La capacità operativa di questo velivolo – racconta Rudel – era spesso consentita dai pneumatici decisamente più larghi di quelli installati sugli altri velivoli della Luftwaffe schierati sul fronte russo. Questa particolarità permetteva agli Stuka di potersi muovere anche sulle piste fangose di molti aeroporti.

 

Insomma, Hans Ulrich Rudel fu un guerriero indomabile e instancabile, un esaltato professionista di morte, un impavido stacanovista del combattimento aria-terra, il soldato perfetto del III Reich: resistente alla fatica fisica e psichica, al dolore, alla fame, al freddo.

Eppure, leggendo l’inconsueta prefazione del libro a cura dei suoi genitori, certo reverendo Johannes e mamma Martha, comprenderemo che la guerra provocò in lui una sorta di metamorfosi kafkiana. Così lo ricorda la genitrice:

[…] era un fanciullo delicato e nervoso.

Fino all’età di dodici anni dovetti tenere la sua mano durante i temporali.

Sua sorella maggiore era abituata a dire: “Uli non sarà mai niente di buono nella vita: ha paura di andare in cantina da solo!”.

Proprio questa paura e fragilità spinsero Uli sulla strada del coraggio e della tenacia.

Egli si dedicò agli sport e talvolta trascurò i suoi doveri di scolaro[…]

E per fortuna! … ci viene da commentare.

D’altra parte, anche la sua carriera militare cominciò in modo assai stentato, tra enormi difficoltà. Le sue capacità di pilota verranno giudicate così insufficienti dai suoi istruttori al punto da relegarlo, durante la campagna di Polonia e di Francia, a semplici voli di ricognizione mentre non verrà ritenuto sufficientemente “allenato” per l’impiego operativo durante le ultime fasi della Battaglia d’Inghilterra. Poi, d’un tratto ecco che la larva diventerà libellula.

Rudel, nel libro, lo spiega così:

[…] tutto ad un tratto, dopo un mese esatto, un bel mattino mi dico: “Basta, adesso ho capito tutto! A cominciare da oggi farò del mio cassone tutto quello che vorrò!”. E così faccio.

I miei due istruttori rimangono sorpresi; adesso possono svolgere tutto il programma di addestramento trascinandomi in tutte le figure acrobatiche: resto letteralmente incollato ai loro apparecchi sia che si tratti di un looping, di una picchiata o di un rovesciamento. Quanto alle bombe, le piazzo tutte entro un cerchio di dieci metri e, negli esercizi di tiro a volo, raggiungo novanta bersagli su cento colpi. Per farla breve, sono arrivato al punto “giusto” e mi si promette di lasciarmi partire per il fronte [..]

Ju 87 cacciacarri
Un bellissima inquadratura a terra di uno Stuka equipaggiato dei famosi due cannoni BK 37 da 37 mm che lo resero una formidabile piattaforma di tiro controcarro. In realtà – spiega Rudel nel libro – non era così facile distruggere i carri armati sovietici in quanto fortemente corazzati. L’unica speranza di averne ragione era di colpire le parti meno protette come la posteriore (ove era alloggiato il motore). Già le fiancate erano più ostiche anche se, contendo il carburante o il munizionamento, se perforate, provocavano l’esplosione quasi immediata del mezzo.

Dopodiché nascerà il mito Hans Ulrich Rudel.

Aggiungere altro a proposito di questa icona del mondo dell’aviazione militare lo riteniamo oltremodo superfluo. Certo è che la lettura di questo libro indurrà nel lettore una morbosa curiosità nel sapere di più e nel conoscere le sorti di Rudel dopo la fine della guerra. Almeno a noi così è accaduto … e ne abbiamo scoperte di aspetti interessanti – credeteci -.

Dal punto di vista squisitamente letterario – dobbiamo ammetterlo – l’editore Longanesi, nel lontanissimo 1958, non avrebbe potuto inventare titolo più azzeccato per sintetizzare il contenuto di questo volume che ha un solo protagonista, unico e incomparabile; né sarebbe mai riuscito a trovare un appellativo più consono da affibbiare al nostro asso: ”Il pilota di ferro”.

Noi – certi di non esagerare – avremmo optato per Il pilota d’acciaio o qualunque altro metallo/lega di metalli purché ad alta resistenza … ad ogni modo, anche il ferro è comparabile alla tenacità, alla duttilità, alla durezza e anche tutte le altre proprietà tecnologiche dimostrate dal teutonico Hans.

il pilota di ferro - copertina 02
Una delle varie copertine che ebbe “Il pilota di ferro” nel corso delle varie edizioni pubblicate dall’editrice Longanesi. La foto propone un improbabile gruppo di ben sei Stuka in picchiata, tutti perfettamente uguali, tutti con le stesse ombre, tutti con lo stesso angolo di discesa … si tratta evidentemente di un fotomontaggio di scarsa qualità … e dire che le immagini che ritraggono gli Stuka in azione non dovrebbero essere mai mancate  perchè fu molto fotografato sui fronti – praticamente tutti – in cui operò

Tornando al libro – occorre ricordarlo – quando uscì in Italia, ebbe un notevole successo tanto che la copia in nostro possesso – cartonata con rilegatura rifinita – riporta la dicitura. “terza edizione”. Inoltre fu riproposto successivamente in almeno due versioni dei celebri Super Pocket, sempre dalla stessa casa editrice e, giusto nel 2006, l’Editoriale Domus pensò bene di offrirlo ai lettori della sua rivista Volare, all’interno di un cofanetto intitolato: Eroi del cielo. Per inciso, gli altri due volumi erano: Io sono il Barone Rosso di Manfred Von Richthofen e La grande giostra di Pierre Clostermann.

