L‘incidente nel quale ha perso la vita Angelo D’Arrigo ha lasciato tutti senza respiro. A distanza di anni, era il 26 marzo 2006, il vuoto incolmabile è ancora presente nei cuori di chi lo aveva conosciuto ed anche in quello di chi, come me, non lo aveva neanche conosciuto.
All’epoca, ricordo, avevo subito rivolto il pensiero verso la sua famiglia. Soprattutto pensavo a sua moglie, Laura Mancuso. Una donna che non conosco, ma della quale avevo conosciuto, attraverso la storia di Angelo, il coraggio senza fine con il quale si era opposta al destino ed era riuscita, lavorando senza sosta, a salvarlo dalla prigionia in Libia, dove ogni giorno poteva essere quello della sua esecuzione.
Lei aveva subito reagito, aveva sollevato il mondo, coinvolto gente importante, personaggi potenti. Attraverso di loro, idealmente, aveva esteso le sue mani oltremare, raggiunto suo marito nella squallida prigione dove era recluso, lo aveva afferrato, sollevato e riportato a casa.
Lei. Era stata lei a salvarlo.
Poi l’incidente. Una cosa assurda e irreversibile.
Un giorno mi è capitato tra le mani il suo libro. “In volo senza confini” sembrava la continuazione dell’altro: “In volo sopra il mondo”.
Ho comprato il libro.
Le prime parole sono: Questo è il libro che non avrei mai voluto scrivere.
Né io avrei mai voluto recensire.
Ma anche questo libro va letto. Ed è un dovere morale averlo. Fa parte di una storia che deve vivere per l’eternità. Ricordare è l’unica cosa che possiamo fare, visto che indietro non si torna.
Ovviamente Laura comincia con il ricordo dell’incidente e di quello che è accaduto dopo.
Ma poi parla della sua storia, ovvero della stessa storia che conosciamo già, ma vista attraverso i suoi occhi. Parla dei falchi, dei voli, dell’imprinting degli uccelli con i quali Angelo compiva le sue imprese. Racconta i voli, quello sull’Everest del 24 maggio 2004.
Poi riprende anche il discorso dei progetti che si erano interrotti e di come potrebbero essere continuati …
Laura parla della vita quotidiana, della vita familiare e di tante altre cose.
Ho letto questo libro. Quasi tutto. Anzi tutto, fino alla fine.
Però, devo ammettere che in parecchi punti ho dovuto, diciamo così … guardarlo.Ho dovuto scorrere con gli occhi, velocemente il testo, allo stesso modo di chi, a piedi nudi, dovesse camminare sulle braci. Veloce, per non scottarsi troppo.
Troppe volte viene fuori dalle pagine scritte la profonda ingiustizia che ha colpito questa straordinaria famiglia, questa donna eccezionale.
Tanti anni fa, ma proprio tanti, comprai un libro su una bancarella. Il titolo era: “Alta quota” e per questo aveva attratto la mia attenzione. Ad una prima occhiata avevo visto che si trattava di un libro sulla I Guerra Mondiale, scritto da un pilota vero, che vi aveva combattuto veramente come pilota di un biplano inglese Sopwith Camel.
Lessi quel libro più di una volta, ma questa è una prassi normale per me. Se un libro mi piace lo rileggo, ogni tanto.
Forse fu per questo motivo che un giorno, parlandone con un amico pilota, ebbi un momento di debolezza e glielo regalai. Un errore che commetto difficilmente. Di solito, se regalo un libro a qualcuno, glielo compro, non gli regalo un libro mio. Forse pensai che lo avrei potuto ricomprare, prima o poi.
Invece, nel corso degli anni seguenti, per quanto cercassi sulle bancarelle, non l’ho più ritrovato. Oltretutto quell’amico, dopo poco tempo lo regalò a un altro pilota. Non so se prima lo abbia letto o no, ma almeno l’altro pilota disse che gli era piaciuto moltissimo.
Non ho mai dimenticato quel titolo e neanche la copertina. Ero pronto a comprarlo a vista se lo avessi trovato, ma niente.
