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Roma-Venezia da passeggero

Sono in fila al bancone dell’accettazione, aspetto. “il Comandante la accetta sullo strapuntino, il volo è pieno”. Sorrido prendo la mia carta d’imbarco con la scritta “jump seat” e mi avvio nel finger.

Entro a bordo, saluto il Capo Cabina, poi mi giro a sinistra, il Comandante sorride: “ciao ciao, entra, accomodati, benvenuto a bordo”.

Sorrido di nuovo a mia volta, faccio un passo avanti e vengo colpito dall’odore.

E’ un odore che è conservato nella memoria, lo conosco benissimo, è odore di cabina di pilotaggio. Il lettore si meraviglierà: “eh, già ora anche le cabine hanno un odore!!!” Si, non solo hanno un odore, ma è caratteristico; difficile da definire, devi chiudere gli occhi e lasciare che l’odore venga catturato dall’olfatto e ti lanci indietro, quasi tele-trasportato (si, basta l’odore, altro che scienza) in una dimensione in cui tu sei seduto di nuovo in cabina, in divisa, e le tue mani si muovono sicure su interruttori, leve, pulsanti guidate dal subconscio.

L’odore è dato dalla tappezzeria, dai sedili in pelle di agnello, dalla polvere stantia, dal liquido usato per pulire gli schermi degli strumenti, dal sudore tuo ed altrui e, sicuramente, dall’anima di quei piloti che anche dopo avere avuto la possibilità di andare in un mondo forse migliore, hanno deciso di continuare ad albergare in una cabina di pilotaggio.

Mi accomodo sullo strapuntino, mi allaccio le cinture e quando guardo in avanti, la bocca assume involontariamente il sorriso – spronata dal senso di felicità che si diffonde dentro di me: luci colorate, verdi, gialle e rosse, queste ultime due destinate a scomparire man mano che i sistemi di bordo si attiveranno.

Poi, quasi provenendo da un altro mondo, mi sorprende la voce del controllore che entra in cabina attraverso gli altoparlanti e la riempie, manco fosse panna montata: “Alitalia 1477 clear to start”. Sono ancora lì con la mente offuscata e beata dagli odori, dai suoni, dalle voci, dalle lucette, quando le mani dei piloti iniziano la loro danza, click, click, click e poi: “before start checklist”

Ormai sono affascinato, i ricordi mi subissano, le emozioni prendono il controllo, ma la memoria torna e la sequenza si illumina come se fosse un continuum di luci che mi indicano la strada.

La procedura di messa in moto è iniziata: un interruttore, una conferma vocale e così: “N2, 20%, fuel flow, EGT”. Si, è routine, ma mi manca, e… quanto ti può riempire la routine?

Sei lì che guardi che le cose vadano come devono, pronto ad interromperla, ma lei si snoda come perle che entrano in un filo e alla fine la collana è lì che splende. Impianti pronti, luci gialle e rosse spente … una meraviglia …

Mi appoggio allo schienale, respiro e mi rilasso, guardo fuori, un sole caldo splende, quel colore di cielo che ti fa desiderare di stare in cima ad una montagna … iniziamo il rullaggio. Arriviamo al punto attesa, le emozioni sembrano finite, l’equipaggio ha completato i suoi controlli, il capo cabina ha riportato la cabina pronta al decollo.

Stiamo andando a Venezia … un’oretta, magari riesco anche ad appennicarmi…

Entriamo in pista … e accade improvvisamente, inaspettatamente, dopo la frase: “Take-off power”.

Un mostro ha iniziato a respirare, ha preso fiato e ora espira, ci sono indicazioni strumentali: lancette che girano vorticosamente e si stabilizzano ai valori previsti, io sono impietrito, travolto. Sapevo che sarebbe successo, si lo sapevo, ma era proprio così????

Il Super-80 sembra voglia divorare la pista, è una vera e propria aggressione, “la pista è mia, me la prendo e la divoro, fatemi largo”. “Speed alive, 80 knots, V1, VR” le velocità vengono chiamate in successione, pochi secondi e alla VR la cloche va all’indietro, e … come ho già scritto altrove:

“Eccolo si ripete, come ogni volta, il miracolo del volo manifesta la sua magia … miriadi di particelle d’aria vengono scompigliate, strappate dalla loro quiete dall’ala che avanza sempre più veloce. “Rotazione” e mentre la cloche viene tirata indietro, i piani di coda si flettono verso l’alto imponendo la rotazione del mezzo intorno al fulcro del carrello. La baruffa delle particelle continua ma si dispongono in maniera diversa, si auto-ordinano, le leggi fisiche che governano il moto dei fluidi consentono la nascita di forze che la natura ha reso proprie solo agli uccelli: la portanza infine manifesta la sua potenza e voliamo!!