Infine, giusto nel 2011, l’Associazione Culturale Sarasota ripubblicò il diario di Rudel tale e quale all’originale ma sotto le mentite spoglie di: L’asso degli Stuka, segno evidente di un certo interesse editoriale nei confronti di questo volume.

Se poi consideriamo che libro di Rudel fu pubblicato in diverse lingue (sicuramente in inglese, francese, e spagnolo) oltre che al tedesco e all’italiano, appare evidente che questa autobiografia – o almeno così ufficialmente dichiarata – deve considerarsi a tutti gli effetti un classico della letteratura aeronautica mondiale, uno di quei volumi che gli appassionati di aviazione hanno letto almeno una volta nel corso della loro esistenza o che, più verosimilmente, custodiscono in bella mostra nella loro libreria.

stuka pilot
Ecco la copertina della versione “americanizzata” del libro di Rudel

In verità, attorno a questo volume aleggia un piccolo mistero che una nostra breve indagine editoriale ha presto dipanato e di cui intendiamo rendervi partecipi, non certo per sminuire la figura del “pilota” Rudel, semmai per ridimensionare quella dello “scrittore” Rudel. Di sicuro per rendere giustizia storica a questo libro.

Ebbene, se per l’edizione italiana si deve concedere merito al lavoro di traduzione di certo colonnello Corrado Ricci, è pur vero che non ci è dato sapere ufficialmente da quale volume in particolare fu tradotto: molto stranamente l’editore se ne dimenticò; tuttavia, la risposta è presto trovata … si tratta del libro intitolato: Stuka pilot, pubblicato per la prima volta nel ’57, in inglese, negli Stati Uniti e poi diffuso in tutto il mondo editoriale di lingua anglo-americana.

il pilota di ferro copertina superpocket
Grazie ai Superpocket, alla Longanesi deve essere riconosciuto il merito di aver reso disponibile una notevole quantità di volumi a prezzi decisamente abbordabili e dal formato davvero tascabile. “Il pilota di ferro”, probabilmente, fu uno di quelli di maggior successo. Qui la copertina di una delle due edizioni pubblicate secondo questa formula.

E fin qui, l’alone di mistero è ben sottile; diventa invece più torbido nel momento in cui scopriamo che, purtroppo, si trattò solo di una rielaborazione – non sapremmo dire quanto “addomesticata” – della prima versione del libro di Rudel avente invece titolo: Trotzem, pubblicato nel novembre 1949, dall’editore Durer-Verlag di Buenos Aires, Argentina.

Ora, cosa ci facesse il nostro ex cacciatore di carri armati in Argentina … beh, ve lo lasceremo scoprire nel corso delle vostre ricerche. A livello editoriale rimane però un dato certo: non sarà dall’edizione originale – quella più verace – bensì da quella edulcorata secondo il cattivo gusto tipicamente statunitense, che verranno derivate tutte le edizioni tradotte nelle altre lingue, ivi compresa quella in francese. Edizione che, peraltro, si fregerà di una prefazione a cura proprio del famoso Pierre Clostermann, asso della caccia francese e divenuto amico di Rudel dopo la guerra.

JUNKERS JU 87 - cacciacarri visto da sotto
Una foto spettacolare che ritrae uno Stuka dal basso e in virata. Si può notare la particolare forma in pianta dell’ala e, soprattutto, i pod subalari che contengono i famosi cannoni controcarro, terrore dei carri armati sovietici. Il realtà – sempre secondo il racconto di Rudel – lo Stuka anticarro doveva sempre operare in combinazione con gli Stuka bombardieri in picchiata in quanto le colonne corazzate russe erano  protette letteralmente da una nuvola di cannoni antiaerei. Distrutti quelli, o comunque ridotta l’azione della difesa contraerea, lo Stuka-cannone poteva prendersi cura dei carri. Rudel non fu per nulla un pilota suicidda – come maldestramente riporta il sottotitolo della copertina del libro Longanesi – ma aveva semplicemente messo a punto una tecnica di attacco intelligente e funzionale. Rischiosa – non c’è che dire – ma tutt’altro che suicida.

Questa lunga premessa è doverosa in quanto pone sotto una luce ben diversa il Pilota di ferro: non una composizione genuina bensì un testo manipolato ad arte da qualcuno – probabilmente un giornalista professionista – cui va l’indubbio merito di aver reso estremamente scorrevole – per non dire avvincente – il racconto di Rudel. Beninteso, le imprese narrate sono tante e tali che, probabilmente, anche lo stesso sedicente autore ne avrebbe fatto un testo “onesto” sebbene egli stesso confessi:

Durante gli anni dell’Humanistiche Gymnasium che frequento, perché mio padre ritiene necessari alla mia educazione latino e greco, passo per varie scuole, a seconda degli spostamenti imposti dall’esercizio dell’apostolato paterno.