L’era di internet ha reso possibili anche questo genere di cose. Un giorno scrissi il nome dell’autore, Yeates, su Google e … paf! Trovai un libro diverso, ma che ricordava tanto quello che avevo avuto. Lessi la descrizione e ritrovai la storia intera. Il titolo, ora, era cambiato. Si intitolava: “Vittoria tra le nuvole”.
Lo ordinai online e mi arrivò a stretto giro di posta.
Sempre su Google ho trovato la storia dell’autore, nato a Dulwich, Inghilterra, nel 1897 e morto nel 1934. Era un amante della poesia e della natura. Nel 1917 entrò nel Royal Flying Corps, come pilota e andò in Francia a combattere contro i tedeschi. Volò per 248 ore su un biplano Sopwith Camel. Ebbe quattro incidenti, fu ferito due volte, conseguì cinque vittorie, il numero minimo per diventare un asso.
Alla fine della guerra tornò in Inghilterra, profondamente provato e distrutto, sia dal punto di vista psicologico che fisico. Infatti di lì a poco si ammalò di tubercolosi. Provò a curarsi per uscirne, ma all’epoca era difficile salvarsi da quella malattia. Tuttavia, per racimolare i soldi necessari alle cure, scrisse con fatica le sue memorie di guerra, un libro, questo libro, che fu pubblicato, ma non ebbe subito il successo sperato.
Yeates morì di tubercolosi prima che i proventi del libro gli consentissero di curarsi.
Il titolo originale era “Winged Victory”. In qualche manifesto ho trovato anche “Winged Victor”, una leggera deviazione per giocare con il suo nome, Victor.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, questo libro fu recuperato dall’oblio nel quale era caduto. I piloti della Royal Air Force lo riscoprirono e ne decretarono un enorme successo, perché era uno dei rarissimi racconti che riportava fedelmente i fatti e la quotidianità della vita del pilota di guerra. Yeates infatti non aveva inventato nulla. Aveva descritto le azioni militari come pure la vita di tutti i giorni e i discorsi, le feste, gli scherzi, le paure, le ansie e i momenti di relax nelle lunghe giornate in cui il maltempo li costringeva a terra. Li costringeva, cioè, a vivere senza rischiare di morire.
Yeates non aveva cambiato i fatti, ma neanche i nomi dei protagonisti con i quali aveva condiviso il periodo di guerra in Francia. I loro nomi sono tutti nel racconto, semmai, in qualche caso, aveva omesso il nome di battesimo o il cognome, designandoli semplicemente con uno dei due.
Il teatro di guerra è quello della Somme. Amiens, Arras, Vignancourt, Morlancourt, etc, nomi famosi di un teatro tragico. La Francia rievoca spesso quella zona, anche durante il Tour de France, quando vediamo i ciclisti scorrere su un paesaggio bellissimo, ma segnato qua e là da mausolei, monumenti, cippi e cimiteri che rievocano la guerra mondiale, sia la prima che la seconda.
“Vittoria tra le nuvole” si trova online anche con il vecchio titolo di: “Alta quota”. Basta ordinarlo per avere tra le mani uno dei migliori libri scritto da un pilota per un pubblico che non deve essere necessariamente costituito da piloti. Ma questi ultimi troveranno interessantissimo leggere anche le impressioni di pilotaggio del Camel, un aereo scorbutico, che entrava in vite all’improvviso, volava storto e scappava di mano alla prima minima distrazione. Ma, come dice Yeates, ci si abitua a tutto e alla fine questo carattere del Camel, non solo diventa familiare e non costituisce più un problema, ma aiuta il pilota a sottrarsi di colpo ai proiettili delle mitragliatrici dei caccia avversari. Una cosa non da poco.