Il mezzo meccanico ha smesso di sobbalzare e saltellare sulla pista e si trasforma da mezzo terrestre in uccello di metallo che si inerpica verso la luce.

Sono affranto, una mano mi ha afferrato il plesso solare e lo sta stringendo convulsamente, il brivido che mi ha assalito non smette di tormentarmi, … “1500 feet, climb trust”, la voce del pilota sottolinea e poi entra dall’altoparlante altra panna montata: “Alitalia 1477 come right, heading 310, climb level 140, no speed restrictions”.

Il resto è storia, viriamo a destra verso Nord, io scopro di essere stato in apnea, travolto da emozioni e ricordi, attimi vissuti e rivissuti, attimi cui non facevo più caso, ma ora, dopo mesi che non sono più seduto in quel sedile, quello che provo non è meraviglia o stupore o nostalgia: è dolore!!!

Ormai filiamo verso l’alto sempre più veloci, livelliamo a 29.000 piedi, mach 0,75. Il terreno scorre sotto di noi, mi rilasso di nuovo, in cabina chiacchieriamo del più e del meno. Parliamo di sogni interrotti – stuprati da una realtà che ha preso forma e ci ha travolti – e poi di nuovi sogni, di desideri, di proposte, la vita continua e scorre, proprio come il terreno sotto di noi e noi, proprio come un aeroplano, non ci possiamo fermare.

Iniziamo la discesa, è il tramonto, ma andiamo per prua quasi Est, il sole è dietro di noi, non ci saranno spettacoli pirotecnici del giorno che si inabissa nell’orizzonte, il controllo del traffico aereo ci autorizza all’avvicinamento diretto per pista 04. Ma son contento: quello che ho vissuto mi ha appagato, ma soprattutto sorpreso abbastanza da “fare il mio giorno” frase che suona molto meglio in inglese “it did my day”.

Poi allineati in finale guardo la laguna e mi stupisco di nuovo. “Vittozzi, quante volte hai visto Venezia?” mi dico dentro di me, apostrofandomi per cognome come tutte le volte che mi voglio rimproverare, “eh si, ma invece di rompere guarda anche tu” rispondo alla voce interiore; sicché guardiamo e rimaniamo tutti e due, e tutto il resto del condominio di sé che alberga dentro di me, senza parole.

La luce colpisce Venezia arrivando dalle nostre spalle, la città è una perla ocra che splende contro il celeste pieno del cielo parzialmente riflessa dallo sfondo azzurro intenso del mare. Non è romanticismo, è realtà, è il mondo dall’alto, quella meravigliosa terra vista da una prospettiva privilegiata … Canal Grande, Rialto, i ricordi terrestri si affollano, ma la grandiosità dell’immagine riempie tutto, una sorta di meditazione che non lascia spazio ad altro…

1000 piedi sul Ponte della Libertà, le luci aeroportuali davanti a noi, continuiamo sul sentiero di discesa, da destra compare l’abbandonata ombra che va a riunirsi al legittimo proprietario, un contatto soffice, l’uccello torna mezzo meccanico.

Sospiro, altre emozioni mi aspettano, ma quelle vissute finora, amalgamate a ricordi, routine, stupore e dolore mi hanno veramente ridato l’amato e un po’ smarrito, senso del volo.

Grazie a Gustavo e Loris che han permesso che tutto questo avvenisse con un semplice “benvenuto in cabina”!!

Paolo Vittozzi Comandante Alitalia Express su Embraer-145


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Hangar con Biplano e Honda - Nate Stevens
Paolo Vittozzi

Roma-Venezia da passeggero

aereo giallo bluCosa prova un pilota professionista quando sale a bordo di un aeroplano di linea? Quali sentimenti lo attraversano? … lo apprenderete da questo breve racconto del passeggero Paolo Vittozzi.


Racconto / Medio – breve Pubblicato: inedito