[…] Dovunque approfitto delle ore libere o delle vacanze per dedicarmi allo sport, anzi, per essere più esatti, a tutti gli sport.

Decathlon in estate, sci in inverno, sono la mia passione […] i miei compiti scolastici soffrono di questa attività. Alla meno peggio, m’avvicino tuttavia alla licenza […].

A ben capire l’autore non era certo un letterato né un fine scrittore tuttavia, la conferma che il suo libro non fu tutta farina del suo sacco – anzi, tutt’altro – viene dalle frequenti “bordate” contro il bolscevismo, la megalomania dei Russi e il loro malcelato desiderio di supremazia assoluta.

Ora, benché Rudel si dichiari animato dai nobili principi della sportività, è facilmente intuibile che non nutrisse simpatia per i russi … anche perché, ad onore di cronaca, li combatté per buona parte della sua carriera militare tuttavia, appare molto stridente la sua affermazione – o di chi per lui, permetteteci di insinuarlo – secondo cui l’offensiva della Germania contro “Ivan” fu preventiva. Insomma – sostenne il pluridecorato pilota da bombardamento – Hitler fu costretto a lanciare l’operazione Barbarossa (l’attacco all’URSS) per non essere sopraffatto da forze preponderanti, ben armate ed equipaggiate che da anni si stavano preparando all’invasione dell’Europa Orientale – almeno -, Centrale – possibilmente -, e magari addirittura Occidentale. Una decisione disperata, l’unica che avrebbe lasciato qualche speranza di vittoria alla piccola Germania contro il colosso bolscevico.

Un alibi inverosimile? Farneticazioni? Forse per Rudel no, di certo neanche per chi – sicuramente statunitense – usò con sottile perfidia il libro del tedesco per inoculare nei lettori una subdola propaganda antisovietica.

Ad ogni modo, comunque sia andata davvero, sarà la storia a stabilire la veridicità di questa congettura. Certo la stonatura letteraria c’è ed è innegabile.

A10 Thunderbolt II
Il Fairchild-Republic A-10 Thunderbolt II, il velivolo statunitense costruito attorno al cannone GAU-8 Avenger da 30 mm a sette canne rotanti, l’unico velivolo moderno davvero specializzato nell’attacco al suolo e nella lotta anticarro. Secondo il sito web: https://alchetron.com/Hans-Ulrich-Rudel-770328-W, il programma di sviluppo di questa formidabile macchina da guerra tenne conto dei suggerimenti espressi da Rudel che in effetti, già nella parte finale del suo libro, accenna alle caratteristiche peculiari dello Stuka e dunque di un suo possibile erede. Non un velivolo veloce perché – spiegherà Rudel negli interrogatori cui lo sottoporranno dopo la sua resa – la mira è più sicura con un velivolo poco veloce piuttosto che con altri velocissimi come potevano essere i P-51 Mustang o i P-47 Thunderbolt. E’ intuitivo: se si vola lenti e stabili si riesce a scaricare sull’obbiettivo un gran volume di fuoco mentre le corazzature e i serbatoi carburante autostagnati renderanno meno vulnerabile il velivolo al fuoco di terra delle armi leggere

Occorre ricordare infine che il volume fu pubblicato in piena Guerra Fredda: c’era già stato il ponte aereo su Berlino, stava per essere costruito il muro di Berlino mentre la cortina di ferro era stata instaurata già da anni. Insomma quale occasione più ghiotta se non usare il libro del distruttore dell’”orda rossa” per lanciare strali contro il nemico comune?

In realtà – è bene ricordarlo – Rudel non nascose mai, durante e dopo la fine della guerra, le sue simpatie per la politica nazista o neo-nazista che dir si voglia. E infatti non ci ha stupito apprendere che nel ‘53, rientrato in Germania (allora Repubblica Federale Tedesca), egli si iscrisse al Deutsche Reichspartei (partito ultraconservatore di estrema destra), per poi presentarsi nelle sue liste come candidato di punta al Bundestag (il parlamento tedesco) senza però risultarne eletto.

Stranamente in Stuka pilot di idee neo-naziste non ce n’è traccia. E dire che, invece, l’altro suo libro, quello nella versione originale, non fu praticamente pubblicato in Germania tanto erano fresche le ferite di guerra causate dal nazismo, tanto erano chiare le frasi inneggianti al neo-nazismo. Insomma, era un libro indubbiamente scomodo, imbarazzante per il corso della nuova Germania … ma da qui a prendersela solo contro i russi, beh, un po’ ne corre – non credete? –

il pilota di ferro copertina 2
La seconda edizione dei Superpocket della Longanesi che riprende la copertina della prima edizione sempre dei Superpocket. Purtroppo il testo del libro è comunque quello tradotto in italiano dalla versione edulcorata e rielaborata negli Stati Uniti intitolata “Stuka pilot”

In tutta onestà qualche dubbio è nato in noi leggendo il pezzo giornalistico presente al seguente link:

http://www.centrostudilaruna.it/la-grande-menzogna-patriottica.html

In ogni caso, preferiamo concedervi questa occasione di riflessione, questo pretesto d’indagine storica e limitarci – per quanto ci riguarda – a valutare il “Il pilota di ferro” esclusivamente sotto il profilo letterario.