Leggendo il libro si resta sorpresi di quanto, a quei giorni, i piloti fossero consapevoli degli interessi internazionali che avevano portato loro a dover combattere e morire. Nelle conversazioni compaiono spesso analisi ben precise della situazione politica del momento.
titolo: La coda di Minosse – La verità sulla spedizione Nobile
autore: Felice Trojani
editore: Mursia
anno di pubblicazione: 1964
ISBN: 8842531049 e 9788842531043
Nel 1928 l’aviazione mondiale, non solo quella italiana, impiegava aerei terresti, idrovolanti e dirigibili allo stesso tempo, in quanto non era ancora ben chiaro quale fra questi mezzi avrebbe preso il sopravvento sugli altri nel futuro.
Il pallone libero aveva ormai ceduto il posto ad altre forme di volo. Il motivo principale stava nella sua quasi nulla “dirigibilità”. Viceversa, proprio dall’intuizione che un pallone libero di forma allungata e più aerodinamica si potesse “dirigere”, scaturisce il nome di dirigibile.
Molti degli aviatori dirigibilisti, negli anni a venire, sarebbero passati all’aeroplano, conseguendo il brevetto per aeromobili ad ala fissa e diventando personaggi storici per eccellenza.
Umberto Nobile, però, era un ingegnere e cominciò con il costruire i primissimi dirigibili. Nel quartiere Prati, a Roma, nella stessa area che alcuni anni prima si era chiamata Piazza d’Armi e che era costituita essenzialmente da campi pianeggianti lungo il corso del Tevere, c’erano grandi capannoni dove parecchie persone svolgevano la loro opera quotidiana. Erano operai, impiegati, tecnici, ingegneri.
Uno di questi, neolaureato, si era presentato al capo dello stabilimento con la speranza di essere assunto. Si chiamava: Felice Trojani e ad assumerlo fu Umberto Nobile in persona.
Trojani portava gli occhiali da vista e all’epoca questo costituiva un handicap per chi avesse voluto volare come pilota di qualsiasi mezzo volante o anche come semplice equipaggio di volo.
Negli anni, però, lo sviluppo del dirigibile fu rapido e inesorabile. Uno dei primi dirigibili costruito in quelle officine da Umberto Nobile, da Trojani e dalla loro squadra, arrivò a sorvolare il Polo Nord, con a bordo il capo della spedizione Roald Amundsen. Il dirigibile era il N1-Norge.
L’eco dell’impresa portò al secondo tentativo con un altro dirigibile, stavolta con Nobile come capo spedizione e Felice Trojani come ingegnere membro dell’equipaggio, a dispetto del suo problema visivo.
Era il dirigibile Italia che si schiantò sul ghiaccio nel percorso di ritorno. La navetta si staccò e rimase sulla banchisa con alcuni uomini. Gli altri, quelli che in quel momento si trovavano all’interno dell’involucro del dirigibile, si dispersero nel cielo e non furono mai più ritrovati.
Una tragedia.
I superstiti restarono sul ghiaccio e furono salvati dopo tanti giorni da una nave rompighiaccio russa, dopo che alcuni aerei li ebbero avvistati, tra cui un idro italiano con a bordo due piloti del gruppo di Italo Balbo.
Felice Trojani, che era tra i superstiti, negli anni successivi, scrisse questo libro nel quale narra la storia intera. Una storia sensazionale che consiglio a tutti di leggere.
Il suo racconto inizia proprio dalla Piazza d’Armi, da Delagrange che annuncia il suo primo balzello con un aereo di legno e tela e prosegue fino a quando non andò in pensione, dopo aver progettato e collaudato altre macchine aeree, dirigibili e aerei. Narra la storia del naufragio e del recupero, le conseguenze che tutto ciò ebbe negli anni successivi, quando Nobile soprattutto dovette misurarsi con il regime fascista di Mussolini. Dal libro si può respirare l’atmosfera di quei giorni.
Occorre tenere presente che Trojani, in qualità di ingegnere, aveva progettato tutto quanto fu utilizzato durante la missione al Polo Nord, compresi gli hangar aperti e i piloni necessari all’attracco del dirigibile lungo le tappe del percorso. Anche la tenda, dove trovarono rifugio i superstiti dell’Italia, la famosa “tenda rossa” (che rossa non era affatto, come si apprenderà durante la lettura del libro), era stata progettata da lui.