Ebbene, il libro si legge con sommo piacere, specie se ci si aspetta – come spesso accade per le autobiografie – una sorta di diario. Viceversa, la prosa è coinvolgente quasi come in romanzo di pura fantasia. Alcune frasi hanno una costruzione inconsueta e anche alcune parole sono ormai desuete ma rammentate che è stato scritto circa 60 anni fa … e questo è il fascino della narrativa d’epoca!?

L’elenco dei luoghi in cui si spostò Rudel con il suo reparto è davvero infinita e non avremmo disdegnato una cartina del fronte Est per seguirne i movimenti nè delle fotografie fuori testo che avessero mostrato almeno il protagonista nonchè i velivoli con i quali volò o si scontrò. Ma ce ne faremo una ragione.

La descrizione della varia umanità con cui Rudel entrò in contatto e di cui parla nel suo libro è spesso stringatissima e solo in alcuni rari casi si concede qualche eccezione.

La narrazione è asciutta, senza ghirigori o raffinatezze; appare come un testo giornalistico della lunghezza di un libro anzichè di un pezzo pubblicato in una rivista di settore. E – dicimocela tutta – tant’è!

In ultima analisi: è un libro da leggere e per il quale spendere qualche euro.

E concludiamo con uno dei motti degli Stuka pilots:

Non far nulla se non sei allenato a farlo

cui fa da contraltare l’aforisma ben più famoso coniato dallo stesso Rudel:

Solo chi si dà per vinto è veramente perduto.

Amen!

 



Recensione a cura della Redazione





La guerra nell’aria

la guerra nell'aria copertina

titolo: La guerra dell’aria

autore: Pierre Clostermann

editore: Longanesi & C.

anno di pubblicazione: 1964

ISBN: non disponibile





Pierre Clostermann ha scritto questo terzo libro per far conoscere alcune delle storie personali degli aviatori che hanno combattuto nei vari teatri operativi della Seconda Guerra Mondiale.

guerra nell'aria spitfire
Raramente accade di non dover commentare le foto presenti all’interno del volume. Stavolta lo ha fatto per noi lo stesso autore

guerra nell'aria me262
All’interno del volume si possono apprezzare dei trittici assolutamente impeccabili dei velivoli che sono protagonisti della narrazione. Questo è un Messerschmitt Me 262, uno dei primi caccia-bombardieri usati dalla Luftwaffe – l’Aviazione militare tedesca – verso la fine del II conflitto mondiale

Le storie sono state scelte “tra le decine di migliaia che resteranno nascoste negli archivi e nei cassetti”. Vi si parla di tutti, dei francesi (lui stesso faceva parte delle Forze Aeree Francesi Libere), degli inglesi, degli americani, dei canadesi, dei tedeschi, dei giapponesi. Ed è questo un elemento di enorme interesse per ogni appassionato di Aviazione, perché permette di scoprire le diverse realtà dell’impiego dell’aviazione in teatri bellici tanto diversi, sia per la mentalità dei popoli che per la posizione geografica dove i fatti si sono svolti. Si va dall’Europa al Pacifico, dai fiordi della Norvegia alle isole Hawaii. Molto interessante.

La traduzione è stata fatta da Corrado Ricci, il quale, almeno nell’edizione da me letta, ha curato anche una presentazione, una sorta di prefazione del libro.

guerra nell'aria copertina interna
La copertina interna del volume di Pierre Clostermann, l’asso degli assi della caccia francese nella II Guerra Mondiale che, tornato alla vite civile, esercitò la professione di ingegnere prima di sedere nel Parlamento francese per diversi mandati. A lui dobbiamo anche la fondazione della società di costruzioni aeronautiche REIMS Aviation che costruì su licenza diversi modelli di velivoli su licenza della CESSNA statunitense

Ed è proprio di questa presentazione che vorrei dire due parole.

clostermann a bordo
Ecco una bella immagine autografata che mostra l’autore del libro a bordo del suo Hawker Tempest soprannominato “Le grand Charles”. Da notare le crocette dipinte sulla fiancata del velivolo che riepilogano il numero di abbattimenti conseguiti da Clostermann. A questi andrebbero aggiunte numerosissime locomotive, cinque carri armati e addirittura due sottomarini

guerra nell'aria zero
Ecco l’inconfonbile sagoma del Mitsubishi ZERO. Scrive Clostermanna a suo prosito del caccia giapponese: “Lo ZERO fu per i giapponesi quel che lo SPITFIRE e il MESSERSCHMITT Me 109 furono per gli inglesi e i tedeschi. Il suo vero nome di famiglia era Mitsubishi A6M5 tipo 0 nell’ambiente della Marina imperiale giapponese; da questo gli derivò il suo primo soprannome ZERO datogli dagli americani che però non voleva avere alcun significato dispregiativo: anzi!”