Consiglio questo libro a tutti gli studenti di ingegneria. Ci troveranno soprattutto la mentalità di un ingegnere. Oggi, nell’era dei computer, conoscere quella mentalità è ancora determinante.
Nel libro c’è molto, molto di più di queste cose essenziali che ho appena detto.
Sul naufragio del dirigibile Italia di Umberto Nobile esistono metri cubi di libri; Nobile stesso ne ha scritti diversi … ma questo è veramente, se non il migliore come penso io, uno dei migliori.
Esistono sul mercato diverse ristampe e non dovrebbe essere difficile trovarlo.
Per quanto riguarda la storia della nostra aviazione, questo libro, alto più di tre dita e parecchio pesante, contiene ogni passo di un lungo cammino, dagli albori del 1900 e anche da prima, fino alla fine degli anni 70. Dentro c’è la storia di tanti personaggi, la storia di tanti mezzi aerei, dal pallone libero, al dirigibile, ai primi aerei ed idrovolanti fino ai jet dei giorni nostri. Ci sono avvenimenti di cui nessuno di noi ha mai sentito parlare, ma che hanno portato a decisioni cruciali che hanno determinato gli sviluppi di cui siamo invece bene a conoscenza. Anche quelli che riguardano le guerre, la prima e la seconda, e al loro esito.
D’Avanzo non racconta semplicemente la sua versione dei fatti. Il libro è pieno zeppo di documenti e fotografie, tabelle, resoconti, decreti, organici, etc.
Per un appassionato di storia, questo libro è una miniera.
Vi sono riportati fatti, riunioni, discussioni, manovre politiche, decisioni, litigi e avvenimenti, non sempre emblematici, che hanno piegato il corso della storia, non sempre nella migliore maniera per raggiungere gli obiettivi più ottimali. Anzi.
Il mio collega Alfredo Stinellis, l’autore del libro “Storia di un aeroporto”, nel consigliarmi questo libro, mi disse una frase che non ho più dimenticato: “Leggendo qua e là, in alcune parti, ci sono discussioni e litigi che mi sembra di sentire echeggiare per le sale e i corridoi del Ministero dell’Aeronautica”.
Confermo. A volte pare proprio di sentirle quelle urla, quelle voci, nei locali del Ministero.
Il Ministero lo conosco molto bene. Ci ho fatto servizio per nove anni, conosco quei locali e alla mia epoca ho assistito anche a certi tipi di discussioni.
Dalle pagine del libro sembra di sentire uscire le voci di tanti, ufficiali, gerarchi o politici che in quei locali hanno determinato la storia, nel bene e nel male.
Ma naturalmente l’autore non parla soltanto del Ministero. Parla di tutto il teatro immenso dove si è svolta la storia, il Mediterraneo, l’Africa, orientale ed occidentale, l’Europa, L’America … il mondo intero.
Ora voglio aggiungere un’aspetto importante.
D’Avanzo ha un modo suo di scrivere. Le sue frasi sono lunghe, a volte lunghissime. Spesso bisogna tornare indietro per rivedere l’inizio della frase allo scopo di comprendere il resto. Sa usare la punteggiatura, ma non la usa se non è strettamente necessario. Diciamo che un libro di queste dimensioni, dove si è costretti a rileggere le frasi più di una volta per capirle, dovrebbe essere pesante. Invece no. Non è mai pesante. Gli avvenimenti che riporta sono talmente avvincenti che tutto diventa leggero. E’ un piacere leggerlo.
Noi conosciamo solo alcuni pezzi della nostra storia aeronautica, quelli che più hanno stimolato la nostra attenzione perché messi in rilievo dai media. Ebbene, qui troviamo la loro genesi. Finalmente possiamo sapere perché le cose sono andate così.
Per chi non sia particolarmente ferrato in storia, sarà sorprendente vedere delinearsi un diverso profilo di personaggi che conosciamo sotto una luce diversa. La propaganda presentava tutto nel modo più ottimale per il regime, ma i fatti, dei quali possiamo ormai conoscere l’intero sviluppo dall’inizio alla fine, sono diversi. E diversi, sorprendentemente diversi, appaiono oggi quei personaggi.