Sembra che al traduttore abbia dato notevole fastidio che Clostermann (anzi, “il Clostermann”, come lo chiama lui nella prefazione…) nel corso del libro abbia omesso di sviscerarsi in ogni sorta di possibile elogio verso gli aviatori italiani, che hanno combattuto la stessa guerra con equipaggiamenti inadeguati, in numero sempre molto ridotto contro un nemico sempre soverchiante, armati soltanto di coraggio, cuore e spirito di sacrificio. Il che è anche vero. Gli aviatori italiani hanno scritto pagine di puro eroismo, ma questo Clostermann non lo nega, anzi lo lascia chiaramente intendere. Ma non dimentichiamo che Clostermann combatteva dalla parte degli alleati e contro i tedeschi e gli italiani insieme. Non vedo perché avrebbe dovuto dedicare una parte del libro all’eroismo italiano.

Il Ricci (mi prendo la rivincita di chiamarlo così) forse non si rende conto che lo scopo del libro non è quello di lodare un nemico che, ai suoi occhi, non ha proprio un ruolo di assoluto rilievo nelle vicende della guerra. Si potrà anche avere rispetto per un pilota che da solo, con un CR 42 va incontro ad una formazione di Spitfires e viene alla fine abbattuto, magari dopo aver abbattuto a sua volta qualche avversario. Ma sono episodi che rimpiccioliscono rispetto alle grandi battaglie condotte su larga scala. Clostermann giustamente ne parla, ma nella sua narrazione si riferisce soprattutto allo scontro tra alleati e tedeschi.

guerra nell'aria blenheim
Una delle fotografie originali che sono presenti nel libro “La guerra nell’aria”

Dice il Ricci: “Circa gli italiani, dal testo risulta che i piloti italiani combattevano goffamente…”.

OK. Magari la parola non sarà molto opportuna, ma cosa si deve dire di chi si trova a combattere con un velivolo come “la Caprona”, davvero goffo, se paragonato ad uno Spitfire, o anche ad un Hurricane.

Ho letto tutto il libro, con vivo interesse e senza mai provare il disagio o la stizza provata dal traduttore. Anzi, come sempre Clostermann riesce a descrivere gli avvenimenti trascinando il lettore e facendolo sentire come partecipe delle azioni descritte, quasi come se le vivesse egli stesso. Il che non è poco.

guerra nell'aria hurricane
Gli Hawker HURRICANE (letteralmente: uragano) che, assieme ai Supermarine SPITFIRE, costituirono la spina dorsale della caccia britannica. Difesero strenuamente i cieli meridionali dell’isola britannica dagli attacchi dei bombardieri tedeschi nel corso della Battagli ad’Inghilterra

E sinceramente, trovo che ovunque siano descritti gli italiani, a parte la descrizione del loro scarso equipaggiamento, non mi sembra che sia stato loro tolto alcunché.

la guerra nell'aria francese
La copertina del libro di Pierre Clostermann in lingua originale. La copertina della versione italiana, invece, non deve essere costata una grande faticha per chi ne ha curato la grafica: riprende in ordine decrescente di dimensione la vista frontale dei trittici dei velivoli presenti all’interno del volume … se non altro ci consente di comprendere quanto enorme fosse il De Havilland MOSQUITO britannico rispetto allo Yokosuka MXY-7 OHKA, soprannominato dagli statunitensi BAKA

 

Un gran bel libro, che consiglio di leggere. L’edizione in mio possesso è della Longanesi § C Milano. E’ una seconda edizione, non ha sovra-copertina e la copertina, rigida, è in tinta unita di colore verde.

Questo fa parte della collana “Il mondo nuovo” ed è il volume 67. Titolo originale francese: “Feu du ciel” mentre in inglese diventa: “Flames in the sky”.

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Recensione a cura di Evandro Detti (Brutus Flyer)


La grande giostra

Fuoco dal cielo

La guerra nell'aria





Il giorno dell’aquila

giorno dell'aquila - copertinatitolo: Il giorno dell’aquila

autore: Richard Collier

editore: Mursia

anno di pubblicazione: 1968

ISBN: non disponibile





Nella lingua tedesca Adler tag significa: “Giorno dell’aquila”.

Fu con questa parola in codice che il 13 agosto 1940 gli alti comandi della Luftwaffe, l’aviazione militare tedesca, diedero il via alla Adlerangriff o “Attacco delle aquile”, la prima grande operazione di attacco che – almeno nelle intenzioni – avrebbe dovuto smantellare la linea di difesa aerea britannica più avanzata. In effetti questa sarebbe stata solo la fase preliminare di un’operazione militare ben più articolata e distruttiva che aveva il nome in codice di Liechtmeer, in italiano “Mare di luce”. Il suo scopo era di annientare tutte le basi del Fighter Command (letteralmente “Comando Caccia”) della RAF – Royal Air Force, l’aviazione militare britannica, dislocate nella parte meridionale dell’isola britannica. A quel punto, conseguito il dominio dell’aria, Hitler avrebbe dato ordine di procedere ad una “eccezionale, coraggiosa iniziativa” che aveva il nome convenzionale di : “Leone marino”, ossia l’invasione terrestre della Gran Bretagna.

Il giorno dell’aquila (con sottotitolo: La battaglia d’Inghilterra) di Richard Collier, pubblicato nel 1966 con il titolo originale: “The eagle day. The battle of Britain. August 6 – September 15, 1940”, ricostruisce minuziosamente gli eventi verificatesi proprio in quel giorno fatidico nonché nei giorni immediatamente precedenti e seguenti, ossia nell’arco temporale in cui si consumò quella che viene ricordata come la battaglia aerea più imponente e sanguinosa della II Guerra Mondiale.