Così, vedremo emergere la bassezza di coloro che pensavamo fossero grandi. E la grandezza di coloro che erano grandi davvero, ma che il regime teneva nell’ombra, per timore del confronto.
Le trame di questo tipo erano una costante e lo sono anche oggi.
C’è un altro elemento in questo libro. La connessione tra la politica, l’ambiente militare e l’industria.
“Ali e poltrone”, pur riguardando essenzialmente l’aeronautica, andrebbe utilizzato come libro di testo in molti corsi per aspiranti manager. Sarebbe utilissimo anche a chi frequenta il corso di laurea in Scienze politiche. Nulla è cambiato, il suo contenuto è assolutamente attuale, in linea di principio.
Una nota dolente: il libro è quasi introvabile. Tuttavia si può riuscire ad averlo frequentando i soliti mercatini, oppure su internet. Ogni tanto ne spunta uno a qualche asta online. Il mio l’ho avuto così.
Non poteva avere titolo più benaugurale il romanzo di esordio di Alessandro Soldati edito nel 2014 dalla Società Editrice “Il Ponte Vecchio” di Cesena, anche se, in verità, non ci è dato sapere se questo volume di 261 pagine, estremamente curato nell’allestimento grafico e tipografico, abbia riscosso un rilevante successo di vendite o goda del totale apprezzamento dei lettori che lo hanno acquistato … tuttavia possiamo rivelare che a noi è piaciuto – e molto anche – benché stalli improvvisi e virate non coordinate (tanto per rimanere in tema aeronautico) contraddistinguano questo volo letterario. Ma andiamo con ordine: anzitutto la trama.
Sanzio Ottaviani è un tardo adolescente diciottenne che ancora non sa cosa vuol fare da grande. Il classico diplomato giuggiolone, momentaneamente occupato (non senza grandi sofferenze) presso il mobilificio dove già suo nonno ha lavorato e tuttora suo padre lavora con grande entusiasmo. Il babbo e il nonno, non certo Sanzio.
Lui invece, attorniato da una frotta di amici e di amiche, è un vero buontempone perdigiorno dalla mente arguta che trascorre le sue giornate tra il bar del paese, il mobilificio, le balere della zona e, nelle ore dei pasti, alla tavola dei suoi genitori.
Questo fino a quando, non si imbatterà in un provocatorio cartello pubblicitario affisso sul muro antistante il bar ARCI-Casa del popolo che riporta l’esortazione:
VIVI IL CIELO DA PROTAGONISTA.
Ebbene, in quel preciso istante la sua esistenza cambierà completamente perché verrà folgorato dall’idea di arruolarsi in Accademia Aeronautica e diventare dunque pilota militare.
Ed è proprio da quell’istante che prende davvero avvio il romanzo perché è quello il perno principale su cui ruota la sua idea di base.
In realtà esso si sviluppa su due piani narrativi che si sovrappongono e si attorcigliano anche in termini temporali sicché, oltre alla vicenda principale di cui sopra, incontriamo all’inizio del libro due sedicenti piloti italiani impegnati in una missione di foto-ricognizione durante la guerra nei Balcani mentre al termine del volume, dopo essere incappati in alcuni flash che ci aggiornano circa l’evoluzione della missione, ecco giungere l’epilogo con la voce narrante di Andrea, il grande amico di Sanzio, al quale l’autore affida l’ingrato compito di chiudere le due trame fin lì tessute.
I personaggi.
Escluso Sanzio quale indiscusso personaggio protagonista, gli altri si possono considerare alla pari, ossia ritratti con pennellate e caratterizzazioni che costituiscono una buona parte del successo di questo romanzo. Sono personaggi naif, improbabili eppure verosimili che – ne siamo certi – si possono incontrare anche oggi nei tanti bar della profonda provincia emiliana. Che dire? … spassosissimi, grotteschi, surreali, vere perle di narrativa seminate tra le pieghe delle pagine di questo romanzo. Sembrano usciti dalla macchina da ripresa di Pupi Avati nel film “Gli amici del bar Margherita”, altri ancora somigliano a quelli capitanati da Claudio Bisio nella pellicola “Bar Sport”, versione cinematografica dell’omonimo romanzo di Stefano Benni. Forse appaiono figure stereotipate e, se vogliamo, estremizzate … ma non stentiamo a credere che abbiano popolato realmente la vita dell’autore.
Ambientazione.
La maggior parte delle azioni si svolgono nel paese natale di Sanzio – non meglio precisato, ma supponiamo essere il medesimo dell’autore, ossia San Mauro Pascoli in provincia di Cesena – con puntate a Firenze, Latina, Cervia e, ovviamente i cieli della Bosnia.
Merita una nota a parte l’esperienza traumatica di Sanzio a Napoli: un vero numero da cabaret!
Per quanto riguarda le date non c’è un’indicazione precisa ma supponiamo che le vicende narrate si svolgano a cavallo degli anni ’80-’90.
I contenuti
Anche se il romanzo apparirà in diversi punti alquanto ridanciano, vezzoso e tragicomico, in realtà si tratta di un testo che contiene diversi “pezzi” di spessore tanto da renderlo ricco di contenuti assolutamente pregevoli oltre che assai divertente.
Tra tutti il racconto – purtroppo di ordinaria quotidianità – di come un’azienda assai prospera, seppure gestita con metodi apparentemente antiquati ma funzionali (il semianalfabeta anziano padre), possa essere annientata nel giro di poco tempo dal nuovo management (il quarantenne figliolo laureato in gestione aziendale con tanto di master). Oppure considerazioni alquanto amare circa la gerarchia militare, il falso pacifismo, i militari in quanto portatori di divisa.
D’altra parte l’autore lo dichiara con chiarezza nella prefazione:
“Quello che hai in mano non è un romanzo sugli aeroplani e sugli aviatori che ci stanno dentro. […] Io ho preferito raccontare coloro che stanno “dentro” gli aviatori. […] Siccome si parla di persone, alla fine, in questo mio cimento letterario si ride, si piange, si scherza, si fa sul serio parecchie volte, si sbagliano giudizi e si prendono persino cantonate.
Cos’altro aggiungere?
Giudizio globale.
Il romanzo è così intriso di ironia che si legge che è un piacere seppure, nelle prime pagine, stenti molto a decollare (sempre rimanendo in tema aeronautico). Per essere sinceri, giunti alla terza pagina, ci siamo visti costretti a compiere il gesto più catastrofico – per l’autore, s’intende – di cui abbia facoltà un lettore: saltare a piè pari l’intero capitolo (quello stampato in corsivo con la missione di foto-ricognizione). Ciò nella speranza che il successivo fosse meritevole di essere letto. E così è stato: la frase VIVI IL CIELO DA PROTAGONISTA ha schiuso a noi un altro romanzo, dallo stile completamente diverso, una narrazione fluida e piacevole, una storia accattivante che alla seconda pagina ci ha strappato il sorriso e che ci ha ben disposto per tutte le successive. Noi come qualsiasi altro generico lettore.
Ma se non avessimo compiuto quell’atto di buona volontà? … in quelle misere tre pagine si sarebbe compiuto il tremendo destino di Andrà bene di sicuro: una libreria polverosa dalla quale difficilmente sarebbe stato riesumato per una seconda lettura. Con grave danno per l’autore ma anche per noi lettori che ci saremmo privati di un così bel romanzo.
A questo punto viene da chiedersi: perché? Possibile che il buon Alessandro Soldati non abbia mai frequentato un straccio di corso di scrittura creativa? Possibile che il suo editore, il correttore di bozze, gli amici cui ha fatto leggere il manoscritto non abbiano avuto il coraggio di svelargli che l’inizio della sua opera è lento, pesante, criptico? E sì che anche i manuali più improbabili che insegnano a scrivere un romanzo esortano furbescamente a elaborare un inizio scoppiettante, accattivante al punto da catalizzare la curiosità del lettore affinché legga il romanzo, pagina dopo pagina, fino alla fine. Le prime tre pagine – per essere chiari – sono quelle che decidono le sorti di un’opera letteraria. E’ una sacra regola della narrativa.