La versione italiana del libro giunta in nostro possesso, è basata sulla traduzione dall’inglese ad opera di certo Peter Bastogi e fu pubblicata, nell’ambito della collana “Testimonianze storiche tra cronaca e storia”, dall’editore Mursia nel lontanissimo 1968. Si tratta dunque di un volume piuttosto datato che si può trovare solo presso i venditori di libri usati o, preferibilmente, specializzati in aviazione, meglio se nella cosiddetta “militaria”.

Il giorno dell'aquila - II copertina
La sottocopertina del bel libro di Richard Collier, autore di numerosi libri sulla II Guerra Mondiale e di numerosi articoli pubblicati nel corso della sua lunghissima carriera da magazines britannici e statunitensi

Non ci è dato sapere se, all’epoca, il libro ebbe successo. Di sicuro – dopo averlo letto, s’intende – non ci sentiamo in animo di definirlo quale un classico della letteratura aeronautica mondiale benché inquadri un periodo storico e un’area geografica in cui ebbe luogo lo scontro più cruento tra le due aeronautiche militari europee tecnologicamente meglio dotate. Periodo di estremo interesse per chi è interessato a questioni di storia militare, dell’aviazione militare in particolare.

Eppure Richard Collier, londinese purosangue, classe 1924 e autore assai prolifico di saggi storici – uno dedicato anche a Mussolini -, affronta il suo compito con l’originalità espositiva e il ritmo incalzante che non sono abitualmente prerogative del saggio a carattere storico. Beninteso, “Il giorno dell’aquila” non è un romanzo di guerra ma neanche un susseguirsi cronologico e asettico di eventi; obbiettivamente può considerarsi la ricostruzione della Battaglia d’Inghilterra attraverso il racconto degli accadimenti – tra i più disparati – che videro come protagonisti una miriade di persone appartenenti ad entrambe gli schieramenti. Ne scaturisce un puzzle storico, frammentato eppure nitido, composto dai cento volti di uomini e donne, piloti da caccia ma anche semplici contadini che vissero – loro malgrado – quei giorni terribili quanto memorabili.

Inizialmente – lo riconosciamo – al lettore sarà difficile abituarsi all’espediente narrativo di Collier giacché non ci sono personaggi principali né secondari ma è tutto un susseguirsi di micro-eventi e di micro-personaggi racchiusi nell’arco temporale che va appunto dal 6 agosto al 15 settembre 1940 e collocati nella Gran Bretagna meridionale – terra e cielo -, Stretto della Manica – mare e cielo – e coste francesi – mare e cielo.

Il giorno dell'aquila - sovraccopertina
Il risguardo interno della II di copertina del libro “Il giorno dell’aquila” che riporta una breve sinossi e alcune informazioni relative all’autore

Ovviamente l’esito della Battaglia d’Inghilterra è noto ma leggendo il libro vi accorgerete che non fu poi così scontato. Da ambo le parti, s’intende. Sicuramente ne esce uno spaccato che conferma pienamente alcuni stereotipi universali come il carattere pragmatico e altezzoso dei britannici come pure quello martellante e schedulare dei teutonici.

La prosa del libro – neanche a dirlo – è fluida e piacevole, lo stile dell’autore è quello tipico dello storico navigato che sa alternare in modo armonico la narrazione in terza persona e i colloqui/affermazioni dei personaggi; preziose le 39 foto fuori testo; utilissima la cartina geografica relativa dell’Inghilterra meridionale nel 1940 con indicata tutta la miriade impressionante di aeroporti e stazioni radar.

Ottima la qualità di stampa in termini di carta e dimensioni dei caratteri anche se non ci è dato conoscere il prezzo di copertina.

Insomma un libro che abbiamo letto con piacere e che, a distanza di tanti anni risulta ancora vivo ed evocativo come solo i libri di storia sanno essere.  Quelli migliori, è ovvio. 



Recensione a cura della Redazione



Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

storia della guerra aerea - copertina

titolo: Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

autore: Ferdinando Sguerri

editore: Logisma

anno di pubblicazione: 2016

ISBN: 978-88-97530-82-4



Ci sono libri – pochi, purtroppo – che, appena sfogliati ti fanno esclamare: “Perché non l’ho comprato prima?”. Semplice: perché non esisteva ancora.

E’ il caso del volume intitolato:

Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

pubblicato “solo” nel novembre 2016 da Logisma, lodevole editore dell’area fiorentina che sta accrescendo sempre più la sezione aeronautica del suo catalogo in termini quantitativi oltre che qualitativi.

In effetti non possiamo recriminare granché nei confronti del suo autore, l’ex generale dell’Aeronautica Militare italiana Ferdinando Sguerri, che ha riunito in questo libro la bellezza di trentatré pezzi giornalistici già pubblicati nel corso degli anni nelle pagine di due importantissime riviste specializzate di aviazione. Semmai – potremmo obiettare – che avrebbe potuto pensarci prima – lui ma anche e soprattutto l’editore – perché questo è un libro che in sole 328 pagine approfondisce alcune vicende della storia dell’aviazione e dell’astronautica sicuramente meritevoli di essere raccontate; riesce a ricostruire aspetti ed episodi tra i più disparati con i dettagli e la dovizia di particolari come solo un’analisi postuma può consentire; è in grado di dissipare o, viceversa, consolidare supposizioni e congetture che caratterizzano all’incirca cinquanta anni di storia di volo del genere umano nell’atmosfera terrestre e circa venticinque nello spazio.    