Certamente non si può pretendere che il nostro fido autore sia edotto circa la fine arte scrittoria – in fin dei conti è al suo romanzo di esordio e qualche sbavatura gli va perdonata – tuttavia, rimanendo sempre in ambito aeronautico, qualunque pilota sa che un buon volo comincia da un ottimo decollo, dunque perché mai un ottimo pilota – come sappiamo essere Alessandro – è decollato in modo così stentato? … insomma: un terribile errore di strategia che da un autore avvezzo a manovre di attacco e contromisure non ci saremmo mai aspettati.
Tornando invece al concetto di romanzo di esordio, ebbene: Andrà bene di sicuro rispetta in pieno il dogma della narrativa secondo il quale il primo romanzo di un autore è sicuramente ad alto contenuto autobiografico. In questo niente di male, per carità, tuttavia, archiviato il successo dell’ottimo esordio, ecco la vera sfida: riuscirà il nostro autore a ripetersi in un secondo romanzo e poi in un terzo e così via? … noi glielo auguriamo di tutto cuore perché il suo stile ironico ci affascina e ci rallegra l’animo, i suoi personaggi macchiettistici ci rendono più fiducosi nei confronti dell’umanità e le sue storie, anche se attraversano per metà il mondo del volo – militare, per inciso – mostrano aspetti che generalmente sfuggono ai più mentre per l’altra metà descrivono persone comuni che vivono marginalmente il mondo del volo.
Un altro aspetto che ci è saltato agli occhi – e non siamo certo dei puristi della grammatica – è l’uso intensivo delle maiuscole praticato dall’autore. Forse a noi sfugge il recondito significato ma, ad esempio, nel periodo: “Sì, l’Assicurazione! Adesso un Aereo da Guerra ha l’Assicurazione, secondo te?” ci sembrano presenti un po’ troppe maiuscole. Specie perché già Maiuscolo – e notare che lo scriviamo con convinzione con la lettera maiuscola – è lo scambio di battute che avviene sull’argomento … quello ci basta e ci avanza! Alessandro, per pietà, ci potresti svelare l’arcano?
Ad ogni modo siamo di fronte a un libro-capolavoro che farà impallidire autori professionisti e già famosi, uno dei migliori pubblicati nel nostro paese negli ultimi anni, seppure in un settore – quello aeronautico – che rimane (purtroppo) di nicchia.
Un romanzo che “deve” avere un seguito. E aggiungo: se fossi l’editore di Alessandro gli darei il tormento affinché si dedichi più assiduamente alla scrittura anziché ad altre attività che esulano il suo amato lavoro – perché ne siamo certi che l’autore ami davvero il suo lavoro di pilota – a beneficio dei suoi tanti lettori.
Tornando a “Andrà bene di sicuro”, siamo convinti fermamente che siamo di fronte a uno dei pochi volumi da acquistare senza indugio alcuno, leggere e prestare agli amici suggerendo loro – come noi lo suggeriamo – di guardarsi intorno altrimenti rischiate di essere scambiati per pazzi scatenati quando vi metterete a ridere a crepapelle o vi butterete in terra a torcervi da risa incontrollabili.
Qui giunti, dopo aver sproloquiato in lungo e largo su questo libro nel tentativo maldestro di convincervi a “farlo vostro”, non ci resta che chiudere con la frase finale che ne giustifica la sua lettura e che ne condensa in poche battute tutta la sua essenza. Dunque il protagonista si rivolge ai suoi allievi al termine del loro addestramento dicendo loro:
“Da questo momento vi dichiaro incapaci di fare puttanate, perciò andate per il mondo e, quando dovrete prendere decisioni cruciali, ebbene, a quel punto, fate un po’ come cazzo vi pare. ANDRA’ BENE di SICURO!”
Recensione a cura della Redazione di VOCI DI HANGAR