Un esempio? … vi affascina la corsa alla Luna e come i russi la persero? Vi incuriosisce la storia del “Concordski”, imbarazzante clone del celeberrimo Concord? Non avete mai veramente compreso come e perché scoppiò la guerra in Vietnam? O magari vi siete sempre chiesti come Gheddafi riuscì a scampare nel 1986 al bombardamento statunitense di Tripoli e Bengasi? Vi tormenta la sensazione che l’attacco giapponese a Pearl Harbour avvenne – udite udite – con la complicità degli stessi americani? E, rimanendo in tema, vi domandate ancora se l’uso delle bombe atomiche fu davvero necessario per piegare la resistenza militare del Giappone?  Ebbene … in questo libro troverete tutte le risposte. A queste e ad altre domande similari. Le troverete espresse in un linguaggio semplice, giornalistico appunto, con un punto di vista obiettivo e storicamente ineccepibile, talvolta inedito sebbene suffragato da una bibliografia imponente.

Una lettura piacevolissima che farà la gioia dei curiosi o di coloro che intendono approfondire, che amano i dettagli e non si limitano alla “crosta”.

Non occorre aggiungere altro a proposito di questo validissimo volume: il titolo – oggettivamente molto lungo – è un’esauriente anteprima di quanto troveremo al suo interno. E se ancora non foste convinti della bontà del testo, beh … la IV di copertina vi fornirà informazioni altrettanto utili, comprese quelle che riguardano l’autore.

Storie della guerra aerea - IV di copertina
La IV di copertina dell’ottimo volume dell’ex generale Sguerri, pilota per professione, storico per passione

Degna di nota è invece la I di copertina che, sacrificata per metà dal chilometrico titolo, mostra una  splendida aeropittura di Marcella Mencherini intitolata “Aerosiluranti in azione”, conservata presso la “Casa dell’aviatore” a Roma.

Ottima la scelta editoriale di disporre i capitoli secondo l’ordine cronologico  degli eventi; validissima  l’idea di inserire foto e cartine a supporto del testo; ragionevole il costo di copertina; discutibile invece la dimensione dei caratteri di stampa che, salvo disporre di una vista aquilina – giusto per rimanere in tema aereo -, affaticano un po’ la lettura, specie di quei ragazzi molto molto cresciuti cui, inevitabilmente, finirà in mano il volume.

Un libro da leggere “random”, ossia da aprire a caso in corrispondenza ogni volta di un capitolo diverso perché non esiste una trama o un tema conduttore se non quello della storia.

In definitiva, permetteteci di esprimere all’editore un sincero plauso per aver creduto in questa operazione editoriale, pur consapevole che non conseguirà tirature da best-sellers; all’autore va invece il nostro ringraziamento per essersi cimentato in quest’opera di divulgazione e, in diversi casi, di approfondimento.

Chissà che in un prossimo immediato futuro non voglia cimentarsi con la disamina di altri avvenimenti “torbidi” che hanno visto come scenario il cielo e lo spazio. Per esempio … l’attacco aereo del 11 settembre alle Twin Tower di New York? La falsa missione NASA che avrebbe portato per la prima volta l’uomo sulla Luna? I voli segretissimi del velivolo “Aurora”, spesso scambiato per un UFO?  Ebbene … noi attendiamo fiduciosi altre:

Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto ( … ma stavolta) dal 1940 al 2017.



Recensione a cura della Redazione


Storie della guerra aerea, della corsa allo spazio e di ciò che (in proposito) non è mai stato detto dal 1940 al 1986

I disperati

i-disperati-copertinatitolo: I disperati – La tragedia dell’Aeronautica italiana nella Seconda Guerra Mondiale

autore: Gianni Rocca

editore: Arnaldo Mondadori editore

anno di pubblicazione: 1991

ISBN: 88-04-33826-1

pagine: 288




Ecco un altro libro, che ho letto di recente, degno di trovare un posto di rilievo nella libreria di tutti coloro che amano la Storia, quella vera.

Non conoscevo Gianni Rocca, ma avevo visto altri libri suoi. Questo è il primo suo libro che ho letto. E che ho apprezzato molto. Non si tratta di un’opera recente. E’ del Luglio 1991. Devo aver comprato questo volume in qualche bancarella, non ricordo dove né quando. Ma è stato per lungo tempo in uno scaffale della mia libreria, dove tengo i libri che ho intenzione di leggere. Era arrivato il suo turno e l’ho letto d’un fiato. E’ davvero interessante.

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La copertina dello splendido libro del giornalista Gianni Rocca. Davvero pertinente la scelta di unl’immagine del trimotore – probabilmente un Savoia Marchetti SM. 79 Sparviero – che, colpito irrimediabilmente, precipita in mare.

Come dice il sottotitolo, il libro riguarda “La tragedia dell’Aeronautica italiana nella Seconda guerra mondiale”. Su questo argomento avevo già letto un mucchio di libri, quindi conoscevo bene la storia, ma ho ripercorso volentieri la concatenazione degli eventi, sia per rinfrescare la memoria, sia per riconfermare alcune mie convinzioni.

L’autore, parte proprio dall’inizio, da quando l’Aeronautica era appena in embrione e non aveva neanche gli aerei su cui volare. Infatti il primo capitolo si intitola: “Aquile senza ali”. E poiché la storia dell’Aeronautica coincide con l’entrata in scena di Mussolini, il secondo capitolo si intitola appunto: “Mussolini pilota”. E continua parlando della storia aeronautica che si è svolta per tutto il famoso ventennio fascista. Non mancano, comunque, opportuni riferimenti all’epoca della Prima guerra mondiale, dei dirigibili e degli idrovolanti.

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I risguardi de: “I disperati” con la sinossi del volume nonchè la breve biografia dell’autore

Inizialmente si chiamava Regia Aeronautica, ma ben presto questa divenne un’Arma a sé stante, proprio ad opera di Mussolini. E’ molto interessante leggere quanta diplomazia fu necessaria per convincere Esercito e Marina a rinunciare ad una propria aviazione per crearne una unica, nuova forza armata a tutti gli effetti.

Il libro prosegue descrivendo, non solo la storia dell’Arma neo-costituita, ma anche quella dei personaggi che ne hanno guidato le sorti attraverso le note vicende, specialmente quelle belliche.

Per quanto riguarda le vicende della Seconda Guerra Mondiale, trattate in maniera davvero molto chiara, anche se necessariamente sintetica, l’autore mette in estrema evidenza gli errori strategici commessi, sia dagli Italiani che dai Tedeschi. E una volta di più ritroviamo la tracotanza, il pressapochismo, la mancanza di idee chiare e la prosopopea dei fascisti e ancor più dei nazisti.

In quelle vicende si possono riconoscere quelle odierne, che si snocciolano pari pari oggi come ieri, a conferma che nulla è cambiato, che la mentalità italica è oggi quella che era allora.

“Chi non impara dalla Storia è condannato a ripeterla”.

Infatti, se ci facciamo caso, la stiamo ripetendo. Sono poche le persone che conoscono la Storia. La maggior parte si lasciano permeare dai luoghi comuni, dalle frasi fatte, del tipo “Caro Lei, quando c’era Lui…”. Ma nel libro di Gianni Rocca, “Lui” non ne esce affatto bene, anzi… La sua figura e quella di tutto il fascismo si muovono sullo sfondo di una tragedia senza fine.

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La retrocoprtina che ritrae, secondo una tradizione molto “all’americana”, l’autore del volume

Attenzione però, occorre ben separare il regime, il governo, la monarchia di allora, dal popolo. E soprattutto bisogna distinguere, nel caso dell’Aeronautica, gli aviatori da chi ne ha determinato la sorte. La storia della nostra aviazione è soprattutto la storia di validi aviatori, personaggi eroici, che hanno compiuto atti eccezionali, con mezzi quasi sempre inadeguati. Quasi sempre sono stati mandati allo sbaraglio e al sacrificio, a volte per un semplice capriccio, per una sfuriata, per un atteggiamento di ripicca, di chi comandava da perfetto incompetente che si credeva un grande stratega.

Dopo aver letto questo libro che, come ho detto, è necessariamente sintetico, acquisiremo una conoscenza consequenziale dei fatti principali e tragici che segnarono quegli anni tanto che sentiremo il bisogno di approfondire ogni singolo argomento per una conoscenza più completa. Ecco spiegato il motivo per cui oggi io rimango sbigottito quando vedo, ancora oggi, gente che fa il saluto fascista o sostiene quelle vecchie idee con l’aria di chi la sa lunga, di chi sembra avere una sorta di nostalgia per tempi che non ha conosciuto. E che non conosce neppure attraverso la Storia.

Poi arriviamo all’otto settembre del 1943. E anche qui Rocca descrive gli eventi, mettendo in evidenza fatti che si commenterebbero da soli, ma la sua narrazione ci accompagna, ci fa comprendere la genesi e le cause del disastro totale avvenuto in quella data. L’Italia divisa in due, tanti eroi, veri eroi, piloti e non solo, che hanno sacrificato la loro vita da una parte e dall’altra. Questi eroi, dopo lo sfacelo della guerra, sono stati incriminati, uccisi vigliaccamente oppure buttati nel dimenticatoio. Perché dopo la guerra si voleva dimenticare il ventennio passato. Si voleva dimenticare la monarchia, il fascismo e tutti i drammi che avevano generato. E così sono stati dimenticati anche tantissimi autentici eroi.

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La copertina della versione edita da Castelvecchi attualmente in libreria 

Un libro che genera rabbia, perché porta a conoscenza di un’ignobile, lunga tragedia, che ha riguardato l’Aeronautica, ma anche la nazione intera. E che, a ben guardare, rischia di ripetersi, perché, come ho detto, gli elementi che l’hanno generata sono ancora presenti qua e là, non sono scomparsi.







Recensione a cura di Evandro Detti